Monster

Film 2022 | Biografico, Drammatico

Anno2022
GenereBiografico, Drammatico
ProduzioneUSA
Regia diJennifer Lynch, Paris Barclay, Clement Virgo, Gregg Araki, Carl Franklin
AttoriEvan Peters, Richard Jenkins, Molly Ringwald, Niecy Nash, Michael Beach Colby French, Michael Learned, Karen Malina White, Phet Mahathongdy, Dyllon Burnside, Nikea Gamby-Turner, David Barrera, Shaun J. Brown, Matthew Alan, Penelope Ann Miller, Scott Michael Morgan, Nick A. Fisher, Josh Braaten, Nigel Gibbs, Cameron Cowperthwaite, Mac Brandt, Grant Harvey (II), Chris Gann, Jake Green, Clark Moore, Keyla McNeely, Alex Hyde-White, Patrick Day, Jackson Hurst, Bottara Angele, Dominic Burgess, Chris Greene, Blake Cooper Griffin, Linda Park, Raphael Sbarge, Ken Lerner, Thomas Crawford, Noel Arthur, Colin Ford, Hollie Bahar, Ato Blankson-Wood, Ivar Brogger, Bruce Beatty, Ron Bush, Anissa Borrego, J. Paul Boehmer, Trilby Glover, David Bowe, Troy Blendell, Bill Doyle, Stephanie Erb, Scott Broderick, Adwin Brown, Michael Adler, Peter Mackenzie, Cheryl Francis Harrington, Carlos Arellano, Dave Theune, Tempany Deckert, Bill Chott, Eva La Dare, Peter Holden, Serene Branson, Steve Hasley, Daniel Curtis Lee, Markina Brown, Demi Castro, Roslyn Gentle, Adam Dunnells, Leroy Edwards III, Ben Scott (II), Kiff VandenHeuvel, Michael Anthony Spady, Scott Thomas Reynolds, Jay Jackson, Mark Weiler, John Grady, Arye Gross, David Kelsey, Antonio David Lyons, Bobbie Lee Jr, Shane Kerwin, Mercy Malick, Rachel Winfree.
MYmonetro

Regia di Jennifer Lynch, Paris Barclay, Clement Virgo, Gregg Araki, Carl Franklin. Una serie con Evan Peters, Richard Jenkins, Molly Ringwald, Niecy Nash, Michael Beach. Cast completo Genere Biografico, Drammatico - USA, 2022, STAGIONI: 3 - EPISODI: 27

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Ultimo aggiornamento venerdì 5 settembre 2025

La serie, ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan, racconta le varie storie e vicende dei più famosi e pericolosi serial killer della storia. La serie ha ottenuto 4 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 4 candidature e vinto un premio ai Emmy Awards, ha vinto un premio ai Critics Choice Award, 2 candidature a SAG Awards, 1 candidatura a Producers Guild, 3 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Super,

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES
CRITICA
PUBBLICO
CONSIGLIATO N.D.
Miniserie drammatica tra il poliziesco e il crime.
a cura della redazione
lunedì 12 dicembre 2022
a cura della redazione
lunedì 12 dicembre 2022

Monster è una serie televisiva antologica statunitense ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan e trasmessa su Netflix dal 21 settembre 2022. La serie racconta le varie storie e vicende dei più famosi e pericolosi serial killer (anche cannibali) della storia.

Episodi: 8
Regia di Max Winkler, Paris Barclay, Jennifer Lynch, Carl Franklin, Ian Brennan, Michael Uppendahl, Clement Virgo, Gregg Araki.

Anatomia dell'orrore. Una serie ipnotica per ambizione formale e per la prova di alcuni interpreti

Recensione di Gabriele Prosperi

Wisconsin, anni '40: Ed Gein vive isolato con l'ingombrante madre Augusta, che imprime un'educazione puritana in attrito con il suo ostinato desiderio di normalità. L'incontro con Adeline Watkins (Suzanna Son), una giovane attratta dai racconti neri e dalla fotografia del crimine, lo espone agli orrori del presente: riviste pulp e reportage dei campi di concentramento spingono la curiosità morbosa di Ed a trasformarsi in rituale.

