Carnage |
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Un film di Roman Polanski.
Con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
Titolo originale Carnage.
Drammatico,
durata 79 min.
- Francia, Germania, Polonia, Spagna 2011.
- Medusa
uscita venerdì 16 settembre 2011.
MYMONETRO
Carnage
valutazione media:
3,68
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Le macerie della borghesiadi quieromirarFeedback: 1436 | altri commenti e recensioni di quieromirar |
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martedì 6 dicembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“Non possiamo dominare una cosa che ci domina” sottolinea col suo sorriso più ipocrita il padrone di casa dopo l’improvvido vomito della sua ospite. Ed è appunto questo che accade in “Carnage”, l’ultimo film di Roman Polanski attualmente nelle nostre sale: l’impossibilità di dominare l’istinto della sopraffazione, di irreggimentarlo in una visione ordinata del mondo. L’incontro tra due coppie che discutono del comportamento dei loro figli (uno ha ferito l’altro con un bastone) degenera in un scambio d’accuse che non fa prigionieri: il velo del perbenismo si squarcia rapidamente e le recriminazioni s’infittiscono, scatenando un conflitto anche tra i coniugi stessi, costretti a portare alla luce tutta la pochezza delle proprie dinamiche relazionali. Ispirato alla pièce “Il dio della carneficina” di Yasmina Reza che ha scritto con il regista la sceneggiatura, il film scandisce senza perdere un solo colpo le fasi di un gioco crudele, valorizzando al massimo le potenzialità degli attori. Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C.Reilly sono perfetti nel distruggere le maschere che si sono imposti per compiacere le regole non scritte del comportamento sociale: quello stesso comportamento che autorizza all’occorrenza l’abuso e l’assenza di scrupoli, come mostra il cinico avvocato interpretato da Reilly o il marito tratteggiato da Christoph Waltz, che mina dall’interno la propria famiglia con il rancore e l’egoismo. Le due donne non sono però da meno nell’offrire un inquietante ritratto di sé, visto che si scatenano come iene nel momento in cui ciò che per loro ha un senso entra in crisi. La vera molla che scatena l’inferno è l’attentato allo status quo, non un bisogno di difendere un qualsivoglia ideale di civile convivenza. La dimensione teatrale suggerita da un’azione che si svolge quasi totalmente tra quattro mura è solo un indizio della prigione che i protagonisti si costruiscono attorno pur di difendere il proprio orgoglio. Le numerose inquadrature in cui le figure si specchiano rivelano la mancanza di reali aperture dialogiche e l’impossibilità di distinguersi da quello scomodo riflesso di sé che è l’altro. Quando le due donne parlano di arte, sono ritte una di fianco all’altra senza guardarsi, perché stanno recitando un ruolo dettato dalle convenzioni che però si rivela del tutto falso e fa tracimare il disagio. I personaggi si ritrovano a lungo disposti a chiasmo, per cui ognuno intercetta sulla linea del suo sguardo l’interlocutore che vorrebbe evitare e in cui immancabilmente si ritrova. Non sono però solo le macerie della borghesia a essere al centro del film, ma anche la sua totale incapacità di percezione. La scena iniziale mostra lo scontro tra i ragazzi in lontananza: una distanza legata al non saper comprendere le linee di forza di un evento e al fatto che il ferimento è solo un alibi per scatenare le proprie nevrosi. La scena conclusiva in cui i figli giocano insieme – e che parte beffardamente dallo sguardo di un criceto abbandonato dai consorti “concilianti” e creduto morto- non è un lieto fine. Sta solo a indicare che la vita vera, quella fatta di guerre ma anche di riscoperte inattese di chi ci sta davanti, avviene al di fuori del solco tracciato da adulti che possono solo assistere al proprio fallimento. Causa ed effetto del conflitto restano al di fuori della loro portata. I due giovani sono vicini nell’ultima scena e la loro tranquillità fa forse da preludio al prossimo massacro
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