Se tra trent'anni ancora parleremo delle oniriche ma tangibili intuizioni estetiche di Luca Guadagnino, di certo sarà questa sua opera che toccherà nominare per prima, perché unicamente e sensibilmente viva.
"Call me by your name and I'll call you by mine", lo sussurriamo con i protagonisti, lo sentiamo con loro, in questo magistrale dipinto di amore che il regista fa su di una perfetta narrazione già consolidata e portata alla fama dall'autore del romanzo da cui è tratto il film, André Aciman.
Elio e Oliver, colonne portanti di questa storia, sono due lati di noi stessi; convivono in noi in una indecisione nel riuscirsi ad identificare in uno o nell'altro personaggio con una poesia tale da farci perdere nel racconto di un amore così fresco e così vero.
I paesaggi, i dialoghi, gli sguardi, la colonna sonora, tutto agisce in funzione di una definizione delicata ma convincente di due profili psicologici che rendono questo film uno dei migliori degli ultimi anni.
Call Me By Yor Name non è un film per tutti, è un film che narra di un amore esteta e fugace con una delicatezza che può molto piacere così come non farlo. È un'opera d'arte da Sidrome di Stendhal, da pianti sinceri, da lacrime di compenetrazione, da treni che passano una sola volta nella vita e che forse abbiamo anche perso. È un film per anime che amano il bello e che da esso sono emotivamente, fisicamente, intellettualmente attratte. Si fa spazio, come fosse un'opera di letteratura arcaica, tra le viscere della nostra più intima natura per ricordarci come la vita, l'amore, l'esistenza stessa ci rendono unici, ci rendono noi.
Luca Guadagnino porta alla luce un prodotto che trova casa in una definizione che sta in un punto d'incontro tra il pop, il noir, l'alternativo ed il film d'autore con una nonchalance e un'apparente semplicità propria solo dei più grandi e che fa uscire dalla sala con la sensazione di aver visto qualcosa di insolitamente importante.
È un film da vedere più e più volte, perché si fa riscoprire di volta in volta in ogni suo dettaglio, in ogni sua sfumatura e pelle d'oca. Ti accarezza, ti culla, ti emoziona come poche cose fanno.
La sensazione generale che si ha durante la visione di questa poesia cinematografica è quella di stare vedendo uno spaccato di realtà dai tratti onirici, quasi come fosse una fiaba cui è stata ricordata l'esistenza della sofferenza. Corre lungo i nostri pensieri come una di quelle bici sulle verdeggianti colline lombarde che fanno da sfondo alla produzione di questo film, per poi restarti nel cuore e scavare un suo spazio, tra atri e ventricoli, dove i frutteti, la campagna, il cielo azzurro e le camicie svolazzanti sono il primo esempio di vera bellezza.
Luca Guadagnino, accompagnato dai magistrali Timothée Chalamet e Armie Hammer, dipinge con una grazia indescrivibile un sogno dai tratti delicati ma dai colori accesi. Come poche opere fanno, questo film si trova tra le mani una raccolta di splendide immagini che sottolinea l'ineccepibile e mirato gusto per l'emozionante bello che il suo regista possiede.
Un'arte, quella nata dalla collaborazione di tutte le figure portanti della produzione del film (James Ivory ad una incredibile sceneggiatura non originale), che fa di se stessa un eterno Elogio alla bellezza. Un'arte, che, con i suoi pregi, fa sperare che quei 132 minuti non abbiano mai fine.
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