Presto la narrazione rinuncia alla linearità: alle fratture del passato di Gein si intrecciano la gestazione di quei film che si sono ispirati alla sua storia: Psycho (Hitchcock, 1960), Non aprite quella porta (Hooper, 1974) e Il silenzio degli innocenti (Demme, 1991). Intanto scorrono indagini e sparizioni, l'ossessione del corpo come materia da riplasmare e una lunga deriva manicomiale che mima il tentativo di dare un nome al vuoto.

Monster: La storia di Ed Gein è un mosaico in cui biografia, suggestione e citazioni cinematografiche si rincorrono fino a confondersi, portando lo spettatore a chiedersi se stia guardando la storia di un uomo o il mito sporco che la cultura ha costruito sopra di lui. Contestualizzata nella saga antologica che ha già trasformato Dahmer e i fratelli Menéndez in specchi della nostra fame di cronaca nera, la terza stagione di Monster sceglie quello che può essere considerato il "caso zero" del serial killer statunitense. Parliamo di una persona/personaggio che ha nutrito l'immaginario di mezzo secolo, non tanto perché il suo dossier sia il più atroce, quanto perché ha fertilizzato l'immaginario che lo ha riscritto per decenni, fatto di parti del corpo di decine di vittime, cadaveri trafugati usati per creare mobilio, vulve essiccate, facce strappate usate come maschere e vestiti in pelle umana per ricreare il corpo femminile.

Da qui l'impianto programmatico: raccontare Gein significa scoperchiare il circuito chiuso tra realtà, racconto e consumo. I delitti diventano immagini, le immagini generano altri delitti o altre storie, e così via, in una camera di risonanza dove l'autore, i personaggi, il pubblico e l'industria condividono la stessa responsabilità. La tesi (questa volta, finalmente, ben articolata) è che Ed Gein sia stato fonte di ispirazione (dei successivi serial killer e dei racconti su di loro) ed egli stesso ispirato dall'iconografia del suo tempo.

Monster gioca deliberatamente e nuovamente con la propria contraddizione: stigmatizza l'attrazione per l'orrido mentre ne moltiplica l'offerta. È un gesto spudorato, ma coerente con l'idea che l'orrore non abiti solo i criminali, ma proliferi anche nelle nostre modalità di guardare. Proprio qui la serie corregge il tiro rispetto alle stagioni precedenti: la tendenza di Murphy/Brennan a "placcare d'oro" l'orrore fornisce, finalmente, un senso al genere narrativo da loro ideato, quello del food-crime-porn, in cui la regia estetizza violenza e devianza fino a ipnotizzarci. Il percorso non era ancora ben delineato nelle prime due stagioni, che ci spingevano a parteggiare per i carnefici confondendo repressione sessuale e mostruosità, e, nell'ambiguità, finivano per anestetizzare la gravità degli abusi.

Qui no, o almeno non nello stesso modo, perché il dispositivo metacinematografico ci mette davanti al meccanismo di seduzione, cioè lo esplicita, smontando l'erotismo. Il piacere dello sguardo viene tematizzato, non dato per scontato, e la serie ci invita a vedere come guardiamo. Inoltre, laddove in passato l'ambiguità sugli abusi produceva un cortocircuito che confondeva vittime e carnefici fino a svuotare di senso l'esperienza traumatica, qui l'ambivalenza non giustifica ma mostra la rete di corresponsabilità (famiglia, comunità, media) senza attenuare la colpa del protagonista.

Sul piano formale, l'architettura è volutamente destabilizzante. Il montaggio cuce flashback, allucinazioni e retroscena del set di Psycho fino a far saltare l'impalcatura cronologica: da un lato rende tangibile la mente scheggiata di Gein, dall'altro scarica la tensione a qualche snodo investigativo. La fotografia alterna il giallo-terra dei granai ai cromatismi più saturi delle sequenze metacinematografiche: si evocano Hitchcock (interpretato in maniera volutamente caricaturale da Tom Hollander), Hooper (Will Brill) e Demme, lavorando per scarti e parodie, anziché citandoli in maniera servile. Quella frizione, spesso pura firma "murphyana", qui trova un senso ulteriore: dentro il gioco dei rimandi (a cui siamo abituati dai tempi della prima stagione di American Horror Story) si articola un discorso sul divenire storico delle immagini e sul loro impatto nel reale, che è poi la vera materia di Monster: La storia di Ed Gein.

