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Chloé Zhao

Chloé Zhao (Zhao Ting) è un'attrice cinese, regista, produttrice, sceneggiatrice, montatrice, è nata il 31 marzo 1982 a Pechino (Cina). Al cinema il 5 febbraio 2026 con il film Hamnet - Nel nome del figlio.
Nel 2021 ha ricevuto il premio come miglior regia al Satellite Awards per il film Nomadland. Dal 2018 al 2021 Chloé Zhao ha vinto 11 premi: BAFTA (2021), Critics Choice Award (2021), Directors Guild (2021), Golden Globes (2021), NSFC Awards (2021), Premio Oscar (2021), Satellite Awards (2021), Spirit Awards (2018, 2021). Chloé Zhao ha oggi 43 anni ed è del segno zodiacale Ariete.

La prima regista asiatica da Oscar

A cura di Fabio Secchi Frau

Regista cinese che ha attirato l'attenzione di Hollywood con un grande impatto anche in Europa, Chloé Zhao si è imposta all'attenzione di pubblico e critica attraverso il suo lavoro nel cinema indipendente statunitense, che era stato accolto con grande positività già a partire dalla sua opera di debutto.
Arrivata al terzo film, oltre a ricevere diverse nomination per premi internazionali, vince due Oscar, tra i quali quello come miglior regista, diventando la seconda donna della Storia del Cinema a ottenere quel riconoscimento e la prima donna asiatica a ottenerlo.

Lo stile
Lo stile registico di Chloé Zhao si distingue per una profonda autenticità artistica e una libertà creativa che permea ogni aspetto del suo cinema, dalla fotografia al montaggio, dai dialoghi alla struttura narrativa. La sua impronta personale è riconoscibile nella scelta di raccontare storie di individui ai margini (nomadi, cowboy feriti, comunità native) con uno sguardo empatico e contemplativo, privo di giudizio e ricco di umanità.
La regista dissolve i confini tra finzione e documentario, impiegando attori non professionisti che interpretano sé stessi e costruendo trame fluide, episodiche, dove il tempo è dilatato e la narrazione si affida più ai gesti quotidiani che ai climax convenzionali. La fotografia, spesso da lei affidata a Joshua James Richards, utilizza luce naturale e paesaggi vasti come specchio dell'interiorità dei personaggi, mentre i dialoghi, scarni e improvvisati, lasciano spazio al silenzio come forma espressiva, mentre un montaggio meditativo e libero riflette il ritmo emotivo più che quello narrativo, contribuendo a una visione del mondo antispettacolare, spirituale, in cui la libertà, la solitudine e la ricerca di appartenenza si intrecciano con una poetica della resilienza.

Studi
Nata nel 1982 a Pechino, figlia di un ex direttore generale della Capital Steel Company, una delle più grandi acciaierie cinesi del gruppo Shougang, e di una dipendente di un ospedale, Chloé Zhao cresce in una famiglia benestante, leggendo comics, ascoltando la musica di Michael Jackson e guardando i film di Wang Jiawei.
All'età di sedici anni, vive il divorzio dei suoi genitori e il nuovo matrimonio del padre che si sposa con l'attrice cinematografica e teatrale Song Dandan. Iscritta a una scuola privata, dopo aver completato la sua istruzione, si trasferisce all'Università del Massachusetts per studiare cinema, uscendone laureata nel 2005.

I corti
Le sue prime opere sono cortometraggi. Comincia con Post (2008) e prosegue con The Atlas Mountains (2009), Daughters (2010) e Benachin (2011), che costituiscono il nucleo germinale della sua poetica.
Sebbene meno noti al grande pubblico, questi lavori brevi, presentati in vari festival indipendenti statunitensi, rappresentano il laboratorio in cui la Zhao ha affinato il suo sguardo, la sua grammatica visiva e la sua etica narrativa, sperimentando un linguaggio che si distacca dalla costruzione drammatica tradizionale per privilegiare la sospensione e il gesto minimo. La camera a mano, l'uso di attori non professionisti, la luce naturale e la predilezione per ambienti marginali prefigurano le scelte che caratterizzeranno i suoi lungometraggi, all'interno dei quali la regista non cerca il climax, ma la silenziosa vibrazione del reale e il tempo come spazio di contemplazione.
Collocandosi in una tradizione di cinema etnografico e osservativo, ma rifiutando la rigidità accademica, la Zhao accompagna il suo sguardo empatico e mai invasivo nella tensione tra individuo e comunità, tra l'appartenenza e la solitudine. Temi che diventeranno centrali e che qui verranno esplorati in forma embrionale, con una sensibilità che privilegia l'ascolto e la prossimità.
In un'epoca in cui il cinema indipendente cercava nuove voci, lei si impone come autrice capace di coniugare rigore formale e profondità umana.

