Il tempo che ci rimane

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Un film di Elia Suleiman. Con Elia Suleiman, Saleh Bakri, Samar Qudha Tanus, Shafika Bajjali.
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Titolo originale The Time That Remains. Drammatico, durata 105 min. - Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009. - Bim Distribuzione uscita venerdì 4 giugno 2010. MYMONETRO Il tempo che ci rimane * * * - - valutazione media: 3,32 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il tempo sottratto Valutazione 4 stelle su cinque

di bravobene


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venerdì 18 giugno 2010

Quello del tassista che accompagna il cliente (Elia Suleiman) a casa dall'aeroporto ma, colto da un improvviso e violentissimo, veterotestamentale acquazzone, è costretto a fermarsi in una strada che non riconosce più, perso anche il contatto audio con la stazione dei taxi, tra lo scoppio di tuoni dalla potenza inaudita, sorpreso, stupito e infine sconvolto da tanto scompiglio meteorologico e capace solo di ripetere "Ma, che sta succedendo? Che sta succedendo?", è uno dei migliori incipit cinematografici degli ultimi anni. Viene un po' da ridere a vedere un omaccione che si spaventa ogni volta che un lampo squarcia il cielo buio, seguito subito da una tremenda esplosione e poi si resta coinvolti nel suo "perdersi" davanti a qualcosa di così repentino e inspiegabile, in un certo modo sovrannaturale.

Un evento inspiegabile e improvviso, sembra voler dire il regista, come fu per i palestinesi la proclamazione dello stato di Israele nel 1948. Non si tratta qui di trovare una soluzione alla questione israelo-palestinese, che servirebbero molto più dei 105 minuti e, a questo punto, è più difficile da sviscerare del problema di cosa sia nato prima se l'uovo o la gallina, ma di entrare in una casa palestinese e standoci dentro vedere cosa è successo. Quindi il punto di vista è quello di un palestinese. Precisamente di Elia Suleiman che non inventa ma si basa sui diari del padre del periodo della resistenza e sui suoi stessi ricordi che impasta e modella in forma surreale, forse l'unico modo valido di analizzare una vicenda al di là di ogni concezione logica che si trascina da decenni (o secoli?).

Ne viene fuori una vera e propria opera d'arte, un film ricco di sorprese visive, di rimandi al cinema di Tati e di Buster Keaton ma che fa anche pensare a una sorta di Amarcord felliniano, con i suoi personaggi strambi che subiscono la storia. Fotogrammi che a tratti sembrano quadri di Hopper e richiami fischiettati al Padrino e al film wester per eccellenza. Difficile scegliere, in tutto questo, la scena più bella. Si va dalle grottesche foto istituzionali che terminano puntualmente con il primo piano del fondoschiena del fotografo (al momento della firma del trattato tra il sindaco di Nazareth e i militari israeliani e alla premiazione del coro scolastico) alla guerriglia urbana interrotta dal passaggio di una madre col passeggino che si ferma proprio nel mezzo e quando i soldati israeliani le intimano di andare a casa lei gli urla contro, come se stesse litigando con la dirimpettaia, "Io a casa? Voi andatevene a casa!". Oppure il reiterarsi dei vaghi tentativi di suicidio del vicino di casa che si cosparge di benzina e dice che non ha senso vivere in quel modo. Il cannone di un carrarmato che segue millimetricamente i movimenti di un giovane che fa avanti e indietro parlando al cellulare senza mollarlo un secondo. La pattuglia di soldati israeliani che annunciano il coprifuoco all'esterno di un locale ma lo fanno a ritmo della musica house. O la cucina dove si siedono a tavola il piccolo Elia Suleiman, la madre e il padre e che diventa il fulcro delle vicende col passare degli anni. Anni che scivolano via senza che niente cambi. Anni di vita del padre di Elia sempre impegnato nella resistenza, tra costruzione casereccia di armi e nottate passate al mare a "pescare". Anni di vita della madre di Elia che scrive lettere ai parenti in esilio e che assiste in silenzio agli arresti prima del marito poi del figlio. Anni di vita dello stesso Elia che vediamo da bambino sgridato dal preside della scuola ("Chi ti ha detto che l'America è colonialista? Eh? Chi ti ha detto che l'America è imperialista? Eh?" ) e che tenterà il salto con l'asta del muro che li separa dalla realtà. E' forse questo il significato del titolo. Che non si tratta solo di territorio ma anche, e soprattutto, di tempo sottratto, il tempo che rimane. Un film da vedere assolutamente.

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