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Horror frames: Sheitan, l'orrore rurale

L'ondata francese nel genere horror.
di Rudy Salvagnini

Violenza e realismo sono gli ingredienti dell'horror francese

venerdì 4 dicembre 2009 - News

Violenza e realismo sono gli ingredienti dell'horror francese
Sono passati i tempi in cui l'horror francese era rappresentato da rare incursioni, talvolta molto brillanti, come La vestale di Satana di Harry Kümel (peraltro belga) e dall'eroica figura di Jean Rollin, con le sue eleganti vampire.
Oggi la Francia - in coproduzione o da sola - è una delle realtà più interessanti del panorama orrorifico internazionale. La cinematografia francese è stata capace di reinventarsi completamente nel genere, mantenendo nel contempo una precisa specificità locale che garantisce una certa originalità. L'ondata horror francese è stata caratterizzata per lo più dall'accoppiata violenza (a volte anche estrema) e realismo, immergendo le storie in un contesto del tutto riconoscibile e condivisibile dagli spettatori. Film come Frontiers - Ai confini dell'inferno di Xavier Gens (con l'inizio ambientato nelle tumultuose banlieu parigine) e Them di David Moreau e Xavier Palud (con il problematico rapporto con i nuovi contesti sociali) coniugano con efficacia una descrizione realistica della società con un orrore che, proprio per questo, acquista maggiore credibilità.
In questo contesto, l'horror rurale è uno degli aspetti più ricorrenti e non a caso. Lo spettatore cinematografico - prevalentemente cittadino - ha perso contatto con la campagna e la vede come qualcosa di alieno. Quindi, non è difficile far passare il concetto che sia potenzialmente pericolosa, come avviene per tutto quello che è diverso o non si conosce. Il lato bucolico viene presto travolto da quello selvaggio. Gli horror rurali
Tra gli horror rurali, a parte il celebrato Calvaire di Fabrice Du Welz, è senz'altro da recuperare il meno acclamato Sheitan di Kim Chapiron, con l'incisiva partecipazione di Vincent Cassel, uno degli attori francesi più popolari, qui anche produttore.
Il giorno prima della vigilia di Natale, in una discoteca, l'alticcio Bart (Olivier Barthelemy) - lì con i suoi amici Thaï (Nico Le Phat Tan) e Ladj (Ladj Li) - provoca una rissa e ha la peggio. Cacciato dal locale, Bart è raggiunto dai suoi amici, da Yasmine (Leïla Bekhti), la barista della discoteca, e da Eve (Roxanne Mesquida), una cliente. Quest'ultima propone a tutti di andare nella sua casa di campagna. Una spensierata corsa pazza porta l'allegro gruppo il mattino dopo a casa di Eve. Li accoglie il custode pastore Joseph (Vincent Cassel). La grande casa di Eve è affascinante e piena di cose curiose, come le bambole provenienti dal negozio del padre della ragazza. Bart è però inquieto per l'insistente e ambigua cordialità di Joseph. E non ha torto.
Il film mette a confronto un gruppo di scafati ragazzi cittadini che pensano di saperla lunga con la ruvidezza e le strane abitudini degli abitanti della campagna. Senza le demonizzazioni dei cloni di Un tranquillo week-end di paura e con solo una frazione del palese abbrutimento di Calvaire, Sheitan (il diavolo, come viene spiegato nel film) presenta una situazione bucolica che si colora via via di un'inquietudine strana, animata da bizzarrie sinistre e dalla cortesia appiccicosa e contraddittoria del rude personaggio interpretato con divertita maestria da un Vincent Cassel fuori dal suo genere di ruoli e spesso anche fuori da ogni senso della misura. La difficoltà di decifrare la situazione rende handicappati i cittadini, che tentano di restare cool, ma sono totalmente spiazzati. Lento e insinuante nel costruire le premesse, nel presentare i personaggi e nel porli in relazione tra loro sullo sfondo di un disegno montante dai contorni che si precisano col trascorrere del tempo, il film conflagra in un'ultima mezz'ora allucinata e dinamica con un Cassel in versione Hulk e una fantasmagoria di eccessi a compensare la relativa compostezza della prima parte. Tocchi psichedelici danno una dimensione curiosa alla conclusione beffardamente blasfema, anche se non troppo stringente sul piano della logica narrativa.
Roxanne Mesquida, già sfolgorante in A mia sorella! di Catherine Breillat, lo è anche qui. Esordio alla regia di un lungometraggio per Kim Chapiron (classe 1980): promette bene. E promette bene anche l'horror francese nel suo complesso.

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