Il debutto nel lungometraggio
Il suo film di debutto sarà Songs My Brothers Taught Me (2015). Un racconto delicato e introspettivo, ambientato nella riserva Lakota Sioux di Pine Ridge, nel South Dakota, che segue le vicende di Johnny e Jashaun, fratello e sorella alle prese con la morte del padre e con una quotidianità segnata da emarginazione, precarietà e senso di disorientamento.
Presentato al Sundance e alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, il titolo riceve consensi per la sua autenticità e la Zhao viene lodata per il suo linguaggio sobrio e meditativo.
Songs My Brothers Taught Me si configura quindi come un'opera ibrida, sospesa tra finzione e osservazione documentaria, nella quale l'uso di attori non professionisti e la camera a mano contribuiscono a creare un senso di prossimità e di verità, dissolvendo le barriere tra rappresentazione e realtà, ma soprattutto esplorando il rapporto tra territorio e identità (la riserva è luogo geografico e condizione esistenziale, nonché soglia che separa il desiderio di evasione dalla necessità di radicamento).
Preferendo una narrazione che si affida alla sottrazione e all'ascolto, affascinando con riprese delle Badlands, con i loro orizzonti desertici e le loro tonalità crepuscolari, la Zhao evoca un'America marginale, dove il mito della frontiera si è ormai dissolto e resta solo la quotidianità. Cominciano così le sue domande sulla crescita, sulla scelta, sul radicamento e sulla partenza, in una storia di formazione e di contemplazione, che già rivela la sua cifra antropologica. Un debutto che, nella sua apparente semplicità, racchiude una visione profonda e coerente, capace di restituire dignità e complessità a vite spesso invisibili.
Nel 2017, firma The Rider - Il sogno di un cowboy (2017), un'altra opera opera liminale che scardina le convenzioni del racconto cinematografico tradizionale, fondendo autobiografia, realismo lirico e riflessione esistenziale.
Anche questo presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, ha ricevuto un'accoglienza entusiasta da parte della critica internazionale, che ne ha esaltato la sincerità narrativa, la potenza visiva e la capacità di restituire con delicatezza la condizione umana in contesti estremi.
La Zhao costruisce la storia attorno alla figura reale di Brady Jandreau, giovane cowboy del South Dakota, che dopo un grave trauma cranico è costretto a rinunciare alla sua carriera nel rodeo. Il protagonista interpreta se stesso, e molti dei personaggi che lo circondano sono membri della sua famiglia o amici reali. Un dispositivo di mimesi radicale che ancora una volta dissolve la distinzione tra finzione e documentario, trasformando il film in una meditazione sulla vulnerabilità e sulla necessità di ridefinire il proprio destino.
Il paesaggio delle Grandi Pianure, ripreso con sensibilità pittorica, non è un semplice sfondo: il cielo, le distese erbose, la luce naturale dialogano con il dolore e la speranza di Brady, costruendo una temporalità sospesa. Il corpo ferito del protagonista si fa invece fulcro simbolico del racconto, come limite fisico e luogo di transizione/metamorfosi. Una decostruzione western, svuotata di ogni sua retorica epica, dove il mondo rurale non è certo un teatro di eroismi alla John Wayne o alla Glenn Ford, ma un luogo dove ridefinirsi, tra lavori umilianti, debiti familiari e cavalli venduti per necessità.

L'Oscar come miglior regista
Ma è con Nomadland nel 2020, tratto dal libro-inchiesta di Jessica Bruder, che crea un'opera di rara intensità emotiva e formale. Nata dall'incontro tra Zhao e Frances McDormand agli Independent Spirit Awards del 2018 e sviluppatosi come una riflessione lirica e disillusa sulla condizione umana ai confini del sistema economico dominante, la trama segue Fern, una donna sulla soglia della terza età che, dopo il collasso della cartiera di una cittadina aziendale nel Nevada, si ritrova senza lavoro e senza casa. A quel punto, carica i suoi effetti personali su un furgone e intraprende un viaggio solitario attraverso gli Stati Uniti, scegliendo di vivere come una nomade contemporanea.
Seguendo il ritmo errante della protagonista, l'approccio registico continua a essere fortemente influenzato dal linguaggio documentaristico. Attraverso paesaggi mozzafiato e incontri con personaggi autentici, ciascuno portatore di una storia di perdita, resistenza e reinvenzione, la Zhao si oppone al disgregamento sociale causato dal capitalismo, lasciandoci una meditazione malinconica sul consumismo e sulla fragilità delle strutture economiche e affettive, dove casa è stato dell'anima, rete di legami e memoria.
Chiedendoci cosa significhi appartenere, quali siano i confini tra libertà e solitudine e tra scelta e necessità, la Zhao decanta la resistenza silenziosa di chi non accetta le offerte di stabilità, preferendo la precarietà del viaggio alla sicurezza borghese.
L'accoglienza critica è straordinaria. Nomadland riceve il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, il Golden Globe e il BAFTA per il miglior film drammatico e per la regia e tre premi Oscar, tra cui quello per la miglior regia.

