Bud Spencer (Carlo Pedersoli). Data di nascita 31 ottobre 1929 a Napoli (Italia) ed è morto il 27 giugno 2016 all'età di 86 anni a Roma (Italia).
Si chiama(va) Carlo Pedersoli ma tutti lo conoscono Bud Spencer. Era un campione di nuoto e poi si trasformato in una star del cinema popolare. Divo sì, ma schivo, appartato, a cominciare da quei suoi occhi che evocano fessure timide. E sguardi pudichi, malgrado l'imponenza del resto. Massiccio, grosso, tenerone. E non a caso il personaggio che gli ha regalato più fama, soldi e soddisfazioni è quasi un altro alias, Bambino, nella felicissima e fortunatissima saga di Trinità. A leggere la sua biografia, vengono le vertigini. Napoli, dove nasce il 31 ottobre 1929 e dove comincia a nuotare come un delfino, anzi come una rana, stile col quale abbatterà (primo in Italia) il muro del minuto sulla distanza dei cento metri. Roma, per seguire il padre in viaggio d'affari, e per studiare, da secchione, finendo le superiori col massimo dei voti e iscriversi all'Università nella facoltà di chimica. Il Sudamerica, dove lavora a una catena di montaggio (a Rio de Janeiro), quindi in una biblioteca (a Buenos Aires) e infine in un'ambasciata italiana in Uruguay. Di nuovo in Italia, nella capitale, perché un club di nuoto lo reclama e lui lo ripaga, con vittorie, record, partecipazioni olimpiche (a Helsinki e a Melbourne); senza dimenticare gli impegni universitari, questa volta nella branca della giurisprudenza. Siamo nel 1950 e ha già un grande avvenire dietro le spalle. Eppure non è che l'inizio. Quello del cinema si accorgono della sua mole possente e lo chiamano per una particina (una guardia imperiale) in Quo Vadis. Ma a lui, così grande e così curioso, va tutto stretto. E allora decide di tornare in Sudamerica, lavorando per quasi un anno a progetto della Panamericana, la strada che collegherà Panama a Buenos Aires; e a Caracas, dove rimarrà fino al 1960. Torna Roma, sposa Maria Amato, figlia del grande produttore, potrebbe sfondare subito invece si mette a scrivere colonne sonore canzoni, riuscendo persino a ottenere un contratto dalla Rca. Rimandato, evitato, aggirato per lustri, il cinema lo riacchiappa nel 1967, quando l'amico Giuseppe Coalizzi lo chiama per un western anomalo, uno spaghetti-western già virato in commedia si intitola Dio perdona... io no!e al suo fianco appare un altro attore di belle speranze, tale Mario Girotti. Sono anni di sogni americani e i due nomi devono suonare esotici. E dunque, Carlo si trasforma in Bud Spencer (perché ama la Budweiser e Spencer Tracy) e il suo futuro compagno di cineavventure diventa Terence Hill. Siamo alla Vigilia del botto: nel 1970 esce Lo chiamavano Trinità e decolla la leggenda. La coppia, per almeno quindici anni, tramuta in oro ciò che tocca, con pellicole per famiglie scanzonate e divertenti, che viaggiano per il mondo e non hanno altre pretese se non quella di intrattenere con gusto. E allora più forte ragazzi ... altrimenti ci arrabbiamo! Per finta, naturalmente, come le botte (da orbi e di Natale) che si scambiano simpaticamente sul set. E infatti, non di rado, porgeranno altre guance, s'inventeranno superpiedi quasi piatti, giocheranno a pari e dispari e staranno con gli ippopotami. Nati con la camicia, insomma. Perché chi trova un amico trova un tesoro. Nel frattempo, Bud tenta la carta solitaria ed è di nuovo trionfo, con la saga di Piedone lo sbirro, a cui collabora anche in fase di sceneggiatura. A proposito di amicizia: per lungo tempo, in silenzio, dietro le quinte, ha coltivato un bellissimo rapporto di stima e affetto con Federico Fellini, che lo sognò Trimalcione per il suo Satyricon. Ha vinto premi importantissimi, ma all'estero. Ha ottenuto il brevetto di pilota, perché gli piace volare molto più che indossare panni d'attore. E negli ultimi tempi, com'è il suo stile, se ne è andato ancora una volta da un'altra parte, occupandosi - come il papa - d'affari. E il cinema, di nuovo, lo ha riacciuffato. È addirittura Ermanno Olmi a volerlo, perché «è un ottimo attore. E perché, tempo fa, quando ero ricoverato in clinica, i suoi film in Tv mi hanno fatto così compagnia che oggi considero Carlo un vecchio, caro amico». Già, Carlo. Bud Spencer, per Olmi e il suo Cantando dietro i paraventi rispolvera il suo vero nome, Pedersoli, e si presenta vestito da capitano portoghese di lungo corso con barba e capelli lunghi e bianchissimi, in una bella storia nella Cina imperiale di fIine 800. Ha avuto tutto e il tutto se lo è meritato. Solo l'italia dei premi lo ha sempre snobbato. Ecco l'occasione giusta per risarcirlo.
