gianmaria.silv
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martedì 13 settembre 2011
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intenso. profondo. commovente.
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Dopo aver diretto con maestria ed equilibrio un film difficile sull'immigrazione come "Welcome", Lioret ci riprova con un tema forse ancor più difficile che mette insieme il tema della morte, degli affetti familiari e dell'amore. Fin dalla prima proiezione alla "Mostra del cinema di Venezia" è sembrato evidente che il livello di qualità raggiunto in "Welcome" è rispettato e probabilmente superato con questo intensissimo film che parla di una giovane madre magistrato che si trova a lottare in tribunale contro i soprusi delle agenzie di credito e nella vita personale contro un male incurabile. Le due lotte si fondano con armonia in una sola, dove la risoluzione dell'importante vertenza giudiziaria diventa anche una possibile via di fuga dai problemi personali.
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Dopo aver diretto con maestria ed equilibrio un film difficile sull'immigrazione come "Welcome", Lioret ci riprova con un tema forse ancor più difficile che mette insieme il tema della morte, degli affetti familiari e dell'amore. Fin dalla prima proiezione alla "Mostra del cinema di Venezia" è sembrato evidente che il livello di qualità raggiunto in "Welcome" è rispettato e probabilmente superato con questo intensissimo film che parla di una giovane madre magistrato che si trova a lottare in tribunale contro i soprusi delle agenzie di credito e nella vita personale contro un male incurabile. Le due lotte si fondano con armonia in una sola, dove la risoluzione dell'importante vertenza giudiziaria diventa anche una possibile via di fuga dai problemi personali. Questo lungometraggio ci mette di fronte a molti temi difficili come l'accanimento terapeutico, la mancanza e la ricerca degli affetti familiari e i diritti civili. Nonostante la complessità di questi temi, Lioret riesce a guidarci in un difficile percorso che ci aiuta a riflettere sulla morte e sul nostro lascito alla future generazioni. Un film importante anche per quello che non dice e che non finisce con i titoli di coda. L'applauso prolungato e la standing ovation di una sala gremita è il giusto tributo ad un'opera importante; le lacrime di commozione di Marie Gillain a fine proiezione sono state quelle di tutti gli spettatori che guardando questo film hanno aperto il proprio cuore oltre che i propri occhi.
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sergio dal maso
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lunedì 22 giugno 2015
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tutti i nostri desideri
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“Cedete a tutti i vostri desideri !” (slogan pubblicitario dei prestiti al consumo)
Cosa desideriamo realmente? Quali sono i nostri più intimi desideri? Nascono dall’anima o rispondono solamente a bisogni materiali?
Difficile uscire dalla sala dopo la visione dello splendido e toccante film di Philippe Lioret senza porsi domande di questo tipo, senza interrogarsi sulle scelte che quotidianamente ci troviamo di fronte.
Difficile non uscire commossi e turbati.
Tutti i nostri desideri punta dritto al cuore, ma lo fa con sincerità e discrezione, senza moralismi né retorica. Con un sobrio realismo e senza mai ricorrere a facili sentimentalismi riesce a far vibrare le corde dell’anima più nascoste, emozionare su temi delicatissimi come la malattia incurabile o socialmente complessi come l’aumento dell’impoverimento dei ceti popolari a causa della spirale dei prestiti al consumo.
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“Cedete a tutti i vostri desideri !” (slogan pubblicitario dei prestiti al consumo)
Cosa desideriamo realmente? Quali sono i nostri più intimi desideri? Nascono dall’anima o rispondono solamente a bisogni materiali?
Difficile uscire dalla sala dopo la visione dello splendido e toccante film di Philippe Lioret senza porsi domande di questo tipo, senza interrogarsi sulle scelte che quotidianamente ci troviamo di fronte.
Difficile non uscire commossi e turbati.
