Titolo originale | Amsal |
Anno | 2015 |
Genere | Storico, Drammatico, Thriller |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 140 minuti |
Regia di | Choi Dong-Hoon |
Attori | Ji-hyun Jun, Ha Jung-woo, Lee Jung-Jae, Jin-woong Cho, Oh Dal-soo, Lee Kyeong-yeong Jin Kyung, Duek-mun Choi, Eui-sung Kim, Kim Hong-Fa, Byung-eun Park. |
MYmonetro | 2,79 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 2 maggio 2016
Una storia vera: a Ahn Ok-yun, un cecchino di prim'ordine condannato a morte, viene dato l'ordine di assassinare il comandante dell'esercito giapponese. Il film ha ottenuto 3 candidature a Asian Film Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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1911. Durante la dominazione giapponese della Corea, un tentativo di attentato al Governatore fallisce e il responsabile Yeom Seok-jin viene catturato. Ventidue anni dopo, nel 1933, lo stesso Yeom raduna un trio di indipendentisti ribelli - il cecchino An Ok-yun, il dinamitardo Duk-soo e il cinico Big Gun - per ripetere l'impresa. Ma è solo l'inizio di una rete di doppi e tripli giochi che girano intorno alla presenza giapponese nella penisola e al destino di pochi pistoleri.
Dopo aver definito uno standard di genere con Tazza: High Rollers, pochade corale di truffatori glamour, e aver ribadito il concetto con The Thieves, coronato da un incasso stratosferico, Choi Dong-hoon è divenuto uno dei talenti più vezzeggiati dall'industria cinematografica sudcoreana. Assassination rappresenta allo stesso tempo una conferma delle sue doti e una ambiziosa quanto rischiosa scommessa, determinata dalla svolta di genere verso il dramma storico. Impeccabile dal punto di vista tecnico e scenografico, il film di Choi si avvale di una costosa e meticolosa ricostruzione di Gyeonseong, la Seoul dell'epoca, e di Shanghai, come poli di attrazione e repulsione di una spy-story che veste agevolmente i panni dell'action movie ma li scambia altrettanto agevolmente per gli abiti sontuosi del mélo.
Al centro della vicenda, come raramente prima d'ora in un genere così maschile, il personaggio di una donna, interpretato da Gianna Jun (Il ventaglio segreto), la "fidanzatina di Corea" a cui troppe volte, dopo il debutto folgorante di My Sassy Girl, sono stati affidati ruoli anonimi. Ok-yun è una ragazza privata della propria femminilità e di ogni radice familiare, condannata alla sopravvivenza con un fucile in mano, come cecchino infallibile per cui anche la minima occasione sociale, da un sorso di caffè a un ballo sgangherato, rappresenta un'epifania. Nonostante gli encomiabili sforzi profusi, Jun fatica a rendersi credibile nei panni dismessi (ma comunque, inesorabilmente, chic) di Ahn, e appena emerge il personaggio della sorella gemella - espediente antico quanto il cinematografo - sembra rinascere potendo indossare gioielli e completi vintage da sfilata anni Trenta. E come per Jun così vale per l'intera opera di Choi, a cui non si può imputare nulla in termini di gestione della coralità dell'insieme (impareggiabile il regista nel turnover dei personaggi e nel riutilizzo anche dell'ultimo dettaglio utile ai fini dello script), ma che rimane un freddo esecutore, incapace di quel balzo, nell'infondere vita ai suoi personaggi o nel rendere immortali battute o inquadrature, che ha reso Sergio Leone, Martin Scorsese o il miglior Tsui Hark (Assassination deve molto al suo Peking Opera Blues) - per limitarsi a tre nomi - maestri del gigantismo cinematografico. Non aiuta l'annosa tendenza alla prolissità e al contro-contro-finale (qui una superflua appendice dopo la Seconda guerra mondiale), male atavico del mainstream sudcoreano.