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Il cinema italiano risorge dopo Cannes: ma è vero?

L'attuale qualità del cinema italiano non basta a farci risorgere.
di Pino Farinotti

Il caso Gomorra

martedì 3 giugno 2008 - Focus

Il caso Gomorra
Uscendo dalla sala dopo aver visto Gomorra, durante la lenta processione di uscita, una signora diceva a un'amica "mamma mia che angoscia... era meglio non vederlo". L'altra ha ribattuto "eppure ho letto che è un capolavoro." Queste due semplici frasi evocano la didascalia, l'intento che MYmovies ha assunto dal "Farinotti" cartaceo: "dalla parte del pubblico". Una delle voci principali è proprio racchiusa in quel botta e risposta: la critica esalta un film e il pubblico dice "era meglio non vederlo".
Il malumore della signora può esser facilmente, semplicemente tradotto: il solito orrendo degrado italiano, ma bisogna proprio farlo vedere? La mia risposta è che comunque bisogna farlo vedere. Meglio se è di qualità. Solo che la qualità non c'era quasi mai. E questa è la buona notizia: adesso la qualità c'è. Ma ancora non basta. Cannes ci ha assegnato due premi importanti, non il più importante. È legittimo. Perché per la Palma... mancava qualcosa. Dal Festival si è levata una voce, alta, quasi solenne: il cinema italiano è risorto. Significa che prima era morto. Ma non lo diceva quasi nessuno.

Il buono e il cattivo
Da molte stagioni il nostro cinema sa soltanto "guastare", non sa proporre. Mostra il degrado e la depressione, il contrasto sociale, mostra le differenze con odio, mostra cattivi modelli. Il racconto, che sia letteratura o film, vive da sempre su due figure non solo indispensabili ma, usando una definizione matematica, necessarie e sufficienti. Sono l'eroe e l'antagonista, sono il buono e il cattivo. Non si può procedere solo... a cattivi. La storia diventa zoppa, per un po' può anche avanzare, ma poi si arresta.
Nel film La bestia nel cuore di Cristina Comencini uno dei personaggi era Negri, un regista che vorrebbe fare cinema ma è costretto al compromesso mediocre della televisione. Dice una frase importante: "lo sai cosa mi piacerebbe nel mio film? L'idea di raccontare l'uomo partendo dai suoi detriti, quello che nascondi nei cassonetti dell'immondizia". Quel personaggio detta il primo comandamento del cinema italiano: il cassonetto. Con questa dichiarazione la Comencini si premunisce con una excusatio, e nei suoi film mostra davvero di saper rovistare nell'immondizia, magari con compiacimento, ma poi si ferma lì. E molti altri registi come lei. Il cassonetto italiano è sigillato, non lascia filtrare neppure un barlume chiaro, almeno uno spettro di speranza.

Talento visivo
Con Gomorra Matteo Garrone ha costruito un'opera drammaticamente efficace per realismo e verità, con ottimo talento visivo, con un linguaggio perfetto a rappresentare quel girone dell'inferno, un micromondo dalle regole precise e orribili, con gesti, parole, luoghi, mercato, vita tutta, traducibili e comprensibili soltanto dall'interno, come un dialetto della foresta africana. Tutto è normale, anche i morti. Mettere la testa, puntare gli occhi fuori dai muri dell'inferno? Neanche a pensarci. Il futuro e le prospettive sono solo lì. Le regole e la scuola sono solo quelle, come la morale. La morale? Ma quale morale. In sostanza il regista ha montato un documento di alta creatività. Ma aveva la via tracciata dal libro di Roberto Saviano, che risolveva quasi tutti i problemi in partenza, va rilevato. Il carattere, distinguendo naturalmente la qualità –e la quantità- della violenza, è molto vicino a un servizio televisivo, è roba da Ballarò, Anno zero, ma di classe, artisticamente evoluta. La parola sarebbe "docufiction", qualcosa più del documentario, qualcosa meno del cinema. Comunque, va ribadito, di qualità alta.