Tutti i nostri desideri punta dritto al cuore, ma lo fa con sincerità e discrezione, senza moralismi né retorica. Con un sobrio realismo e senza mai ricorrere a facili sentimentalismi riesce a far vibrare le corde dell’anima più nascoste, emozionare su temi delicatissimi come la malattia incurabile o socialmente complessi come l’aumento dell’impoverimento dei ceti popolari a causa della spirale dei prestiti al consumo. Attorno ai drammi della malattia improvvisa e dei debiti familiari ruotano, infatti, le storie dei protagonisti del film. Storie di incontri apparentemente casuali che finiscono col cambiare la vita delle persone, i cui destini si incrociano e si sfiorano, uniti da un sentimento di vera amicizia e da forti idealità di giustizia. Dal senso di giustizia che anima Claire, bella e promettente giudice del Tribunale di Lione, nasce dapprima la volontà di aiutare a tutti i costi Celine, giovane madre di due bambini rovinata dagli interessi da usura sui prestiti contratti, poi il legame con il collega più anziano Stephane. Proprio il profondo e struggente rapporto di amicizia con l’esperto giudice diverrà un sostegno fondamentale per le due drammatiche battaglie che Claire si trova a combattere : quella contro lo strozzinaggio delle finanziarie e delle multinazionali del credito e quella, che purtroppo non si può vincere, contro la malattia incurabile, tragica e inaspettata. Malgrado la crudele scoperta del cancro che la condanna senza appello Claire decide di lottare fino in fondo contro entrambi i “mali”. Per le vicende giudiziarie si affida al collega Stephane, che riscopre gli ideali dimenticati e il coraggio di affrontare battaglie giuste anche se sembrano perse in partenza. Nell’affrontare la malattia, invece, Claire confida soprattutto in Celine: non lotta per se stessa ma per dare una speranza al futuro dei suoi bambini e alla sua famiglia. La cosa più bella del film è il complesso rapporto che nasce tra i due giudici Claire e Stephane. I loro sentimenti sono espressi con tatto e delicatezza, quasi con pudore.
L’umanità dei loro sguardi, la dolcezza delle mani che si accarezzano sul letto dell’ospedale, hanno davvero una intensità e una forza poetica che difficilmente si incontrano al cinema. Nel loro rapporto non c’è spazio per l’amore, probabilmente Claire riconosce in Stephane la figura paterna che non ha mai avuto. Tra loro c’è un’empatia fortissima, un sentimento tanto profondo e sincero che associarlo alla semplice amicizia appare riduttivo. Merito dei due straordinari interpreti: Marie Gillain (Claire), commovente e credibile in un ruolo molto difficile, e Vincent Lindon (Stephane), già ammirato nel precedente e altrettanto bello, Welcome, sempre di Philippe Lioret. Partendo dalle vicende individuali dei protagonisti, dalle loro storie intime e drammatiche, il regista francese riesce a dar vita a un cinema di denuncia coinvolgente e realistico, affronta temi sociali scottanti come l’immigrazione clandestina (nel precedente Welcome) o l’usura bancaria senza retorica né toni eccessivi, ma proprio per questo capace di lasciare il segno. Alcune scene, come per esempio la nuotata liberatoria nell’acqua gelida del lago, danno il senso della bravura registica di Lioret, a cui non servono virtuosismi e tecniche roboanti per emozionare e coinvolgere lo spettatore.
Se alla fine viene naturale interrogarsi sulla propria vita e sui propri desideri, il punto di partenza non può che essere l’umanità e il senso di giustizia di Claire e Stephane, con la consapevolezza che non potendo realizzare tutti i nostri desideri occorre scegliere per quali vivere e lottare, dando il giusto valore a ciò che conta veramente.
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angelo umana
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martedì 15 maggio 2012
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vite che non sono la mia
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Può darsi che ci sia una sottile differenza tra il titolo italiano "Tutti i nostri desideri" e quello francese "Toutes nos envies": i desideri devono essere qualcosa di interiore che nessun denaro può comprare, le voglie, invece, spesso si soddisfano col denaro e, come dice la madre della protagonista Claire nel film (Marie Gillain), "Perché dovrei avere una tv minuscola? Ce l'hanno tutti così", ed ecco che un nuovo prestito rende possibile l'acquisto di un nuovo schermo, grande e al plasma, inutile come tante altre cose che non acquietano i bisogni interiori. Le banche e le finanziarie sono lì apposta, stilano contratti capestro con pubblicità accattivanti e lettere piccole che nessuno legge ("Vogliono i soldi!" dice l'avvocato della finanziaria), il denaro è facile, tutto sembra possibile e chi presta "guadagna sulle spalle di chi non ha soldi"; del resto così deve andare il mondo, dicono, il credito alimenta il consumo e il consumo sostiene il sistema (130 miliardi di euro di PIL in Francia generato dal credito al consumo).
