Un po' di felicità

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La collaborazione Virzì-Archibugi dà ottimi frutti Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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venerdì 3 giugno 2016

LA PAZZA GIOIA (IT, 2016) diretto da PAOLO VIRZì. Interpretato da VALERIA BRUNI TEDESCHI, MICAELA RAMAZZOTTI, VALENTINA CARNELUTTI, ANNA GALIENA, MARCO MESSERI, TOMMASO RAGNO, BOB MESSINI, SERGIO ALBELLI, MARISA BORINI
Villa Biondi è una clinica di Pistoia dove vengono ospitate donne affette da disturbi psichiatrici. Fra loro c’è Beatrice Morandini Valdirana, divorziata, in custodia giudiziaria perché ritenuta, al pari di gran parte delle altre ospiti, socialmente pericolosa, caratterizzata da una logorrea inarrestabile e da megalomania, il che le fa dispensare consigli alle altre donne senza che ciò le permetta di creare nessuna amicizia. Un giorno arriva nella casa di cura Donatella Morellini, giovane donna magrissima, depressa e piena di lividi, che suscita immediatamente le simpatie di Beatrice. Le due col tempo diventano amiche, malgrado l’enorme abisso che c’è fra le loro personalità. Donatella confessa all’amica di avere un figlio che le è stato tolto dopo un processo che l’ha riconosciuta non in possesso delle facoltà mentali e dunque non in grado di allevarlo, e che adesso vive presso una coppia sposata che l’ha adottato. Decisa a risolvere i problemi ed entrambe e stanca dell’incomprensione generale che le aleggia attorno, un pomeriggio Beatrice prende un’iniziativa pazzamente strampalata e coinvolge la compagna in una fuga in autobus che porterà le due donne a passare giorni e giorni in giro per la Versilia, fra discoteche e ristoranti, dedicandosi al divertimento fine a sé stesso, infrangendo un sacco di leggi e sentendosi libere dall’oppressivo controllo sociale esercitato dagli operatori della clinica. Verranno poi riprese e condotte di nuovo sotto osservazione, ma il loro sfrenato desiderio di libertà incondizionata non sarà stato un totale buco nell’acqua. Girato in Toscana fra Livorno, Viareggio (anche durante il Carnevale), Montecatini Terme, Campi Bisenzio, Capannori, Ansedonia e la provincia di Pistoia. Le riprese son durate otto settimane. Vale soprattutto per il binomio Bruni Tedeschi-Ramazzotti: un’intesa eccezionale, che permette ad entrambe le attrici di estrarre tutti i loro assi nella manica e di costruire una recitazione di coppia tecnicamente perfetta, che bilancia la loquacità violenta e distruttiva della prima con la ritrosia introspettiva della seconda; e per gli spettatori che osservano e giudicano la recitazione, l’effetto finale è straordinario. Per chi ama le citazioni meta-cinematografiche, il film di Virzì (sposato con la Ramazzotti dal 2010, di nuovo insieme anche sul lavoro sei anni dopo La prima cosa bella) fonde l’amicizia viscerale fra sconosciuti (virata però al femminile) de Il sorpasso con la ricerca della libertà individuale, sfrenata e lesiva per gli altri di Thelma & Louise, benché poi il regista riesca a percorrere un sentiero artistico del tutto originale, che non nasconde i lati contraddittori e controversi per il tema psichiatrico, ma adduce motivazioni ottimistiche per quanto riguarda il superamento delle difficoltà esistenziali, mostrando una simpatia tutt’altro che utilitaristica anche per quei personaggi che, ad un primo acchito, dovrebbero adempiere ad un ruolo negativo (le suore e i medici della clinica, la madre pettegola e severa di Beatrice, l’ex fidanzato manesco e burbero di Donatella). Incontra sostanzialmente i limiti della pellicola on the road nel suo stile più classico, sebbene le derivazioni moderne non facciano altro che contribuire ad accentuarne i punti deboli, ma la struttura narrativa nel suo complesso ne risente solo relativamente, dato che l’impianto è fondato prima di tutto sulla bravura degli interpreti (in particolar modo Messeri e la Galiena, per quanto le loro parti risultino risicate, riescono comunque a sfoderare le loro consuete e innegabili doti, per quanto riguarda il primo soprattutto il suo spigliato aplomb e la seconda il suo innato umorismo sottile e tagliente). I suoi principali meriti, in sintesi, vanno dunque al gioco di squadra quasi perfetto fra le due protagoniste, ad un copione essenziale ma comunque ricco di spunti e sfumature interessanti e agli aspetti tecnici che vengono curati con una decenza ben più che decorosa. Virzì, già con Il capitale umano, aveva mosso le sue critiche (per altro lucidissime e giustissime) al modo italiano di trattare tutto quell’insieme di cose che risultano ostiche e invise alla cosiddetta "gente normale", in quel caso argomenti inerenti ad un ambito economico e quindi prettamente materialistico, mentre per quel che concerne La pazza gioia (nel suo genere e a suo modo, un piccolo, imperdibile capolavoro di nicchia) il discorso si estende alla materia psichiatrica. Ma la benzina che lo alimenta è fatta di uno humour irresistibile che non si prende troppo sul serio e che fa giocoforza ragionare su temi spinosi e controversi sui quali è bene che il cinema, non solo quello italiano ma lui specialmente, continui a produrre film. Naturalmente di qualità e che sappiano affrontare queste difficili ma importanti questioni con un’importanza ragguardevole. E l’opera in questione, evitando di ricattare sentimentalmente lo spettatore, centra in pieno il bersaglio.

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