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Storia 'poconormale' del cinema: puntata 131

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino e Rossella Farinotti

Il quadro 'La mort de César' di Jean-Leon Gerome (1859) a confronto con una scena del film Il gladiatore di Ridley Scott (2000).

venerdì 9 settembre 2011 - Focus

Il cinema e l'arte
C'era un tempo in cui la Roma antica era molto importante, parlo di cinema naturalmente. La prima edizione di Ben Hur di Fred Niblo, è del '26, il cinema neppure parlava. Nel '59 ecco la versione di Wyler, con Charlton Heston, primatista di Oscar, insieme al Titanic, undici, decisamente meritati. I costumi dell'antica Roma davano ai registi e ai costumisti possibilità infinite. Per Ben Hur la produzione poteva valersi del romanzo di Lew Wallace, autore diligente e ricercatore preciso, descrizioni accurate e certo preziose per i film. Tuttavia la scrittura non sono le immagini e la immagini di allora, si parla di venti secoli fa, sono davvero lontane e... sfumate. Il look romano, trasmessoci dai dipinti dell'epoca, non è sfarzoso e colorato come quello del cinema, è più che sicuro. E poi, sappiamo, il cinema possiede tutte le franchigie, anche quella di vestire un romano dei tempi dell'impero con abiti e manifatture impossibili per i mezzi di allora. Robert Taylor, che fa Marco Vinicio, console di Nerone, in Quo vadis?, nella parata del trionfo indossa un'armatura pettorale d'oro, con bassorilievi e fregi che... neppure Dolce e Gabbana. Ribadisco, è il cinema.

Pittura
Poi c'è la pittura, quella grande, che fa testo. Ed ecco che, ancora una volta, a soccorrere il cinema arriva l'arte figurativa. I titoli che hanno fatto la storia di Roma e quella del genere sono i già citati Ben Hur e Quo Vadis, e poi La tunica, il suo sequel I gladiatori, e poi Spartacus. Erano gli anni cinquanta e i primi sessanta. Una citazione la merita anche La caduta dell'impero romano, del 1964. Nell'era moderna è quasi superfluo citare un titolo fin troppo popolare, Il gladiatore di Ridley Scott. Armature, cavalli bardati e bighe, popolo nelle piazze, monumenti, l'arena, eserciti schierati. Se il budget era all'altezza l'antico apparato ne guadagnava esponenzialmente e lo spettacolo era alto. Non è un caso che quando la Fox volle rivoluzionare il cinema, inventando nel 1953 il Cinemascope, per valorizzare col grandissimo spettacolo il vasto spazio orizzontale, scelse proprio l'opzione "Roma antica", e produsse La tunica. Il film, diretto da Henry Koster ebbe la nomination all'Oscar. E comunque davvero il cinema cambiò, riacciuffando e riportando nelle sale –almeno in parte- un pubblico che era stato sottratto dalla televisione.

Estetica
Ogni genere, ogni estetica del cinema ha il suo riferimento figurativo e naturalmente ce l'ha ogni personalità e ogni attitudine. Minnelli, ha assunto il multicolore dolente di Van Gogh, Kubrick le forme dell'arte contemporanea di Mondrian e Brancusi. Peplum-Roma antica ha un ispiratore, potente: Jean-Léon Gérôme. L'artista (1824-1904) fa parte della più bella tradizione francese dei grandi figurativi, prima dell'avvento degli impressionisti. Era la scuola appena successiva a un Delacroix, quello dell'incoronazione di Napoleone, della quale faceva parte Delaroche, maestro di Gérôme. Tutti titolari di una impeccabile base accademica, con in più la capacità di leggere e poi raffigurare, e ottimizzare, diciamo così, al di là della rappresentazione "fotografica", i soggetti. Il pittore aveva una grande passione per i popoli e per la storia, soprattutto per la classicità. La sua corrente ha una sotto-definizione, chiamiamola così: neogreca. Ma era interessato a tutte le culture. Fra i suoi quadri più importanti, soggetti che pregano nel deserto, o nella moschea, siano dunque nell'Islam, e poi un Napoleone davanti alla sfinge. E poi l'India, ancora la Grecia. Infine, appunto, Roma. Per i costumi dei senatori il cinema deve molto a Gérôme. Una delle opere fondamentali è l'assassinio di Cesare nel foro romano. I cospiratori, tutti nella tradizionale divisa bianca, alzano, trionfanti, i pugnali. Questa istantanea è stata rivisitata, con molta attenzione da Mankiewicz per il suo shakespeariano Giulio Cesare, con Brando nella parte di Antonio. Ma anche Scott, nel non ha perso di vista quel quadro, rappresentando l'imperatore Commodo che visita il senato. E poi "Il gladiatore nell'arena": è impressionante, in chiave di ispirazione. Il gladiatore, del 1955, di Delmer Daves, rititolato Demetrio e i gladiatori per separarlo dal film di Scott, deve moltissimo a Gérôme. Non è davvero facile distinguere il dipinto dal fotogramma.
Ancora una volta, un grande risultato, letterale, di arte applicata.

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