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Può darsi che ci sia una sottile differenza tra il titolo italiano "Tutti i nostri desideri" e quello francese "Toutes nos envies": i desideri devono essere qualcosa di interiore che nessun denaro può comprare, le voglie, invece, spesso si soddisfano col denaro e, come dice la madre della protagonista Claire nel film (Marie Gillain), "Perché dovrei avere una tv minuscola? Ce l'hanno tutti così", ed ecco che un nuovo prestito rende possibile l'acquisto di un nuovo schermo, grande e al plasma, inutile come tante altre cose che non acquietano i bisogni interiori. Le banche e le finanziarie sono lì apposta, stilano contratti capestro con pubblicità accattivanti e lettere piccole che nessuno legge ("Vogliono i soldi!" dice l'avvocato della finanziaria), il denaro è facile, tutto sembra possibile e chi presta "guadagna sulle spalle di chi non ha soldi"; del resto così deve andare il mondo, dicono, il credito alimenta il consumo e il consumo sostiene il sistema (130 miliardi di euro di PIL in Francia generato dal credito al consumo).
La giudice Claire, che fin da bambina è stata animata dal bisogno degli altri mettendosi in "Vite che non sono la mia" (è il libro da cui il film è tratto), cerca di proteggere Céline, madre di due bambini coetanei dei suoi, quasi strozzata dalle rate di debiti contratti dal marito che l'ha abbandonata. I bisogni di cui ci circondiamo le devono apparire irrilevanti quando apprende di avere un tumore alla testa. "Avevo promesso un cane ai miei bambini e non avranno più una madre". "Questo è ingiusto per una donna che ama la Giustizia" viene detto nel film e le sembrerà irrilevante pure ciò che le promette il marito Christophe, ignaro della malattia, "Tra due anni questo albero ci darà almeno 5 chili di ciliege". Chissà perché, il film fa pensare ad una certa somiglianza tra le terapie palliative che la medicina propone - e che Claire rifiuta - e il credito concesso facilmente, che sembra allungare la vita o almeno farla più bella.
Quando sa di perdere tutto conosce Stéphane, Vincent Lindon, magistrato più anziano che si impegna a continuare la causa contro le banche iniziata da Claire. Per lei che non vede suo padre da quando aveva due anni ("Buongiorno, sono tua figlia. Cosa avrebbe cambiato?" dice di aver pensato quando lo rintraccia dopo averlo tanto cercato, senza presentarglisi), Stéphane è affidabile e rassicurante: è con lui che assapora gli ultimi giorni di vita, vede una partita di rugby, cosa mai fatta prima, e con lui fa una tanto desiderata nuotata nel lago dove andava da adolescente con la sorella.
Il regista Philippe Lioret, avvicinabile ai Dardenne e a Ken Loach per le realtà che racconta, ci presenta un'altra storia presa dai drammi tipici di oggi, che appaiono quasi normali perché abitualmente riportati dalla cronaca, col solito garbo, in modo quasi neutrale, ma lo fa mettendo più carne al fuoco a confronto di "Welcome", rispetto al quale è meno "scarno". E' un film comunque ottimo ma da occhi lucidi, con temi per i quali è facile prendere partito, solo un poco appesantito dagli argomenti numerosi e da qualche aspetto "eroico" come le immancabili vittorie della class action contro le banche e della squadra di rugby allenata da Stéphane. Indimenticabile il "passaggio di consegne" tra Claire e Céline, che con Christophe formerà una nuova famiglia, cosa realmente accaduta ad un'amica di Lioret.
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[+] emmanuel carrère ... il fatto quotidiano 8-6-2013
(di angelo umana)
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donni romani
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martedì 15 maggio 2012
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emozioni sincere che toccano privato e sociale
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Dopo "Welcome" si ricostituisce la coppia Lioret - Lindon e anche questa volta il risultato è una pellicola profonda, sincera, amara e intensa che coniuga l'intimità più cruda con l'analisi sociale più veritiera. Claire, una giovane donna, giudice di professione, si trova in aula la madre di una compagna di scuola della figlia, in difficoltà con il pagamento di un prestito, aumentato a dismisura grazie alle clausole capestro imposte dagli istituti di credito. Aiutata dal collega Stéphane cercherà il modo di far arrivare la causa alla Corte Europea per dimostrare come la società moderna e i suoi perversi meccanismi legati al consumismo e alle difficoltà economiche create dalla crisi in atto possa distruggere persone oneste e privarle anche della dignità.