L'esperimento Marvel
Cambiando totalmente registro, si introduce nel Marvel Cinematic Universe con Eternals (2021), basato sui personaggi ideati da Jack Kirby.
La Zhao, già in lizza per dirigere Black Widow, si era proposta ai Marvel Studios presentando uno storyboard ricco e suggestivo che aveva colpito Kevin Feige per intensità e originalità. Dichiarandosi appassionata dell'universo della casa editrice, ha voluto imprimere al progetto un'impronta che coniugasse la grandiosità epica con una dimensione più intima, ispirandosi anche alla sensibilità estetica dei manga, per creare un ponte tra immaginari orientali e occidentali.
La trama ruota attorno a un gruppo di entità sovrumane che vegliano sulla Terra sin dagli albori della civiltà. Quando i Devianti, creature mostruose credute estinte, riemergono inaspettatamente, gli Eterni sono costretti a riunirsi per proteggere ancora una volta l'umanità. La Zhao ha cercato di spingere il film oltre le dinamiche spettacolari della saga degli Avengers, proponendo una narrazione che fosse al tempo stesso monumentale e introspettiva. Tuttavia, nonostante l'interesse iniziale per un possibile seguito, il progetto non ha avuto il riscontro sperato e la Marvel ha deciso di non proseguire con un secondo capitolo. Anche l'accoglienza è stata fortemente divisa. Da una parte, la critica ha riconosciuto l'ambizione concettuale, apprezzando l'intento di infondere profondità esistenziale in un genere spesso dominato dall'azione e dall'ironia. Dall'altra, molti spettatori e recensori hanno trovato l'opera eccessivamente solenne, verbosa e distante dal tono leggero e ritmato tipico del marchio Marvel. Alcuni lo hanno definito il cinecomic più meditativo mai realizzato, altri lo hanno accusato di essere pesante e disarticolato. Esperimento di fusione tra cinema autoriale e produzione seriale preserva la firma della regista (l'impiego della luce naturale, le inquadrature ampie e contemplative, la centralità del paesaggio come specchio interiore), ma si scontra con le esigenze spettacolari del genere e genera una tensione formale che non sempre trova armonia. Un'opera di passaggio, che non raggiunge pienamente i suoi obiettivi ma apre uno spazio interessante nel panorama Marvel.

La stasi con Hamnet
Rappresenta una svolta significativa nel suo percorso espressivo la trasposizione del romanzo omonimo di Maggie O'Farrell Hamnet (2025), che ha ottenuto un'accoglienza calorosa da parte della critica e del pubblico, conquistando premi in festival underground internazionali e affermandosi come uno dei titoli più attesi per la stagione dei premi cinematografici del 2026.
L'opera, ambientata nell'Inghilterra del periodo elisabettiano, rilegge una vicenda personale di William Shakespeare attraverso la prospettiva del lutto e della dimensione domestica. Protagonista della narrazione è Agnes (Jessie Buckley), moglie del giovane William (Paul Mescal), che deve affrontare la devastante perdita del loro figlio Hamnet, deceduto a undici anni durante un'epidemia di peste.
La Zhao, che ha scritto la sceneggiatura insieme alla stessa O'Farrell, costruisce un racconto familiare, in cui la figura del celebre drammaturgo è quasi periferica, evocata più come assenza che come presenza tangibile, e segna un cambiamento radicale rispetto ai precedenti lavori. Se Nomadland e The Rider indagavano il movimento, la transizione e la fuga, Hamnet si arresta, scava nel dolore e nella quiete, fatte di primi piani intensi e di una fotografia che esalta la consistenza della pelle, delle lacrime, dei volti. Come ha dichiarato la stessa regista: "Volevo raccontare una storia che mi permettesse di restare ferma e di andare in profondità".

Vita privata
Chloé Zhao è, dal 2016, la compagna di Joshua James Richards, direttore della fotografia e collaboratore frequente nei suoi film.

Prossimi film

Ultimi film

Azione, Drammatico, Fantasy - (USA - 2021), 157 min.
Drammatico, (USA - 2020), 108 min.

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