Amadeus

Film 2025 | Drammatico

Regia di Julian Farino, Alice Seabright. Una serie con Olivia-Mai Barrett, Paul Bettany, Will Sharpe, Gabrielle Creevy, Roderick Hill. Cast completo Genere Drammatico - USA, 2025, Valutazione: 1,5 Stelle, sulla base di 1 recensione. STAGIONI: 1 - EPISODI: 5

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Ultimo aggiornamento lunedì 22 dicembre 2025

Rivalità, gelosia, genio, amore in una versione inedita della leggendaria rivalità tra Mozart e Salieri.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 1,50
CRITICA
PUBBLICO
CONSIGLIATO NO
Una serie ridotta a "poche note" che semplifica e spiega troppo.
Recensione di Gabriele Prosperi
lunedì 22 dicembre 2025
Recensione di Gabriele Prosperi
lunedì 22 dicembre 2025

A Vienna, il giovane Mozart conquista la corte con il suo talento sfrontato, attirando l'ammirazione e l'invidia del compositore di palazzo Antonio Salieri. Mentre Mozart si sposa con Constanze, litiga col padre Leopold e alterna trionfi e umiliazioni, Salieri ne ostacola in segreto la carriera sfruttando intrighi e favori a corte. Mozart accetterà, infine, di comporre un Requiem per un misterioso committente, precipitando però nella malattia.

Torniamo al 2004: nell'episodio S15-E11 dei Simpson - Il tour storico di Marge - Bart "interpreta" un giovanissimo Mozart, trattato in questa parodia del film Amadeus (Miloš Forman, 1984) come una rock star del tempo, mentre l'invidiosissima Lisa-Salieri rosica e l'eco delle «troppe note» criticate dall'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena rimbalza come uno sberleffo pop alla cultura alta a cavallo tra i due millenni.

In questo semplice (ma non banale) omaggio troviamo una prova "recente" di quanto la leggenda del duello Mozart-Salieri sia diventata linguaggio comune, un filtro con cui leggiamo il genio, l'invidia e il potere.

Questo filtro nacque, in realtà, nell'Ottocento con il microdramma in versi Mozart e Salieri, una delle Piccole tragedie che lo scrittore russo Aleksandr Puškin pubblicò nel 1830. Il primo racconto moderno della leggenda velenosa che accusava Salieri venne musicato nel 1898 da Nikolaj Rimskij-Korsakov, prendendo poi la sua forma teatrale definitiva nell'Amadeus di Peter Shaffer (1979) e diventando, infine, icona globale con l'omonimo film di Miloš Forman cinque anni dopo. La potenza del testo è tale da renderlo ancora oggi un'opera aperta, tanto che recentemente è tornata in scena anche in Italia, grazie al Teatro Elfo Puccini di Milano (ora in tournée) a conferma che quel dispositivo drammaturgico - la confessione di Salieri, la satira di corte, l'ambiguità morale - funziona quando tiene insieme il fatto storico e la menzogna poetica.

La recente serie televisiva di Sky - firmata dall'ideatore di The Lazarus Project, Joe Barton, e perciò con un certo livello di aspettativa - sembra invece scegliere la strada opposta: limare, spiegare, semplificare un po' tutto. Lasciando da parte la questione del casting - cioè le ormai consuete incongruenze storiche di un racconto che, come in questo caso, si permette di inserire nella Vienna del XIX secolo personaggi minori afrodiscendenti in ruoli storicamente impossibili, nonché lo stesso Mozart interpretato da un nippobritannico Will Sharpe - il problema di Amadeus sta altrove. La serie britannica, infatti, nel rendere tutto più catchy perde proprio il contesto che rende il rapporto Mozart-Salieri perturbante.

Il problema, cioè, non è stilistico - come nelle legittime scelte di cast - ma di impianto drammaturgico: la frattura psicologica ed emotiva del Salieri interpretato abilmente da Paul Bettany non c'è o, meglio, è data totalmente per scontata. La sua devozione religiosa e il patto con il divino vengono trattati come note a margine, non come l'asse tragico del racconto. È come se la serie desse per scontato un pubblico che abbia già visto il film e che, per questo, riconosca automaticamente l'iconografia, permettendosi così di puntare direttamente al sottotesto. Peccato che il sottotesto, qui, si perda: quel veleno che in Puškin passa dalla tazzina offerta a Mozart da Salieri e che in Shaffer si diffonde nel vociare, nei venticelli chiacchieroni messi in moto dal compositore italiano - diventando un veleno etereo - nella serie evapora del tutto. Non c'è.