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Dopo "Welcome" si ricostituisce la coppia Lioret - Lindon e anche questa volta il risultato è una pellicola profonda, sincera, amara e intensa che coniuga l'intimità più cruda con l'analisi sociale più veritiera. Claire, una giovane donna, giudice di professione, si trova in aula la madre di una compagna di scuola della figlia, in difficoltà con il pagamento di un prestito, aumentato a dismisura grazie alle clausole capestro imposte dagli istituti di credito. Aiutata dal collega Stéphane cercherà il modo di far arrivare la causa alla Corte Europea per dimostrare come la società moderna e i suoi perversi meccanismi legati al consumismo e alle difficoltà economiche create dalla crisi in atto possa distruggere persone oneste e privarle anche della dignità. Parallelamente alla sua lotta per far valere i diritti della parte più indifesa della società Claire deve affrontare una battaglia ben più crudele dal momento in cui le scoprono un tumore cerebrale in fase terminale. Nascondendo al marito le sue condizioni per non farlo soffrire prima del tempo Claire sceglie di portare sulle sue fragili spalle un peso disumano e il rapporto professionale con Stephane, un Vincent Lindon dimesso e intenso, trattenuto nell'esprimere i propri sentimenti verso una donna che non può accogliere altro che amicizia e conforto nel momento in cui sta distaccandosi con dolore dalla vita e proprio per questo tutto dedito ad esaudire l'ultimo desiderio di Claire, far accogliere la loro causa al Consiglio europeo, come se fosse un atto d'amore. Lioret sa mantenere un perfetto equilibrio fra emozione e riflessione, non scendendo mai nel sentimentalismo o nel pietismo, riuscendo a dare ai propri personaggi uno spessore umano e sociale che ce li fa sentire vicini, nei loro desideri come nelle loro paure, nei loro sentimenti confusi come nella frustrazione di fronte alle ingiustizie della vita. Molte le scene emozionanti e toccanti nella loro asciuttezza, alcune specchio della superficialità che spinge anche chi è già in grosse difficoltà economiche come la madre di Claire a comprare una Tv maxi schermo facendo ulteriori debiti solo perchè, risposta testuale e inquietante nella sua insensatezza " ce l'hanno tutti" e altre che lasciano senza fiato come quella che si svolge nel giardino della casa che Claire e il marito hanno comprato da poco. Lei è appena tornata dal'ospedale dove ha saputo che le restano solo pochi mesi di vita, lui ha appena piantato un ciliegio e le dice "vedrai che bello sarà fra due anni". Ecco, in questi due desideri così opposti e così antitetici, veder fiorire un ciliegio, e quindi implicitamente essere ancora vivi, ed avere un Tv ad alta definizione come tutti è racchiuso il senso del film, perchè è vero che noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni come ci ha insegnato Shakespeare, ma non tutti i sogni hanno lo stesso valore, e Lioret ce lo ricorda con una grazia ed una poesia lieve che colpisce nel profondo.
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renato volpone
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lunedì 14 maggio 2012
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claire e l'umana sofferenza
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Claire, una donna giudice che lotta per difendere una ragazza dallo strozzinaggio delle banche, ma anche una donna che lotta contro la malattia, che decide di rinunciare alle cure invasive contro il cancro rifiutando pochi mesi di vita in più. Una donna che ama profondamente, una donna che vive fino alla fine. Intorno a lei due uomini: il compagno che la ama come ogni uomo dovrebbe fare con la propria donna, e sthephane, il magistrato, che l'aiuta nella sua causa, nella difesa degli ideali in cui crede. Il film è un crescendo di emozioni, un tormento interiore, quasi un non capire il perché Claire si tiene tutto dentro, ma intimamente lo si percepisce, lo si capisce e lo si condivide.
