La ricerca della felicità |
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Un film di Gabriele Muccino.
Con Will Smith, Thandie Newton, Jaden Smith, Cecil Williams, Kurt Fuller.
continua»
Titolo originale The Pursuit of Happyness.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 117 min.
- USA 2006.
- Medusa
uscita venerdì 12 gennaio 2007.
MYMONETRO
La ricerca della felicità
valutazione media:
3,11
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Man In Reddi FaFàFeedback: 0 |
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mercoledì 17 gennaio 2007 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per dirla alla Muccino:-“questo capitolo della mia vita”, potremmo chiamarlo “recensione”. Recensione di un film triste ma bello, drammatico ma significativo, lento ma coinvolgente. Diviso in capitoli come Kill Bill, ma decisamente iper-reale rispetto al surreale di Tarantino, questo film segna un “felice” debutto hollyvoodiano per il regista dell’ “Ultimo bacio”. Ispirato ad una storia vera, la pellicola racconta la vita di Chris Gardner, “grande sombrero” della San Francisco degli anni ’80 che, tra mille difficoltà economiche, ricerca spasmodicamente quella porzione di felicità, a lui spettante per diritto dalla Dichiarazione d’ Indipendenza. Su e giù per le scomode e ripide strade della città californiana, a piedi e con il peso di una macchina medica di cui non ci si riesce a liberare (metafora forse dei problemi della vita ?), sempre con lo stesso abito da festa, con l’orgoglio e la speranza di chi sa che prima o poi arriverà il suo “indipendence day” economico, la sua occasione. Questa è la vita di Chris. Un uomo dalle ossa forti, quello interpretato da un bravissimo (anche da statuetta) Will Smith, tanto forti, da infrangere il parabrezza di una macchina (o forse della vita?) e poi rialzarsi per andare a “lavoro”, magari claudicante, ma mai per un osso rotto, ma, al massimo, per una scarpa persa. Simbolo di un uomo-abito che può perdere la sua etichetta ma non la qualità della sua forte stoffa. Basterebbe la capacità di sopportare i fallimenti di un lavoro in cui si erano investiti tutti i propri risparmi, e la compostezza nell’accettare la felicità quattro ruote degli altri esibitagli in faccia, a renderci simpatico questo vinto, ma basterebbe a noi, non alla sceneggiatura. Sì perché per quelle salite e discese di San Francisco, passa anche la vita di un figlio di 5 anni (1 nella realtà del vero Gardner), condannato a studiare la storia della marina americana guardando “Love Boat” in uno sgangherato asilo del quartiere cinese e a scriversi una lista di regali per il compleanno, per la sola illusione di avere poi ottenuto in quel unico destinatogli, il più bello, il più atteso. E qui Muccino si fa un po’ Benigni, ma senza la poesia e magia del regista toscano, e questo “la ricerca della felicità” si fa un po’ “la vita è bella”, sostituendo ai nazisti i ricchi indifferenti, ed alle file degli ebrei senza futuro, quelle dei barboni senza tetto. Facce diverse eppur a volte così simili di una società ancora profondamente squilibrata e ingiusta. Ed è qui, in questo campo di “sconfortamento” che Smith “benigneggia”, addolcendo la dura realtà al figlio amato (anche nella vita vera) attraverso la pillola dell’immaginazione e della bugia a fin di bene, coprendo lui le orecchie dai rumori della terribile realtà, proprio come il padre ebreo coprì gli occhi del suo piccolo dinanzi alla montagna di cadaveri. Girare mille e mille volte i pezzi del cubo di Rubik cercando disperatamente di risolverne il rompicapo, ed accorgersi che a riuscirci alla fine è solo chi non lo fa per spasso o intrattenimento, ma chi ogni giorno è impegnato a sistemare i pezzi della sua vita, questo è forse l’insegnamento primario di questo film, che restituisce al cinema un Muccino finalmente liberato dai tradimenti e le ipocrisie della media borghesia, e regala agli spettatori una grande interpretazione dell’ ex uomo in nero, qui “in rosso”, ben lontano dal mingherlino viziato di Bel Air, ma molto più uomo, nel fisico e nel personaggio. Dormire a cinque anni in uno squallido Motel, ma stringere ugualmente con forza il proprio pupazzo di Capitan American e trovare alla fine “nella terra delle opportunità” la propria chance, sono forse gli elementi più stelle e strisce della pellicola, simboli di un cinema che anche quando critica un po’ celebra, e che raccontando (bene) la storia vera (e bella) di uno che c’è l’ha fatta, non può farci dimenticare, tutti quelli ancora lì in fila, per un tetto/letto sotto/in cui dormire.
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