Love Actually - L'amore davvero

Marco Spagnoli

“L’ amore è la risposta”: chissà se Richard Curtis, sceneggiatore delle commedie sentimentali meglio riuscite degli ultimi anni, ha mai pensato quanto un giorno sarebbero apparse profetiche le parole pronunciate da Andie McDowell nel suo celebre discorso nuziale in Quatto matrimoni e un funerale. Dieci anni più tardi l’amore è ancora la risposta. Almeno al box office. Proprio grazie all’enorme successo delle commedie romantiche Notting Hill, Il diario di Bridget Jones e la prevedibile fortuna di Love Actually - L’amore davvero (film in cui Curtis debutta come regista) la Working Title è diventata la casa di produzione europea dei record, incassando due miliardi e mezzo di dollari con la produzione di una settantina di titoli e la vittoria di quattro Oscar con film d’autore come Elizabeth, Fargo e DeadMan Waiking.
Dallo scrittore tradito (Colin Firth) che si innamora della cameriera portoghese al primo ministro inglese (Hugh Grant) colto da imbarazzata infatuazione per una delle sue collaboratrici, al ragazzino undicenne invaghito di una compagna di scuola. Il cast stellare (oltre a Hugh Grant e Colin Firth ci sono Emma Thompson, Liam Neeson, Alan Rickrnan, Billy Bob Thornton” segue le fila di una sceneggiatura che ha il ritmo di un orologio svizzero. “In un mondo del cinema in cui la maggior parte delle sceneggiature sono inconsistenti, noi guardiamo sempre a come i nostri film vengono scritti”, spiegano i due produttori. “La sceneggiatura di un film romantico, viene “ripulita” fino a trenta volte. Abbiamo speso un milione di dollari prima di girare una sola singola scena di Love Actually. Non sorprende quindi che una casa di produzione del genere abbia scelto un autore colto e attento come Curtis per dare quel “tocco magico” a tutte le produzioni.
Curtis si schermisce: “Devo molto alla cattiveria della mia compahna, Emma Freud (pronipote di Sigmund), e al suo modo spietato di tagliare e di fare l’editing di quello che scrivo”, spiega lo sceneggiatore che ha appena finito di scrivere Bridget Jones 2. “Quando ho terminato la sceneggiatura di Love Actually mi sono accorto che sarebbe durato cinque ore. Ho sempre pensato che il valore di un film stia nel creare una sorta di continuità emotiva che nasce dalle azioni dei protagonisti. Così è stato particolarmente difficile ridurre al minimo le dieci storie che sarebbero state interpretare da attori del calibro di Colin Firth, Hugh Grant, Liam Neeson”.
Cose che possono capitare in una commedia corale, che - a differenza del solito - non finisce con un intreccio di tutte le storie e in cui non per lutti c’è il “lieto fIne”. Un’altra idea innovativa di Curtis, che sorride pensando alle anteprime di prova per il pubblico americano: “È stato buffo quando il pubblico ci chiedeva cosa sarebbe accaduto ai personaggi di Emma Thompson e Laura Linney. Avevano perfettamente compreso quello che succedeva, soltanto che non gli piaceva. Del resto una commedia sentimentale deve essere un po’ lo specchio della realtà del Natale: ci sono anche tante persone tristi. L’amore non porta sempre felicità”. Gli fa eco uno dei protagonisti, Alan Rickman, che aggiunge: “La luce ha bisogno del buio. È da qui che nasce l’equilibrio. I nostri ruoli servivano ad impedire che tutto diventasse una favola. Era un modo per far capire che si tratta di personaggi realistici che hanno bisogno di usare la toilette”.
Tra le tante creazioni, una delle più interessanti è quella del primo ministro interpretato da Hugh Grant. Un personaggio accattivante nato - come spiega il regista - sul sempre più sottile confine tra politica e lo spettacolo: “Una volta si diceva che la politica era lo showbusiness dei brutti. Oggi il problema è che i politici parlano troppo e non possono dire sempre la verità. È normale, dunque, che gli attori possano apparire come dei bravi politici. Si tratta di persone che sembrano dire sempre la verità...”. Autore di testi satirici sin dopo aver lasciato l’università di Oxford, dove aveva conosciuto Rowan Atkinson per cui ha scritto la serie di Mr.Bean, il quarantasettenne autore neozelandese nega di divertirsi nel ridicolizzare di fronte al pubblico Hugh Grant, di cui sembra volere sempre mettere in risalto il lato più fragile e comico. “Hugh per me rappresenta una rete di sicurezza. In genere quando scrivo un personaggio non penso a lui, ma alla fine scelgo sempre lui”.
Ma Hugh Grani non si sente particolarmente preso in giro: “Non credo che Richard mi perseguiti, anche se la scena in cui ballo da solo a Downing Street è la peggiore mai realizzata nella storia del cinema. Almeno questa volta, facendomi fare il primo ministro, ha scelto per me una professione ben retribuita. In Notting Hill ero un oscuro libraio, in Quattro matrimoni non ce l’avevo nemmeno un lavoro...”.
Da Il Venerdì di Repubblica, 14 novembre 2003


di Marco Spagnoli, 14 novembre 2003