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Claire, una donna giudice che lotta per difendere una ragazza dallo strozzinaggio delle banche, ma anche una donna che lotta contro la malattia, che decide di rinunciare alle cure invasive contro il cancro rifiutando pochi mesi di vita in più. Una donna che ama profondamente, una donna che vive fino alla fine. Intorno a lei due uomini: il compagno che la ama come ogni uomo dovrebbe fare con la propria donna, e sthephane, il magistrato, che l'aiuta nella sua causa, nella difesa degli ideali in cui crede. Il film è un crescendo di emozioni, un tormento interiore, quasi un non capire il perché Claire si tiene tutto dentro, ma intimamente lo si percepisce, lo si capisce e lo si condivide. Gli argomenti trattati, tutti, sono delicati e il regista è molto bravo a sfiorarli affondandoci dentro, ottime le interpretazioni. Da non perdere, ma muniti di fazzoletti.
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(di angelo umana)
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pepito1948
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giovedì 31 maggio 2012
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abnegazione e lotta sociale
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Non è facile, davanti a film come questo, sfuggire a condizionamenti pregiudiziali, visto che fa parte del filone del cinema d’impegno civile, quindi nobile per definizione e chi è sensibile a queste tematiche può avere difficoltà a distinguerne la forza di trascinamento ideologico ed emotivo dalla qualità artistica. Qui i temi di fondo sono due: la lotta agli abusi verso chi è povero quindi indifeso e oggetto di sopraffazione da parte dei potenti di turno (rappresentati dalle società finanziarie, che per i loro prestiti impongono contratti-capestro) e la malattia, quella degenerativa che non perdona. Due nemici ostici, l’uno difficile ma non impossibile da combattere, l’altro inesorabile.
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Non è facile, davanti a film come questo, sfuggire a condizionamenti pregiudiziali, visto che fa parte del filone del cinema d’impegno civile, quindi nobile per definizione e chi è sensibile a queste tematiche può avere difficoltà a distinguerne la forza di trascinamento ideologico ed emotivo dalla qualità artistica. Qui i temi di fondo sono due: la lotta agli abusi verso chi è povero quindi indifeso e oggetto di sopraffazione da parte dei potenti di turno (rappresentati dalle società finanziarie, che per i loro prestiti impongono contratti-capestro) e la malattia, quella degenerativa che non perdona. Due nemici ostici, l’uno difficile ma non impossibile da combattere, l’altro inesorabile. Protagonista è un magistrato donna e madre (Claire), che prende a cuore la vicenda di una ragazza-madre (Stephanie), la quale, oberata dai debiti, rischia di perdere la casa per l’impossibilità di pagare l’affitto. Dopo il primo effimero successo giudiziario, Claire si rivolge ad un collega disposto a darle una mano ed a continuare con lei un’azione che ben presto travalica l’ambito del singolo caso per trasformarsi in guerra a tutto campo contro una categoria di malfattori, spietatamente decisi a far valere ad ogni costo contratti vessatori per massimizzare i propri profitti. Ma Claire scopre di non avere molto tempo a disposizione e sceglie quindi di concentrare la sua residua vita sull’obiettivo sociale; l’alleanza tra i due giudici si stringe generando idee, strategie, mosse e contromosse che alla fine produrranno gli effetti sperati. Lioret gestisce i due temi della lotta sociale e della malattia spostando progressivamente il focus emotivo e narrativo dalla prima alla seconda, attenuando i rapporti in campo a favore della crescente relazione tra i due protagonisti, non univocamente etichettabile ma connotata da un misto di amicizia, solidarietà, complicità, empatia e forse incipiente ma inconfessabile (viste le circostanze) amore. E lo fa con un certo equilibrio, cercando soprattutto di evitare facili sentimentalismi sempre in agguato quando c’è di mezzo un così temuto avversario come il degrado psico-fisico dell’uomo. Il finale, seppure nella annunciata tragedia, è un messaggio di speranza ed un monito a non rinunciare a lottare contro le ingiustizie e le angherie dei vari Golia, battibili con la tenacia ed il coraggio e soprattutto con la solidarietà dei giusti. Fin qui nulla da dire. Ma Lioret è anche il regista di quel magnifico film che è Welcome -anche questo su un tema socialmente rilevante come il dramma della xenofobia verso i migranti e con lo stesso protagonista Vincent Lindon- magistrale esempio di cinema nobile fatto di pochi mezzi, dialoghi ed immagini essenziali ma che colpiscono a fondo, ritmo incalzante, assenza di qualsiasi rottura narrativa o pausa inutile. I nostri desideri, se si prescinde per un momento dall’adesione spontanea verso le lotte affrontate, è un film “normale”, dove i dialoghi non esulano dallo standard medio, non ci sono invenzioni stilistiche particolari, la recitazione è accettabile ma non memorabile. E soprattutto è assente quell’aura sublime che si respira in Welcome dall’inizio alla fine, che si chiama poesia. In ogni caso, anche se il film non è all’altezza della migliore cinematografia francese che anche negli ultimi tempi ci ha deliziato, ben vengano film come questo, che ci ricordano che certi ideali universali sono connaturati ad una visione democratica del mondo e perciò imprescindibili. Sempre.
