fabio piozzi
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sabato 30 settembre 2006
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enorme delusione
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Enorme delusione. Sono questi i termini con cui si può definire, volendo essere buoni, questo film. The Black Dalia fa acqua da tutte le parti, non lo si può negare, a maggior ragione se si è estimatori del romanzo di Ellroy. Le premesse e gli spunti per relizzare un ottimo film c’erano tutte, ma sono state o tralasciate o travisate.
S. Johansson, J. Hartnett e H. Swank sono completamente fuori parte: la prima scade nella macchietta, il secondo risulta completamente immaturo sia per doti che per aspetto, e la terza recita un ruolo che per nulla le si addice. A. Eckart compie bene il suo lavoro, risultando fin troppo bravo al confronto degli altri, e M. Kirshner purtroppo la si vede solo in qualche minuto.
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Enorme delusione. Sono questi i termini con cui si può definire, volendo essere buoni, questo film. The Black Dalia fa acqua da tutte le parti, non lo si può negare, a maggior ragione se si è estimatori del romanzo di Ellroy. Le premesse e gli spunti per relizzare un ottimo film c’erano tutte, ma sono state o tralasciate o travisate.
S. Johansson, J. Hartnett e H. Swank sono completamente fuori parte: la prima scade nella macchietta, il secondo risulta completamente immaturo sia per doti che per aspetto, e la terza recita un ruolo che per nulla le si addice. A. Eckart compie bene il suo lavoro, risultando fin troppo bravo al confronto degli altri, e M. Kirshner purtroppo la si vede solo in qualche minuto. Non si capisce del resto perché per interpretare il ruolo di una donna praticamente identica alla Dalia sia stata scelta H. Swank, che fisicamente c’entra ben poco con M. Kirshner. Nemmeno i comprimari fanno bella figura: basti vedere il grottesco e caricaturale della madre del personaggio di H. Swank.
La Los Angeles del ’47 rievocata dal film scade pienamente nel clichè, più che tentare di essere un noir. Rispetto al libro il personaggio di Lee Blanchard (A. Eckart) ha un seguito diverso, senza rivelare nulla a chi il film non l’ha ancora visto, perdendo per strada tematiche valide che avrebbero accentuato nello spettatore la suspence e il dubbio sul coinvolgimento del personaggio negli accadimenti. Per non parlare di un finale inspiegabilmente cambiato, che pretende di essere l’epilogo di un’intricata vicenda che anche chi ne è già a conoscenza si ritrova disorientato.
Il lavoro peggiore è stato quello dello sceneggiatore che adattando il testo per la pellicola non si preoccupa di toccare tematiche fondamentali che nel libro emergono: la necrofilia, l’ossessione (nel film praticamente immotivata) dei due poliziotti per il caso, i problemi di droghe di Lee, il coinvolgimento di alcuni poliziotti, etc.. Ma nemmeno De Palma ne esce a testa alta, ormai caricatura di se stesso, riprende con inutili pianisequenza e soggettive che fanno rimpiangere i capolavori precedenti.
Ovviamente passando dal libro al film è impossibile non tralasciare alcuni elementi, ma la strada qui intrapresa lascia molto da pensare e irrita: L. A. Confidential dovrebbe essere un romanzo molto più complesso, ma la sua trasposizione cinematografica, con le dovute semplificazioni, è un prodotto di livello di molto superiore.
The Black Dahlia risulta difficile da apprezzare per chi il romanzo non l’ha letto, mentre offende chi ne è rimasto attratto. E una cosa così da un regista autore di capolavori come Scarface e Carlito’s Way non è accettabile né giustificabile in alcun modo.
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chris darril
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lunedì 18 settembre 2006
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il nuovo grande capolavoro del grande depalma
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Atmosfere cupe ed intense, ricostruzioni scenografiche da premio oscar (Dante Ferretti), fotografia e regia sopraffini. Quanto aspetto ed anima poi si equivalgono, spesso nasce un capolavoro, uno di quei rari spettacoli che rimaranno indelebili nella storia del cinema. De Palma dirige un noir anni 40 e si rifà all'indubbia inventiva di James Ellroy che fa dei suoi "carta e penna" uno sbocco di fantasia criminale/malavitosa quasi per dar sfogo al suo passato sofferto (madre assassinata). Hollywood la si vede fluire di vita e luminosità, quei stupore e sorpresa riccorrenti nei primi anni d'oro del cinema americano, divi e dive, grandi successi, ingenti capitali e guadagni stellari. Eppure quel che a vedersi è uno dei maggior impieghi tecnici visivi degli ultimi anni è anche una splendida pellicola che ermeticamente racchiude un'anima sofferta e malinconica.
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Atmosfere cupe ed intense, ricostruzioni scenografiche da premio oscar (Dante Ferretti), fotografia e regia sopraffini. Quanto aspetto ed anima poi si equivalgono, spesso nasce un capolavoro, uno di quei rari spettacoli che rimaranno indelebili nella storia del cinema. De Palma dirige un noir anni 40 e si rifà all'indubbia inventiva di James Ellroy che fa dei suoi "carta e penna" uno sbocco di fantasia criminale/malavitosa quasi per dar sfogo al suo passato sofferto (madre assassinata). Hollywood la si vede fluire di vita e luminosità, quei stupore e sorpresa riccorrenti nei primi anni d'oro del cinema americano, divi e dive, grandi successi, ingenti capitali e guadagni stellari. Eppure quel che a vedersi è uno dei maggior impieghi tecnici visivi degli ultimi anni è anche una splendida pellicola che ermeticamente racchiude un'anima sofferta e malinconica. L'omicidio della bella Elisabeth Short (Mia Kirshner) è solo la punta dell'iceberg, come giustificazione di molteplici viaggi psicologici. Peccato solo ed esclusivamente per Josh Hartnett, mediocre "attoruncolo" da commedie adolescenziali che si ritrova un pò fuori ruolo, da giovane detective quale interpreta, la sua interpretazione è un pò fredda e inespressiva, più appropriata per un banale teen-trhiller. Sorprendente invece Aaron Eckhart, nella sua miglior interpretazione da un paio d'anni a questa parte, dalla faccia corucciata, delineata dalle rughe d'espressione e dallo sguardo intenso incorniciato dalla tipica e postulata faccia da schiaffi, un pò come i veri divi dell'epoca. Sempre brava la Swank, anche se lievemente minore, specie dopo aver visto l'ultimo capolavoro di Eastwood, anche se particolarmente sensuale e bella (fatale alla DePalma). Stupefacente Scarlett Johansson, dalla bellezza raggiante, imbocca sigarette in maniera felina e cattivella, con l'intensità espressiva di cui è dotata riesce a catturare chiunque si fermi ad osservarla, risultando poi successivamente una visione sopraffine e di classe ma allo stesso tempo così camaleontica ed eccitante. Indimenticabili alcune scene, azzeccati la maggior parte degli attori che ne compongono il cast, questo THE BLACK DAHLIA è dunque un variopinto ritratto di suggestione sfumato particolarmente da tonalità noir alla base di un'ermetica psicologia (crudeltà umana).
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