Charlie Hunnam propone forse la sua miglior interpretazione di sempre dai tempi di Sons of Anarchy: irriconoscibile, disegna un Ed Gein quasi fanciullesco nella postura e nello sguardo sbarrato, candido eppure con una fisicità tonica che cozza con il suo intimo, e quindi diventando inquietante. È un'interpretazione che chiede allo spettatore di restare sospeso tra repulsione ed empatia, e quando la scrittura forza la mano verso la pietà, Hunnam ci ricorda l'orrore del personaggio. Ottima anche l'interpretazione di Laurie Metcalf, che rende la madre tirannica e moralista un personaggio in grado di attraversare la realtà di Gein, di toccare la severità di Alma Reville (interpretata da Olivia Williams), e di comparire come un fantasma nei racconti cinematografici che, man mano, la dimenticano e nascondono.

La regia punta sullo scoperchiare non tanto la psiche di Gein quanto la nostra attesa del gesto omicida, puntando sempre il dito verso lo spettatore: è un'estetica della colpa condivisa che, quando diventa tesi, s'impiglia in alcune scelte discutibili. La prima è il ricorso alla storia per giustificare in maniera diretta e didascalica gli eventi; questo avviene dapprima con le immagini dell'Olocausto, trasformate in matrice iconografica che accelera il cortocircuito morale. Ancor più, però, si impone questo principio di causa-effetto quando la serie rivendica di non confondere identità di genere e pulsione omicida, ma poi flirta con l'iconografia che ha effettivamente e storicamente mescolato i piani. Si associano così il mito di Christine Jorgensen (interpretata da Alanna Darby) - prima star transgender ad aver compiuto la transizione - e quello di Ilse Koch (Vicky Krieps) - la "cagna di Buchenwald", nota per le sevizie sugli ebrei, le selezioni di detenuti con tatuaggi e, nella leggenda nera, l'uso della pelle umana per suppellettili come paralumi - in un contrappunto complesso che è comprensibile ma anche pericolosamente fuorviante.

Eppure, rispetto a Dahmer e ai Menéndez, il paradosso centrale non implode. Prima, la voluttà dello stile divorava il senso fino a lasciare lo spettatore senza prove, sedotto e spaesato; ora lo stile è la prova, il luogo in cui il sistema si mostra: lo sguardo viene continuamente rimandato al mittente. La fotografia levigata e la partitura musicale nobilitano il fango, sì, ma lo fanno per esibire il processo di nobilitazione, non per travestirlo. L'idea che l'orrore, riprodotto all'infinito, perda presa e chieda sempre più oltranza torna anche qui; la differenza è che la serie non cerca l'assoluzione attraverso l'estetica ma produce, piuttosto, una responsabilità diffusa, resa tangibile dall'andata-e-ritorno costante tra realtà e rappresentazione.

Muprhy/Brennan riescono finalmente a esporre la loro diagnosi, quella di una cultura che sublima la violenza verso il femminile, trasformandola in patrimonio iconico (cinematografico, ispirazionale) e il sintomo, quello di chi replica il femminile fuori dal femminile per snaturarlo, per deviarlo, per re-introdurlo artificiosamente dopo la sua depredazione ai soggetti che lo contengono o che dovrebbero poterlo esprimere, svuotandolo e ri-indossandolo come maschera. Ma ecco che si intreccia qui la seconda scelta discutibile: come esperienza audiovisiva, questa stagione di Monster resta ipnotica per ambizione formale e per la prova di alcuni interpreti; come discorso etico rimane irrisolta. Il valore della terza stagione di Monster sta nell'aver trasformato Gein in un prisma: guardandoci dentro non vediamo solo lui, ma la fabbrica delle nostre paure, i macchinisti che la tengono in moto e il pubblico in platea (noi) che applaudiamo, talvolta senza accorgercene. Eppure, il discorso non riesce ad andare proprio dove dovrebbe incidere di più, non mette a fuoco la vera grande assente di tutte le "copie" che si sono stratificate in ottant'anni di rielaborazioni. Una figura che arretra man mano che il racconto avanza verso il presente, fino a dissolversi nel nostro sguardo perché già interiorizzata: la madre, ovvero il femminile a cui la cultura attribuisce la colpa originaria di essere donna.