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olgadik
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sabato 9 giugno 2012
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un intreccio tra istanze sociali e personali
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Dopo Sister, eccoci al reincontro con Philippe Lioret, ottimo autore di Welcome e di altre opere semisconosciute da noi. Come spesso accade nella sua produzione, l’autore mescola insieme il tema sociale e la storia individuale, facendolo con una autenticità e una scorrevolezza particolari. Non si può parlare di leggerezza perché la storia è quella di una malata di cancro consapevole di dover morire, ma il regista la racconta con toni normali, senza enfasi strappalacrime e con grande rispetto della dignità dell’essere umano. I suoi personaggi sono spesso collocati in situazione straordinarie, se non di emergenza, eppure continuano a tessere la loro vita, le relazioni quotidiane, le problematiche del lavoro.
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Dopo Sister, eccoci al reincontro con Philippe Lioret, ottimo autore di Welcome e di altre opere semisconosciute da noi. Come spesso accade nella sua produzione, l’autore mescola insieme il tema sociale e la storia individuale, facendolo con una autenticità e una scorrevolezza particolari. Non si può parlare di leggerezza perché la storia è quella di una malata di cancro consapevole di dover morire, ma il regista la racconta con toni normali, senza enfasi strappalacrime e con grande rispetto della dignità dell’essere umano. I suoi personaggi sono spesso collocati in situazione straordinarie, se non di emergenza, eppure continuano a tessere la loro vita, le relazioni quotidiane, le problematiche del lavoro. Claire (Marie Gillain) è una giovane magistrata; vive e lavora a Lione e la sua esistenza scorre tra affetti, difficoltà e gioie come quella di tutti, finché non scopre di avere un tumore cerebrale incurabile. Proprio nello stesso periodo il suo lavoro le presenta una causa di argomento purtroppo molto attuale oggi. Una donna con due bimbe piccole, compagne di scuola dei figli di Claire, è stata sfrattata perché, indebitata con un istituto di credito “usuraio”, non sa più dove trovare i soldi per l’affitto. Per essere aiutata a fare chiarezza, la magistrata chiede la collaborazione di un giudice più esperto e maturo di lei, un po’ routinario nel mestiere ma al fondo aperto e sensibile. Tale incontro cambierà la vita dei due, perché non solo si ritroveranno a collaborare con entusiasmo ed energia, ma diverranno sodali e amici, sviluppando un sentimento profondo e limpido. Pur senza implicazioni sessuali, la carica affettiva che Stephane (Vincent Lindon) le comunica, spinge Claire a metterlo al corrente del suo segreto: un cancro incurabile. La donna infatti ha scelto di non dire nulla ai suoi familiari perché teme di traumatizzare il marito, dolce e immaturo, e perché i figli sono troppo piccoli. Il fardello sarà perciò condiviso con il nuovo amico, al quale lei affida anche la realizzazione di piccoli-grandi desideri vitali: la nuotata fuori stagione, il tifo alla partita di rugby, qualche bicchiere di vino in più. Concentrandosi sulla realtà esterna a lei e sugli altri con i loro bisogni, Claire arriva, con una serie di sfumature, gesti particolari, semplici occhiate, quasi a “preparare” un dopo-lei per i suoi cari. Dalla malattia nasce una spinta appassionata e altruista e in qualche modo il dramma acquista una sua positività. Pur con qualche cadutina nel banale, la sceneggiatura, ellittica e non ridondante, è tale da tenere lo spettatore in tensione sulla storia, anche se sa bene come andrà a finire. Marie Gillain (la ricordiamo in Harem Suarè) e Vincent Lindon, che con le rughe in aumento cresce anche in pacata intensità, insieme a figure secondarie tutte credibili, danno vita a un racconto nel quale la denuncia sociale, non urlata ma netta, si sposa con le strane alchimie dei sentimenti e con la pietas ineludibile del caso.
