Qualunquemente è un lavoro realizzato sul filo che separa il tragico realismo di Rossellini dalla farsa amara di Villaggio. Albanese rifugge dal proporre una piatta sequenza di gag, così come resta alla larga dal grottesco. La Qualunque deve essere mostruoso ma anche reale. Se questo, come immagino, è l’obiettivo, allora esso è molto ben centrato, perché Cetto risulta più un prototipo che un’imitazione.
Il suo ostentato cattivo gusto, l’orgoglio per una forma di “sana” ignoranza, il cinismo nel sacrificare moglie e figlio imbeccano una risata che ti si strozza in gola quando subentra una violenza concreta, che intimidisce il pilota della protezione civile, ricatta gli elettori, fa esplodere le auto dei politici onesti.
Il circolo della caccia, che costituisce la base elettorale e subculturale di Cetto, è il luogo perfetto per sublimare questo mix di volgarità e di primitivismo.
Naturalmente reggere novanta minuti di film sulla cesellatura del protagonista non era possibile. La sceneggiatura un po’ debole non aiuta, soprattutto perché lascia nell’anonimato personaggi come De Santis o come il Carabiniere, che avrebbero potuto essere sviluppati. Ugualmente non può valorizzare le figure femminili, perché in verità nel mondo di Cetto esse non si discostano dallo sfondo: colorate ed eccessive. Ecco allora l’ecamotage del personaggio di Rubini, consigliori politico a metà tra il professionale e il cialtrone. Rubini è istrionico ma il suo personaggio, troppo sopra le righe, non convince: i suoi consigli sono intelligenti ma superflui, perchè Cetto finisce per spuntarla abbandonando il fioretto ed imbracciando il kalashnikov della sua arroganza e disonestà.
L’unica concessione alla cronaca, che contestualizza il film nel qui e nell’ora, è dato dai misteriosi uomini della cupola, che, restando sempre in ombra, stanno già pianificando la prossima mossa: la Presidenza della Repubblica.
Albanese è bravo, ed anche se ride mentre percorre le sue scelte artistiche, sa bene dove vuole andare.
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