In Psycho diventa alter ego schizofrenico, ridotta a voce ventriloqua nella testa di un uomo; in Non aprite quella porta si frantuma in maschere sempre più feroci, pelle indossata come feticcio e negazione; ne Il silenzio degli innocenti è presenza sublimata e mai nominata, ridotta a materia prima di un progetto d'identità altrui. Monster: La storia di Ed Gein non ha il merito di raccontare questa "scomparsa", ma anzi scappa di fronte al racconto delle vittime senza voce: Augusta è dimenticata quando serve ascoltarla, resa colpevole proprio di ciò che la rende anzitutto bersaglio. Finché il femminile resterà cornice e non sguardo, costume e non soggetto, ogni nuova iterazione potrà lucidare lo specchio del male, ma lascerà in ombra il suo punto cieco: il diritto delle donne a non essere più l'alibi estetico di questo orrore, bensì il luogo da cui si ricomincia a raccontare.

Episodi: 9
Regia di Paris Barclay, Jennifer Lynch, Clement Virgo, Gregg Araki, Carl Franklin.

In uno stile impeccabile Ryan Murphy ci presenta un food crime porn che anestetizza la gravità dei temi trattati

Recensione di Gabriele Prosperi

Nel 1989, i fratelli Lyle ed Erik Menéndez uccidono brutalmente i loro genitori, José e Kitty, nella loro lussuosa casa di Beverly Hills. Dopo aver tentato di simulare l'omicidio come un crimine di mafia, vengono arrestati quando Erik confessa tutto al suo psicologo. Durante il processo, i due affermano di aver agito per difendersi da anni di abusi sessuali e psicologici da parte del padre, mentre la madre sarebbe stata complice per la sua passività.

Il concetto di food porn è ormai universalmente noto: immagini di pietanze lucide, gonfie e scintillanti, visivamente appaganti quanto i loro sapori, e che stimolano il desiderio prima ancora che si possa assaporarle. Il piacere sta nella visione, nell'anticipazione, e non tanto nel consumo reale.

Come insegna la regina indiscussa del food porn, Nigella Lawson, è spesso l'atto di vedere e immaginare che alimenta l'eccitazione sensoriale. Quando Nigella apre il frigorifero nel buio della notte e si abbandona al piacere di un assaggio rubato, ciò che viene trasmesso non è solo la bontà del cibo, ma un'intera esperienza di godimento sensoriale. Questa estetizzazione del cibo, che rende anche il junk food o i piatti ipercalorici visivamente irresistibili, richiama un desiderio immediato, ma irrealistico, simile a quello che la pornografia suscita.

Questo stesso meccanismo è sorprendentemente applicabile alla rappresentazione della mostruosità in quasi tutti i prodotti nati dalla mente, altrettanto attraente e disturbata, di Ryan Murphy. E in Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez forse ciò accade più che in ogni suo precedente lavoro. Come nel food porn, il vero fascino qui non risiede solo nell'orrore dei crimini, ma nel modo in cui vengono estetizzate violenza e devianza, rendendole visivamente attraenti. I personaggi principali, i "mostri", sono presentati in modo tale da affascinare lo spettatore - già a partire dal casting, pensando ai mostruosamente sensuali Javier Bardem e Chloë Sevigny - con un'attenzione quasi ossessiva ai dettagli fisici. Le inquadrature si concentrano sui corpi, sui muscoli, sugli sguardi, in un gioco di luci e primi piani che esaltano la sensualità fisica dei protagonisti, anche quando sono immersi in atti ripugnanti.