Da Film Tv, 19 ottobre 2003
Alla vigilia dei Mondiali di nuoto di Roma, una vecchia gloria di questo sport si racconta. Dai tempi in cui, primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 metri, finì a Yale. Poi il Sudamerica, il cinema, una linea aerea... E oggi che ha 80 anni? Fa il cantante OMA. Ha nuotato, nella vita e nello sport. Da gigante. Usato cuore e mu scoli per attraversare piscine e continenti. Gareggiato: vinto, preso, lasciato. La sua taglia gli ha imposto una morale: «Non ho mai rincorso le donne degli altri perché non riesco a entrare negli armadi quando i mariti tornano all'improvviso». Si è reinventato spesso, da Carlo Pedersoli a Bud Spencer. Bud per via del
la birra, Spencer per via di Tracy, l'attore. E ancora adesso è informatissimo: su tempi, campioni, record. Seguirà i mondiali a Roma (dal 18' luglio al 2 agosto), perché lui nel Tevere ci nuotava da ragazzo. «I soci del mio club a forza di vedermi attraversare ïl fiume fecero la colletta per regalarmi un accappatoio». E perché, quando ancora l'Italia non stava a galla, lui era un funtone che non perdeva la scia del mondo.
Primo azzurro a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero e campione italiano anche a rana. «L'allenatore degli americani mi chiamò a Yale nel'58, non riusciva a capire come a 27 anni fossi ancora uno squalo in acqua. Andai, ero in stanza con un campione giapponese, mi accesi una sigaretta e gli chiesi dov'erano le donne. Mi rispose che era vergine e io: "Che campi a fare?". Andò a denunciarmi al preside. Però in America imparai a virare, prima tra toccata e girata perdevo più di un secondo».
Si è sempre buttato, senza mai aver paura di provare. «II mio primo tuffo in mare, a quattro anni e mezzo, a Seiano, accanto a Sorrento, la mia famiglia era di Napoli. S'imparava così a stare a galla, altro che piscina o istruttori. A otto anni ho vinto la mia prima gara in una città bombardata e piena di macerie. A undici sono arrivato a Roma, mi allenavo al Flaminio, in palestra facevo anche boxe, ma non avevo la cattiveria, gli altri se ne approfittavano, e io proprio non ce la facevo a infierire. Ai Giochi di Helsinki nel `52 andammo in treno, lì vidi per la prima volta praticare l'autoemotrasfusione, il ricambio del proprio sangue, allora legale e poco conosciuto, e l'interval training, un sistema di allenamento basato sulle prestazioni ripetute, con certe modalità di recupero. Noi dell'Italia invece fermi al Medioevo. Viaggiavamo in terza classe, le trasferte erano di notte su delle panche dure come il marmo, per trovare un po' di pace affittavamo i cuscini alle stazione. Diete? Certo che no. Per i Giochi del Mediterraneo il nostro allenatore ci portò a mangiare al Caminetto, in viale Parioli, contrattò per tremila lire a testa, c'era il buffet, dopo tre secondi la pasta e fagioli fredda era sparita e il proprietario urlava o mi date cinquemila o vi caccio. A Helsinki in batteria alle 8.30 di mattina nei 100 stile libero ho realizzato il terzo tempo mondiale e mi sono spaventato, c'era l'americano Scholes, alla prima virata ero avanti 50 metri. Poi m'è presa la diarrea, entravo e uscivo dai bagni, ero così dimagrito e stanco che avevo paura di perdere il costume, ci fosse stato lo psicologo avrei superato la fifa e magari anche fatto un buon risultato. Quattro anni dopo a Melbourne arrivai undicesimo al mondo, dopo un viaggio aereo dalla lunghezza allucinante. Dottori a disposizione? E quando mai? lo avevo 90 di massima e 60 di minima, 29 pulsazioni a minuto e parevo sbagliato per lo sport, temevano che svenissi. Ero un campione, avevo tutto: donne, fama, alberghi. Ma non mi vantavo, anzi cominciai a chiedermi: "Chi sono veramente?"».