A pesare è anche la britannicizzazione del mondo di corte: l'asettica perfezione della dizione e un protocollo da cerimoniale Elisabetta II appiattiscono Vienna su Westminster. L'imperatore - anche in questo caso molto abilmente interpretato (seppur non in linea con il testo originale) da Rory Kinnear - che in Shaffer/Forman è un veicolo di satira (la famosa battuta delle «troppe note» come epitome dell'ottusità beneducata), qui diventa figura autorevole e quasi irreprensibile; il risultato è che il bersaglio satirico scompare. La lingua, i costumi, l'etichetta: tutto sembra curato per somigliare a una corte britannica immacolata, più che a un corpo politico mitteleuropeo attraversato da frizioni, gerarchie, ignoranza musicale e (soprattutto) vanità - elementi decisivi per comprendere perché Mozart non venga capito né dal sistema analfabeta in cui si muove, né dall'alfabetizzato Salieri che legge la novità come un affronto personale di Dio.

Questa "tragica" pulsione a chiarire il testo si vede ovunque: gli sguardi e i sottintesi tra i due protagonisti diventano didascalie a cielo aperto - quello che dovrebbe emergere viene spiattellato da uno in faccia all'altro o, in termini Boris-iani, la sceneggiatura 'o dice - e ciò che nella tradizione rimaneva implicito, generando ambiguità e risonanze, qui è esplicitato, selezionato, montato per il binge-watching. È un Peter Shaffer for dummies in cui persino la struttura-cornice si indebolisce: il Salieri anziano non è più un narratore lunatico, pazzo per la sua incapacità di assorbire il nuovo, ma un memorialista serioso; lo humour nero scompare da lui come dall'imperatore. Se piace, è perché evoca una storia già sedimentata nell'immaginario.

Il baricentro si sposta così verso un Mozartcentrismo compassionevole: il "bimbo sfruttato", il figlio che col padre scivola nell'adolescenza cialtrona, un santo laico da proteggere. Salieri, per contro, smette di essere divorato dall'invidia e diventa un antagonista maligno e arrogante, quasi dominante; il che contraddice l'asse tragico originale - la mediocrità consapevole - e rende persino implausibile la dinamica con un Mozart costruito come vittima pietosa. È irrispettoso verso entrambi: banalizza Salieri in piagnucolio e priva Mozart della sua ambiguità (che era genio, sì, ma anche corpo, vizio e capriccio).

E non finisce qui, la cosa si fa sempre più grave man mano che si avanza: sia Puškin sia Shaffer usano la leggenda per parlare d'altro - di arte e colpa, di grazia e ingiustizia - senza trasformare l'omicidio in un dato storico. Qui, invece, dentro un impianto dichiaratamente finzionale, l'omicidio affiora come verità di fatto: cioè non è più una metafora, un rimando ad altro, ma un fatto drammaturgico. È un corto circuito che scivola nella disinformazione storica. Amadeus diventa cioè... un deep fake: prende la maschera della tradizione per conferirle il peso della prova. Il cameo metanarrativo di Puškin nella serie, per paradosso, è (sarebbe) brillante proprio perché promette l'esattezza delle fonti che il resto dello show rinnega.

Anche l'apparato tecnico contribuisce alla semplificazione: i tempi di montaggio favoriscono evidentemente la digestione seriale, la musica non viene mai valorizzata se non per coprire silenzi e accompagnare emozioni già messe in scena visivamente - laddove, invece, Shaffer e Forman facevano spazio all'ascolto - e la regia strizza costantemente l'occhio al pubblico, fino allo sguardo in macchina per dichiarare l'intento di connettere passato e presente della leggenda (storicizzandola appunto). Un vero e proprio "cinema delle attrazioni" travasato nel costume drama: la seduzione viene prima della complessità ovvero, facendo proprie le parole di Giuseppe II, la serie Amadeus toglie quelle "troppe note" che invece servono... eccome!

La leggenda Salieri-Mozart funziona da quasi tre secoli perché è elastica: permette la satira, l'ambivalenza, il doppiofondo morale. Una rilettura che, invece, la rende cristallina (facilissima) toglie il terreno alla sua stessa funzione e, da maschera che svela diventa una didascalia che spiega. Lo aveva capito Bart diventando un Mozart rock star, ma non Barton, che invece rimane in superficie nel tentativo di piacere. La serie Amadeus non sovverte tanto il testo originale - lo si faccia pure! - quanto ciò su cui la leggenda, il microdramma, l'opera lirica, il dramma, il film e infine anche l'episodio animato fondevano il proprio senso comune: l'irruzione del nuovo, l'esperienza di qualcosa che eccede le categorie disponibili... certamente il contrario del compiacimento di piattaforma.

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