Lo spettatore viene catturato da un'estetica visiva che gioca sulla tensione tra attrazione e repulsione, un desiderio di vedere e, allo stesso tempo, di mantenere la distanza. Come avviene con il cibo ipercalorico che sappiamo essere nocivo se consumato in eccesso, anche nelle serie Netflix di Ryan Murphy e Ian Brennan siamo coscienti che l'attrazione per i "mostri" è moralmente pericolosa... eppure la rappresentazione ne accentua il fascino! I movimenti di macchina sinuosi e i primi piani ravvicinati sui corpi dei protagonisti rendono la loro mostruosità ipnotica, come se la violenza stessa diventasse un oggetto di seduzione visiva, proprio come un piatto succulento presentato in una pubblicità di junk food.

La visione dei corpi perfetti di Nicholas Chavez e Cooper Koch (rispettivamente Lyle ed Erik Menéndez), inquadrati in modo da esaltarne la fisicità, crea un cortocircuito tra il riconoscimento della loro colpevolezza e l'attrazione estetica. Ciò che vediamo è bello da guardare, anche quando è socialmente ripugnante. Insomma, nell'attesa del cibo - o in questo caso, nell'anticipazione della violenza - risiede l'eccitazione maggiore, un piacere che non ha bisogno di essere consumato per essere vissuto.

In questa seconda stagione dell'antologica Monsters, l'estetica visiva e la regia non raccontano tanto la storia di due fratelli che uccidono i loro genitori; ogni scena, semmai, è costruita per esaltare la tensione tra ciò che è giusto e ciò che è desiderabile, con una cura maniacale per il dettaglio che amplifica l'ambiguità morale della narrazione. La rappresentazione di Lyle ed Erik, come anche quella dei loro genitori, è disturbante in quanto sovrappone costantemente vittime e carnefici, senza mai offrire risposte definitive, ma lasciando lo spettatore in bilico tra il giudizio morale e la fascinazione estetica... in altre parole lasciandolo senza prove, seppur sia messo proprio lì, nel banco dei giurati.

Si tratta di un vero e proprio, e tremendo, abbandono dello spettatore: Murphy e Brennan si comportano come dei genitori che, consapevolmente, decidono di non curarsi del proprio figlio, ripetendo - forse con un po' di compiacimento - un ciclo già vissuto. Questo abbandono "educativo" diventa ancor più problematico se chi guarda è chiamato a discriminare tra questioni di grande complessità, messe in parallelo tra loro - in primis, il parallelismo tra omosessualità e mostruosità. Come in altri lavori di Murphy (si pensi alla stagione precedente su Jeffrey Dahmer, ma anche a vari capitoli di American Horror Story), l'omosessualità dei protagonisti viene associata a una repressione che esplode in violenza. Questa rappresentazione, sicuramente affascinante a livello visivo, rischia però, in molte occasioni, di rafforzare stereotipi dannosi, in cui l'orientamento sessuale e la devianza criminale si fondono. Le scene che rappresentano i corpi dei protagonisti sono impregnate di sensualità, ma allo stesso tempo infuse di una sottile perversione, che rende difficile separare l'attrazione fisica dalla loro natura violenta.

Il tema dell'abuso di minore è, ovviamente, centrale nella narrazione: Lyle ed Erik sono vittime di anni di abusi fisici e psicologici da parte del padre José, un uomo dispotico e manipolatore, interpretato con grande intensità da Bardem. Eppure, col fine di mantenere uno sguardo oggettivo, la narrazione si trova ad oscillare tra la rappresentazione dei fratelli come vittime e, poi, contrariamente come manipolatori, incapaci di sfuggire al ciclo di violenza che li ha plasmati... Di nuovo la ciclicità di un trauma vissuto (reale e irreale, infine iperreale).

La stagione (e anche la precedente) soffre di una mancanza di chiarezza tematica, oscillando tra l'empatia per i protagonisti e il voyeurismo sensazionalistico. In particolare, la tendenza di Murphy a rappresentare i "mostri" come figure tanto affascinanti quanto terrificanti spinge lo spettatore a parteggiare per loro, complicando il messaggio della serie, trasformando la rappresentazione ambigua della violenza in una sorta di "giustificazione" per i crimini, e traducendo lo sguardo oggettivo che si vuole adottare in uno sguardo ossessionantemente soggettivo e, soprattutto, che empatizza con i carnefici, nonostante l'atrocità delle loro azioni.

