La guerra alla droga non è mai finita e negli Usa il consumo è entrato in una nuova fase, dilagando tra la popolazione bianca e disoccupata delle piccole città come anni fa aveva fatto tra quella di colore nei ghetti delle metropoli. Questa crisi è raccontata in un città del West Virginia detta la capitale delle overdosi americane attraverso tre personaggi: una donna del corpo dei pompieri, a favore dell'impiego di Naloxone per salvare chi è entrato in overdose; una giudice che si occupa dei casi dei tossicodipendenti, tra riabilitazioni, libertà vigilate e ritorno alla criminalità; e una volontaria che la notte distribuisce pasti e cerca di riportare verso il rehab chi ha ripreso a drogarsi.

Credo che l'epidemia degli oppiacei sia molto coperta dall'informazione ed è tutti i giorni nelle news. Ma raccontare il punto di vista di queste tre donne permette al pubblico di afferrarla in modo diverso. Abbiamo voluto che il film fosse più esperienziale che informativo, lasciando ai margini i fatti e i dati che sarebbero al centro di un tipico documentario sugli oppiacei, in modo che il pubblico possa sentirsi parte dell'esperienza di un capo dei pompieri di Huntington, o di un giudice della corte dedicata alla droga.

L'intraducibile gioco di parole del titolo originale aggiunge la E a Heroin per indicare che si parla di eroina come droga e di eroine come donne eroiche. In soli 40 minuti Heroin(e) riesce a mostrare diverse situazioni ed entra anche nello specifico dell'uso dal Naloxone. Alcuni infatti lo contestano perché credono sia un aiuto eccessivo per i tossici, quasi li portasse a continuare a drogarsi riducendo il rischio di morte, mentre secondo il capo dei pompieri offre un'occasione in più perché si riabilitino e del resto l'alternativa è lasciarli morire. Si tratta di una situazione molto specifica dell'America, determinata anche dall'eccessiva facilità con cui i medici prescrivono antidolorifici, d'altra parte quella che presenta il documentario è prima di tutto una storia umana e dunque universale.