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Girlboss, come trasformare la passione in un'incredibile carriera

La storia vera di Sophia Amoruso, prova vivente di come Internet renda accessibile il sogno americano a chiunque sia dotato della giusta dose di talento e intraprendenza. Ora su Netflix.
di Lorenza Negri

Girlboss

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Britt Robertson (Brittany Leanna Robertson) (34 anni) 18 aprile 1990, Charlotte (North Carolina - USA) - Ariete. Interpreta Sophia nel film di Christian Ditter, Jamie Babbit, Amanda Brotchie, Steven K. Tsuchida, John Riggi Girlboss.
venerdì 21 aprile 2017 - Netflix

A volte una passione si trasforma in carriera. La protagonista di Girlboss, Sophia, ama gli indumenti vintage e nella prima stagione della serie rivoluziona la propria vita monetizzando il suo distinto talento nell'esumare capi preziosi tra mucchi di vestiti di seconda mano. Composta di tredici episodi di mezz'ora, la prima stagione di Girlboss - tutta disponibile dal 21 aprile su Netflix - riporta le reali peripezie professionali e private di Sophia Amoruso, giovanissima imprenditrice diventata in pochi anni una delle donne manager più potenti del mondo con un'azienda, la Nasty Gal (ovvero "ragazzaccia", titolo di una canzone funk della spregiudicata Betty Davis), che ha fatturato milioni. Prima della prodigiosa ascesa, Sophia ha condotto una vita scomposta e sgangherata, re-immaginata nella serie che adatta il volume autobiografico della Amoruso (#GirlBoss, Sonzogno, 240 pagine).

La sfortuna, implacabile, che puntualmente si abbatte su chi non resiste alla tentazione di sfidare il destino è la stessa dedita ad accanirsi su Sophia, esile ventenne che si ostina a inerpicarsi per le irte salite di San Francisco con una vettura zombie. 
Lorenza Negri

Girlboss esordisce così, mentre la macchina della giovane perisce nel punto più scomodo (sulle rotaie del tram), l'automobilista in fila strombetta e non si degna di scendere e spingere, e il mezzo pubblico sopraggiunge nel momento più inopportuno. Pochi secondi che racchiudono emblematicamente la vita di Sophia, la quale, finora, ha vissuto alla giornata, sfidando la povertà, schivando le responsabilità, sbeffeggiando il fato e resistendo (non per stoicismo ma per inedia) alle istanze della società avida di nuove generazioni proattive e solerti. Lontana dalle coetanee giudiziose, altruiste e positive di tante sitcom e serie americane (Sophia è la nemesi di un'altra esile brunetta munita di frangetta, la Rory di Una mamma per amica), la versione romanzata della Amoruso accetta con serafica placidità la quotidianità, arraffando e rubacchiando quello che le serve per campare.


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Una foto della première di Girlboss.
Una foto della première di Girlboss.
Una foto della première di Girlboss.

Sophia, alter ego finzionale dell'eroina di un'intera generazione, tanto in gamba da aver trovato il modo di diventare ricca facendo quello che piace, può apparire irritante. Maleducata, irrispettosa, sprezzante verso chiunque è un personaggio da digerire piano. La sua resistenza alla normalizzazione, l'incapacità di avere una prospettiva (e di prospettive per il futuro) sono la conseguenza di un enorme sforzo, quello di cercare di restare se stessi quando chi ti circonda pretende che ti conformi. La Sophia reale e quella seriale hanno altro in comune: entrambe sono consapevoli di essere verbalmente troppo aggressive, troppo spigolose, troppo indigeste. Rispetto al resto del mondo, che si sforza di piacere a tutti costi come la Lacie dell'episodio di Black Mirror "Caduta libera", la loro ruvidezza è inebriante.

Kay Cannon, creatrice dell'adattamento e autrice abile nelle comedy che ritraggono giovani donne di talento (ha sceneggiato la saga musicale di Voices/Pitch Perfect) usa i primi episodi per  mostrare il nadir di Sophia, fino a quando la vita da bohemienne della protagonista cambia drasticamente direzione dopo un'epifania di Sophia.
Lorenza Negri

Si rende conto di poter trasformare in business il suo talento nello scovare capi di abbigliamento di seconda mano che valgono molto di più del prezzo sull'etichetta. Subito dopo, Girlboss descrive la ronda tra i mercatini delle pulci, la scelta di un capo promettente, l'autoscatto e il caricamento della foto del capo su eBay, lo scandire dell'asta.


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Una foto della première di Girlboss.
Una foto della première di Girlboss.
Una foto della première di Girlboss.

Sophia è la prova vivente che l'era di internet rende accessibile a tutti quelli con talento e intraprendenza il sogno americano. La sua storia è tanto ammaliante che tra le produttrici di Girlboss c'è Charlize Theron, semidivinità hollywoodiana con trascorsi ben più drammatici di quelli della Amoruso ma con la stessa rinomata impermeabilità al giudizio altrui. Christian Ditter, il regista di Single ma non troppo, dirige metà degli episodi della serie, ovvero i primi e gli ultimi, estremi della parabola professionale (da scapestrata e irresponsabile ragazzotta solitaria e asociale a manager di un'impresa da gestire a livello creativo ed economico) della protagonista.

Il compito un po' scomodo di portare sullo schermo Sophia è andato a Britt Robertson, veterana dei teen drama abbastanza matura per reggere sulle proprie spalle uno show saturo della sua energica presenza.
Lorenza Negri

Nei panni del padre di Sophia, devoto a uno stile di vita convenzionale e persecutore sfiancato della figlia ribelle, Dean Norris, con il quale la Robertson aveva già lavorato nella serie fantascientifica Under the Dome. In Girlboss ci sono anche gustose guest, dalla showgirl RuPaul, che si libera di buon grado degli abiti sgargianti da drag queen senza perdere la propria insolente sagacia, e Jim Rash (l'esilarante e squinternato preside Pelton della comedy Community ma anche il vincitore dell'Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per Paradiso amaro), nei panni dell'acido negoziante che battibecca con la protagonista. Tutti esempi di un'umanità irriverente.


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