Titolo originale | Nobi |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Giappone |
Durata | 87 minuti |
Regia di | Shin'ya Tsukamoto |
Attori | Lily Franky, Tatsuya Nakamura, Yûko Nakamura, Shin'ya Tsukamoto, Dean Newcombe Yûsaku Mori, Yuta Koga, Hiroshi Suzuki (III), Masato Tsujioka, Hiroshi Yamamoto. |
MYmonetro | 3,17 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 7 maggio 2015
La storia è tratta dal romanzo "La strana guerra del soldato Tamura" di Shôkei Oka che racconta il sanguinoso conflitto che ha portato alla disfatta dell'esercito giapponese nel 1945. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Asian Film Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Filippine, 1945. Il soldato Tamura, malato di tubercolosi, è l'unico sopravvissuto del proprio plotone. Vagando nella giungla in cerca di cibo, Tamura incontra altri commilitoni allo stremo delle forze che battono in ritirata, desiderosi di arrivare a Palompon per poi tornare a casa.
Lo stile inconfondibile di Tsukamoto Shinya per la prima volta al servizio di un film bellico, in cui frastuoni intra ed extra diegetici e lampi di luci e colori raccontano il calvario di un soldato, in un percorso di morte che rasenta l'allucinazione. Tsukamoto riprende il romanzo "La guerra del soldato Tamura" di Ooka Shohei, già trasposto sul grande schermo nel 1959 da Ichikawa Kon con Fires on the Plain, per trasformarlo in una parabola sull'abiezione raggiunta dall'essere umano in condizioni estreme. In totale controtendenza con uno scenario politico e cinematografico che in patria vira verso il revisionismo - si veda il successo di The Eternal Zero e il diffondersi di un atteggiamento quasi vittimistico in merito alla Seconda guerra mondiale - Tsukamoto sceglie di autoprodursi un manifesto anti-bellico, che ripropone la sua riflessione sull'uomo mutandone il contesto circostante.
L'intellettuale che non ha mai ucciso e che fino alla fine rinuncia ad accettare il suo regresso a uno stadio ferino dell'esistenza è figura tipica del cinema di Tsukamoto, analoga al consueto schiavo della metropoli alienante. L'asettico milieu urbano è qui sostituito dalla selvaggia giungla, permettendo di scavare ancor più a fondo nei mali del Giappone, deflagrati nel delirio collettivo del fascismo espansionista. Il regista, instancabile sperimentatore, in Fires on the Plain lavora sul proprio stile, cercando soluzioni inedite: il digitale, come già nell'allucinato Kotoko, ha ormai rimpiazzato la pellicola, con uno scarto stilistico decisivo. Il campo dell'inquadratura viene ulteriormente ristretto e aumentano i primi piani sui volti degli attori, incrementando la sensazione di claustrofobia e l'esito quasi documentaristico dell'operazione.
L'esplosione di corpi smembrati e il crescendo ferino dei deliranti sopravvissuti possono così colpire ancor più duramente lo spettatore, sottoponendolo a una terapia d'urto degna della cura Ludovico. Una delle pagine più coraggiose e sperimentali di una carriera che non smette di stupire, a venticinque anni dallo sconvolgente debutto di Tetsuo.
Perché riscrivere oggi un classico del cinema giapponese uscito nel 1959 (anche se Tsukamoto ha detto in un'intervista di aver fatto il film sulla spinta del testo letterario fonte del film di Kon Ichikawa, non sul film di quest'ultimo)? Risponde lo stesso regista, con disarmante semplicità: si agitano in questi ultimi tempi pericolosi e inquietanti cenni di guerre imminenti, [...] Vai alla recensione »