Regista preferito
Il Divo è un ottimo film. Prima di tutto è un film. Non ci sono solo istantanea e documento, c'è invenzione. Sorrentino ha scovato soluzioni, contenuti e caratteri che si staccano, verso l'alto, dalla massa grigia, omologata, triste e sorpassata, del cinema italiano. Fa star male e fa sorridere, attraverso vicende scritte da lui, e questa è la buona novella: Sorrentino sa scrivere. Non succedeva... da Moretti. Ho spesso sostenuto essere Moretti forse l'unica prova d'esistenza in vita del cinema italiano. Adesso abbiamo anche Sorrentino. Nei test per la selezione dei candidati della Scuola Nazionale del cinema – Centro Sperimentale, occorreva indicare un regista preferito. Il nome di gran lunga più citato era Sorrentino. È un segnale che non va trascurato, anche perché i candidati – fra i 22 e i 28 anni- vengono tutti da lauree in comunicazione, spettacolo, spesso con indirizzo cinema, dunque hanno gli strumenti per un giudizio. Ne Il Divo, Andreotti è una figura eccessiva, tragica alla Euripide, ma con tratti grotteschi e a volte comici, persino con scatti da animazione. Eppure "è" Andreotti, con la sua intelligenza esclusiva e allarmante, la sua attitudine non scrutabile e inavvicinabile, coi suoi misteri e tutto il resto. La personalità del politico, toccata e sostenuta dal quel modo creativo, prende un'accelerazione, evade dal documento e diventa cinema vero. C'erano da gestire i confini impalpabili del grottesco e dell'invenzione, il filo pericoloso di un rasoio. È stato bravo Sorrentino a trovare quel registro e quella misura, e questo gli viene anche dallo spessore dello scrittore vero, che ha qualcosa di più dello sceneggiatore puro.

Cosa italiana
Tutto bello... ma manca qualcosa. Manca la solita cosa italiana. Due film non bastano per una resurrezione o per un movimento, o per la storia. Durante tutta la vicenda del cinema ci sono stati i momenti della storia, conosciuti: i russi e i tedeschi, ancora "muti"; i grandi filoni comici "muti"; il triste nord espressionista; i francesi del Fronte popolare; noi del Realismo e della Commedia; gli americani spalmati nei decenni, dal New Deal ai generi di cui sono maestri; il richiamo orientale di Kurosawa; ancora i francesi del "cinema per il cinema" della Nouvelle vague. Non voglio citare i nostri eroi-artisti generali, i Fellini, Visconti, De Sica eccetera, proprio perché... individuali. Senza andare tanto indietro, per rimanere al contemporaneo con echi ancora ascoltabili, voglio rifarmi a due movimenti recenti, di diritto nella storia, i tedeschi e i britannici. Farò due citazioni. Ne Il cielo sopra Berlino (Wenders '87) il "cassonetto" è quello della città tedesca nell'immediato dopoguerra, figuriamoci. Due angeli guardano la gente, uno di loro rinuncia alla propria natura per diventare essere umano. Eccola l'indicazione, che nasce da un sentimento complesso e doloroso (c'è in giro un dolore come quello?), dove l'autore propone un segnale mistico, un sogno forse provvidenziale. Grande film che merita di fare storia. Ricordo Full Monty (Cattaneo '97), vicenda di disoccupati che si ingegnano e diventano spogliarellisti mentre in Inghilterra governa la Thatcher. Quel cinema prendeva atto della depressione larga e dura di quel momento storico, ma la affrontava e la esorcizzava con storie utili, benemerite e di qualità. Non stava lì soltanto a rovistare nel cassonetto. Si rimboccava le maniche e indicava una discarica. E la gente frequentava volentieri le sale.
Anche noi, nell'era recente, abbiamo prodotto, raramente, casualmente, qualcosa di importante, titoli che proponevano e inventavano con qualità. Mi riferisco a La vita è bella di Benigni e a La Stanza del figlio di Moretti. Guarda caso i due film hanno vinto, rispettivamente, l'Oscar e la Palma d'oro. Ma sono eccezioni, progetti solitari, che non fanno "storia del cinema italiano".

Buone e utili
Gomorra ha mostrato energia, intensità, ha trasmesso realismo muovendo la macchina come occhi febbrili. Il Divo ha applicato alla vicenda storica, al documento, al dramma pesante, l'invenzione divertente e intelligente, con l'inserto riuscito dell'ottima scrittura. Sorrentino ha lavorato, e con coraggio, su un tema conosciuto.
Dunque, adesso possiamo contare su una base per una partenza, per un'evoluzione, per un ulteriore sforzo creativo verso indicazioni buone e utili. È la funzione del grande cinema, accreditata, fra gli altri, da uno che conosce bene l'argomento, Jean-Luc Godard. Che cosa sono gli angeli di Berlino, lo spogliarello inglese, il bambino che gioca nel lager, se non indicazioni buone e utili.
Dunque, detto questo, da Cannes è arrivato un bel segnale. Adesso si tratta di aspettare, e vedere.

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