Questa ambivalenza riguarda i protagonisti, ma viene poi estesa a tematiche più ampie, come abuso, pedofilia, e infine anche omosessualità e genitorialità. La connessione che Murphy traccia tra repressione sessuale e violenza finisce per rafforzare pericolosi (e datati) stereotipi; inoltre, la scelta di rappresentare gli abusi come qualcosa di ambiguo, quasi manipolabile dai personaggi per i propri fini, svuota di significato le reali esperienze di vittime di abusi, generando una narrazione che, invece di chiarire, complica ulteriormente il confine tra vittima e carnefice. Questo, inoltre, accade pericolosamente in quello che è, oggettivamente, l'episodio più affascinante e stilisticamente meglio riuscito della stagione. Quel "The Hurt Man" (quinto episodio) in cui, con un'unica inquadratura che lentamente si avvicina dal campo medio al primo e infine al primissimo piano su Erik, raccontando attraverso l'esclusione del corpo femminile della sua avvocata l'immersione nel rapporto tra lui e la madre... ecco, proprio in quel magnifico episodio tutto si mescola, in maniera orrendamente piacevole.

La serie cade in un esercizio stilistico che, seppur tecnicamente impeccabile, finisce per anestetizzare totalmente la gravità dei temi trattati, lasciando lo spettatore in una posizione davvero scomoda! Attratto e respinto. Mai pienamente soddisfatto né eticamente orientato.

La serie non offre mai risposte chiare: gli abusi sono reali o sono una scusa per giustificare il crimine? Murphy lascia che sia lo spettatore a decidere (cavoli suoi?) mantenendo sempre un'ambiguità che, però, proprio come accade nel food porn, stimola un desiderio che non potrà mai essere pienamente soddisfatto.

Buona abbuffata.

Regia di Max Winkler, Paris Barclay, Jennifer Lynch, Carl Franklin, Ian Brennan, Michael Uppendahl, Clement Virgo, Gregg Araki.

Recensione di a cura della redazione

Jeffrey Dahmer è uno dei più famigerati serial killer degli Stati Uniti, nato nel 1960 a Milwaukee, ebbe una infanzia non facile e il primo omicidio lo compì a 18 anni. Drogava le sue vittime, spesso si dava anche ad atti di cannibalismo e le usava sessualmente a volte quando erano già morte. E' stato preso dopo che aveva commesso svariati omicidi ed è stato condannato a due ergastoli uno perchè giudicato colpevole di 15 uccisioni e un altro per il suo primo omicidio. Dahmer è stata ideata da Ryan Murphy insieme a Ian Brennan che hanno scritto anche parte degli episodi. A dare il volto al protagonista il bravissimo Evan Peters che già ha lavorato con Ryan Murphy in American Horror Story e in Asylum.

Tutti i film da € 1 al mese

Prisoner
Serie TV, Drammatico, Poliziesco - Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda, Finlandia, 2023, 6x60’

Prisoner

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
sabato 4 ottobre 2025
csgfrt4

Non subivo un brivido cosi dal 2022 nella 1 stagione.Ed Gein ? considerato uno dei primissimi e piu famosi serial killer americani.La sua storia ispiro 3 grandissime opere (Psyco,Non aprite quella porta,e il silenzio degli innocenti).Ottima e macabra interpretazione di Hunnam

NEWS
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lunedì 15 settembre 2025
 

L’attesissimo nuovo capitolo della serie antologica Monster, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan e che vede Charlie Hunnam nel ruolo di Ed Gein, sarà disponibile solo su Netflix dal 3 ottobre 2025.  Guarda il trailer »

winner
miglior attore miniserie o film tv
Golden Globes
2023
winner
miglior attrice secondaria miniserie o film tv
Emmy Awards
2024
winner
miglior attrice secondaria miniserie o film tv
Critics Choice Award
2023
winner
miglior attore in una serie tv horror
Critics Choice Super
2023
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