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paolo_89
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martedì 19 febbraio 2013
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sfiorato il confine del sentimentalismo
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Quando ci chiediamo perchè i finanziamenti pubblici al cinema italiano sono pochi e vanno spesso nelle tasche sbagliate, dovremmo chiederci anche perchè quelli francesi sono così abbondanti, come se il governo d'oltralpe sperasse di aumentare progressivamente la qualità dei suoi prodotti. A volte ci riesce: Tutti i nostri desideri fa parte di quest'insieme, seppure abbia rischiato di scivolare fuori.
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Quando ci chiediamo perchè i finanziamenti pubblici al cinema italiano sono pochi e vanno spesso nelle tasche sbagliate, dovremmo chiederci anche perchè quelli francesi sono così abbondanti, come se il governo d'oltralpe sperasse di aumentare progressivamente la qualità dei suoi prodotti. A volte ci riesce: Tutti i nostri desideri fa parte di quest'insieme, seppure abbia rischiato di scivolare fuori.
La protagonista è Claire, un giovane magistrato alle prese con una causa apparentemente persa in partenza: un istituto di credito se la prende con Cèline, madre sola di due bambine e indebitata fino al collo anche a causa della pubblicità ingannevole che questi istituti fanno, apparendo giustamente come degli squali. Claire e Cèline, comunque, si conoscono anche al di fuori del tribunale: le loro figlie frequentano la stessa scuola, motivo per il quale Claire prende a cuore il caso della donna e ragion per cui conosce il suo collega Stéphane, in passato impegnato anche lui in processi del genere. Il dramma principe della storia, però, è un altro: a poco tempo dall'inizio del film Claire scopre di avere un tumore al cervello, per il quale esistono solo due rimedi: la chemioterapia, per allungarle la vita di qualche mese; la morte, per porre fine prematuramente ma più dignitosamente all'agonia. Claire preferisce la seconda e decide di nascondere tutto al marito, che non crede capace di reggere alla notizia, e imbarcarsi in un'odissea cui tiene testa per molto tempo. Un segreto del genere, però, bisogna pur condividerlo con qualcuno. Tutti i nostri desideri è ispirato al romanzo Vite che non sono la mia (Emmanuel Carrère) e racconta come desiderare fortemente di cambiare il mondo, nel proprio piccolo, possa spingere le persone a lottare al di sopra delle loro apparenti possibilità. Il confine tra umanità e realismo dei personaggi e melensaggine è sottile, difficile da individuare, ma in questo caso non viene attraversato. I dialoghi, infatti, non sono mai sopra le righe: semmai peccano talvolta di un'imitazione della routine che annoia, pur essendo una precisa scelta di stile. Claire e il suo prezioso compagno d'avventure Stéphane, poi, come gli altri personaggi, sono costruiti a tutto tondo e risentono in modo credibile delle svolte della storia, accompagnata da una regia funzionale e discreta. Il rapporto nato tra i due racchiude l'essenza del film: non tutti i nostri desideri possono avverarsi, ma ce ne sono alcuni su cui abbiamo un potere che neanche immaginiamo.
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filippo catani
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venerdì 12 aprile 2013
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due donne coraggiose
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Lione. Una giovane donna svolge con passione e detrminazione il suo ruolo di giudice. Un giorno le capita di esaminare il caso della madre di una amichetta della figlia. La donna è accusata di insolvenza da parte di un istituto di credito. Il giudice solleverà allora un caso che si trascinerà fino alla corte di giustizia europea ma allo stesso tempo scoprirà di avere un cancro incurabile al cervello.
Davvero intenso ed emozionante questo film diretto da Philippe Lioret e magistralmente interpretato dai due protagonisti Lindon e la Gillain. Questo perchè il film muove su due piani emotivi; da una parte c'è la battaglia di una povera donna abbandonata dal marito rifugiatosi in Croazia per non pagarle gli alimenti e deve far fronte a due figli con quello che riesce a trovare.
