LA GRANDE SCOMMESSA (USA, 2015) diretto da ADAM MCKAY. Interpretato da RYAN GOSLING, STEVE CARELL, CHRISTIAN BALE, BRAD PITT, MELISSA LEO, FINN WITTROCK, JOHN MAGARO, MARISA TOMEI
Ispirato ad una storia realmente accaduta e al romanzo bestseller The Big Short: Inside the Doomsday Machine di Michael Lewis, lo stesso autore di The Blind Side e Moneyball. Molti giornali e riviste statunitensi l’hanno definito geniale ed esplosivo, fra cui il New York Times e People, e in effetti, se è stato inserito nel National Board of Film Awards che premia i dieci migliori film dell’anno e ha ricevuto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, c’è più d’un motivo. Mentre le banche realizzavano la più grande frode nella storia americana, quattro outsiders, memori della lezione che diede negli anni 1980 Louis Ranieri in merito all’acquisto dei titoli di ipoteca, autentico metodo che rivoluzionò l’universo economico d’oltreoceano, decisero di rischiare ogni cosa per scommettere contro il sistema investendo obbligazioni ipotecarie contro il mercato immobiliare. Michael Burry, dirigente della Scion Company, dovette sudare sangue per convincere i colleghi del folle intrigo in cui andava cacciandosi, ma aveva già previsto il collasso del sistema, nonostante poi, al termine del lavoro, la sua banca avesse chiuso, dopo le sue definitive dimissioni, con un bilancio del 489% in più. Mark Baum, sposato e ancora depresso per il suicidio del fratello, si fece persuadere dall’investitore affabulante di Deutsche Bank Jared Vennett a vendere titoli azionari sperando che gli americani non pagassero il mutuo, finendo per concludere la vicenda ad una festa, seguita da conferenza con tanto di pubblico e banchieri molto meno realisti di lui, a Las Vegas in cui si rese conto che, pur avendo trionfato nella scommessa, questa vittoria avrebbe arricchito soltanto i banchieri e gettato sul lastrico milioni di persone negli USA, lasciandoli senza casa e senza lavoro. Analoga sorte capitò ai due giovani azionisti Charlie Geller e Jamie Shipley, interessati ad incrementare gli incassi e rivoltisi ad un banchiere in pensione, Ben Rickert, per rimpinguare le casse alle spalle dei contribuenti, essi però senza accorgersi che, così facendo, avrebbero (e hanno) decretato la disgrazia degli immigrati e della povera gente, su cui nel Paese più celebre al mondo ricade sempre la colpa quando qualcosa non funziona per il giusto verso. La storia copre un arco di tempo di tre anni (2005-2008) e, se da un lato risulta molto complessa per chi non conosce a menadito i meccanismi su cui si basa il lavorio di una banca, dall’altro appare estremamente interessante per come spiega le ragioni effettive per cui scoppiò la terrificante crisi economica che ha messo in ginocchio l’intero pianeta a partire da dieci anni fa. Un saggio di economia intelligente e dalla spaventosa e agghiacciante veridicità, sostenuto da un quartetto di interpreti principali (Bale istrionico, Carell autodistruttivo, Gosling gran parlatore e Pitt pragmatico) che regalano agli spettatori una performance corale davvero eccezionale ritagliandosi ciascuno il proprio spazio nelle vesti di banchieri che dapprima partono in quarta con una felicità e una speranza da far rabbrividire di gioia e poi chiudono con una tristezza malinconica per il fatto d’aver compreso, e purtroppo in ritardo eccessivo, che la scommessa del secolo nel mondo economico made in USA ha causato un crollo finanziario addirittura peggiore di quello di Wall Street nel 1929. La finanza non è un argomento molto trattato nel cinema di questa nazione, ma le poche volte, come anche accade in The Big Short, soprattutto per merito del regista McKay che coniuga con abilità mimetica e proteiforme contributi tecnici e artistici, che se ne parla, se ne traggono vicende appassionanti non da burocrati grigi e intabarrati nei loro uffici, ma da entusiastici avventurieri che tentano il tutto per tutto per intascare il dio denaro. I quattrini sono il movente vero della trama, ma al centro ci sta anche un abbinamento assai ben riuscito fra commedia e dramma, nel quale il pathos per la mutazione psicologica dei quattro protagonisti permette di immedesimarsi nei loro panni e comprendere il perché del loro tardivo, ma giustificato, pentimento. Nel reparto femminile, ottime anche le prove di M. Leo nel ruolo di Georgia Hale e di M. Tomei come Cynthia Baum, moglie premurosa di Mark. Aggancia all’amo anche l’idea di far parlare i caratteri direttamente col pubblico inquadrandoli col volto nell’obiettivo mentre narrano la storia dal proprio punto di vista, condendola con osservazioni personali e considerazioni brillanti sulle magagne onnipresenti che popolano il sistema finanziario non solo americano, ma mondiale. Intervallato, soprattutto nella prima metà, da balletti variopinti da videoclip, accompagnati dalle stupende musiche di Nicholas Britell. B. Pitt figura pure come produttore.
[+] lascia un commento a greatsteven »
[ - ] lascia un commento a greatsteven »
|