Bud Spencer: non ancora, ma aveva già fatto la guardia Imperiale in Quo Vadis, e nel '47 aveva seguito la famiglia in Sudan, lasciando l'università. A Rio aveva lavorato a una catena di montaggio, a Buenos Aires come bibliotecario, in Uruguay come segretario all'ambascia ta italiana. Poi il nuoto se Pera ripreso, e anche la pallanuoto: Un gigante così era da utilizzare. «Ero un tipo pigro, non mi andava di allenarmi troppo, però ho provato anche H rugby ma niente è duro come la pallanuoto, ho vissuto cinque anni di colpi proibiti, belli, ma pieni dì fratture. Mi sono rotto tutto, anzi mi hanno i otto: due costole, sopracciglia, bocca, naso, denti. Ricordo un'Italia-Germania, davanti a ottomila persone, H mio avversario mi strizza i genitali e io, io ho reagito, non subito però, mi vergogno ancora adesso della mia vendetta, non ne vado riero». Phelps e gli altri, campioni, ma soprattutto corpi da prestazione. «Lì rispetto, sono bravi e perfetti, anche se una volta in acqua mi danno l'idea di una macchina artificiale. Il nuoto è un orco che ha bisogno di gioventù. Bernard è pazzesco, ma a me dava più emozioni Novella Calligaris, li intravedevo una persona e un carattere, qui solo un gesto tecnico. E a proposito: costumi uguali per tutti, così sì dividono i vantaggi. Credo che a Roma le donne azzurre andranno meglio degli uomini. Perché? Hanno più voglia di soffrire e dedizione. Lo sport può dare alla testa, ti credi m dio, e sei solo un poveraccio che non sta stare al mondo. Io un giorno, quando le cose da atleta mi andavano benissimo, mi sono chiesto: ma fuori dai Parioli, dal mio ambiente, da mia madre che mi stira le camicie, chi sono? E quanto valgo? Così ho mollato tutto e sono partito, sempre in Sudamerica, ma dove non ero mai stato e dove non conoscevo nessuno. Sono stato per un anno nella giungla amazzonica in una ditta
che costruiva la strada tra Panama a Buenos Aires, la famosa Panamericana e poi a Caracas come venditore di macchine. Nella giungla le donne partorivano con, le braccia appese agli alberi, sopra delle balle di fieno, e una che perse il bambino, senza lamentarsi, disse: "Non era forte, ne farò un altro". Quando vedi un orgoglio così, capisci qual è la vera erta e che la dimensione che ti dà lo sport non è del tutto reale. Ma i campioni di oggi, da Magnini e Ro solino, questa scelta non la potrebbero fare, devono gestire una carriera e altri tipi di interessi».
Il bello di certe vite e che magari hanno sbagli, ma non rimpianti. Bud ha ottanta anni e fuma ancora tanto. « Però il segreto è che non aspiro e comunque ai ragazzi dico che è meglio non farlo, anche se la nostra aria più che dalle sigarette è inquinata da altri scarichi e vapori». Dì nuotare non si smette mai, e manco divolare. Infatti H signor Pedersoli ha il brevetto di pilota per aerei ed elicotteri. «Ho attraversato (Atlantico, da Wichita, nel Kansas, a Roma, guidando ». Ha anche ripreso a scrivere canzoni, lui che già compose per Ornella Vanoni. Perché il vizio di chiedersi chi è gli è rimasto: «Ho appena registrato Futtitene in napoletano». Lui però non è mai riuscito a infischiarsene. «Potevo partecipare ai Giochi di Roma nel '60, ma ho preferito dire no. Ero poco alienato, non mi andava di vedermi sorpassato». I giganti proprio non ce la fanno a rimpicciolirsi.
Da Il Venerdì di Repubblica, 26 giugno 2009
Da quello che so, Carlo Pedersoli è stato il primo italiano a nuotare i 100 stile libero sotto il “muro” del minuto, in 59” e qualcosa. Arrivò mi pare in semifinale alle Olimpiadi del '52 ( era elbourne?). Notizie più dirette e meno dubitose ho sulla sua vita privata. Sposò giovane una donna volitiva e formidabile, figlia del mitico produttore Peppino Amato (“questo film sarà una pietra emiliana nella storia del cinema”). Fino ai suoi “late thirties” Carlo ciondolò senza grande costrutto, facendo genericate nel cinema, e scrivendo canzoncine per bambini, stile zecchino d'oro, che osava anche cantare pizzicando con le ditone una chitarra: “Il trenino, ciuf, ciuf, ciuf..”. Don Peppino sospirava e confidava agli amici: “Mio genero è nu bravo guaglione, ma è 'nu poco strunzo..”. . Morì purtroppo subito prima che Bud Spencer conquistasse fama e fortuna. E ancora oggi la grande spina nel cuore di Carlo è non essere riuscito a dimostrare al suo fantasmagorico suocero, che adorava, di non essere poi tanto “strunzo”.
Quanto agli aerei, Pedersoli li pilota per una serie di ottime ragioni:
a) Li importa in Italia.
Ha l'esclusiva (mi pare di ricordare) dei Cessna.
b) Possiede una piccola compagnia che fa servizi di aero-taxi.
c) Quando pilota porta gli occhiali.
Se li leva solo per fare i servizi fotografici su Carlo Pedersoli pilota...
L'avversione degli attori in genere per le lenti a contatto, che io sappia, ha anche un motivo “tecnico”. Il fortissimo calore delle luci di scena (i famosi bruti da 5000W e più) è pericoloso per quelle lenti. Una volta ad un'attrice ne è letteralmente scoppiata una nell'occhio.