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Lione. Una giovane donna svolge con passione e detrminazione il suo ruolo di giudice. Un giorno le capita di esaminare il caso della madre di una amichetta della figlia. La donna è accusata di insolvenza da parte di un istituto di credito. Il giudice solleverà allora un caso che si trascinerà fino alla corte di giustizia europea ma allo stesso tempo scoprirà di avere un cancro incurabile al cervello.
Davvero intenso ed emozionante questo film diretto da Philippe Lioret e magistralmente interpretato dai due protagonisti Lindon e la Gillain. Questo perchè il film muove su due piani emotivi; da una parte c'è la battaglia di una povera donna abbandonata dal marito rifugiatosi in Croazia per non pagarle gli alimenti e deve far fronte a due figli con quello che riesce a trovare. Il tutto a causa di un ennesimo prestito contratto attraverso quelle pubblicità ingannevoli che promettono soldi quasi gratuitamente per poi far scoppiare interessi oltre il 20%. Ed è così terribile sentire l'avvocato di queste piovre velenose che elenca come questa donna possa utilizzare gli assegni familiari o lo stipendio per pagare la banca (e l'affitto e le bollette?). La donna dovrà così vivere l'umiliazione dello sfratto insieme ai propri figli. E poi c'è la giudice che si appassiona al caso riuscendo a coinvolgere un collega. Fa il suo lavoro con passione, è bella e intelligente e ha una splendida famiglia nonostante i suoi natali non siano stati dei più felici. La notizia dei pochi mesi da vivere getta la donna nel dolore ma allo stesso tempo sceglie di non curarsi e di nascondere la propria malattia ai familiari fino all'ultimo momento dimostrando una grande forza di carattere. Sarà allora il suo collega, stimato giudice ex giocatore e ora allenatore di rugby, a portare avanti l'istanza della signora fino alla Corte Europea. Insomma un film impegnato che riflette sul troppo potere degli istituti di credito con i loro contratti scritti in corpo 5 e allo stesso tempo sulle vicende di due donne che vengono tragicamente toccate dalla vita.
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luana
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martedì 15 maggio 2012
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drammone amaro sui nostri tempi
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Un concentrato, che non dà respiro, sulle disgrazie umane che non risparmiano nessuno.Se non è la malattia fisica è l'indigenza economica etc..etc..Una catena infinita di cui il regista stila una lista senza una qualche tregua.In questo inferno l'uomo si dibatte o lotta, con gli strumenti, se ci sono, che lui stesso si è costruito. E il diritto;la legge è uno di questi:fondamentale nel film in quanto legato all'idea di giustizia e dignità umana. Qualche volta si vince. Ma più spesso si perde. E quello che si perde è in definitiva il senso della vita che ci sfugge perchè manca quasi il tempo per pensarci.Il film parla sì di realtà dure e cerca di farlo in modo decoroso ma sinceramente, in questo dipanarsi lunghissimo e ripetitivo tutto è troppo finto; scontato e prevedibile e soprattutto sa troppo di manifesto di denuncia più che di racconto cinematografico.
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Un concentrato, che non dà respiro, sulle disgrazie umane che non risparmiano nessuno.Se non è la malattia fisica è l'indigenza economica etc..etc..Una catena infinita di cui il regista stila una lista senza una qualche tregua.In questo inferno l'uomo si dibatte o lotta, con gli strumenti, se ci sono, che lui stesso si è costruito. E il diritto;la legge è uno di questi:fondamentale nel film in quanto legato all'idea di giustizia e dignità umana. Qualche volta si vince. Ma più spesso si perde. E quello che si perde è in definitiva il senso della vita che ci sfugge perchè manca quasi il tempo per pensarci.Il film parla sì di realtà dure e cerca di farlo in modo decoroso ma sinceramente, in questo dipanarsi lunghissimo e ripetitivo tutto è troppo finto; scontato e prevedibile e soprattutto sa troppo di manifesto di denuncia più che di racconto cinematografico.Non ci sono momenti di una qualche bellezza o di riconsiderazione della vita alla luce di una morte imminente. Mi è sembrato un "Philadelphia" alla francese (dove in presenza della morte si parlava di diritto e soltanto di questo)con intermezzi di scene riciclate in modo sbiadito da "Love story" e da quel filone.Non basta l'ottimo e sempre adeguato attore Lindon.
TETRO.
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