
Remake di Professione…giocattolo, il film ci parla di paternità, del lutto, di solitudine, infelicità e di scarti tra classi sociali differenti. Con una grande prova di Daniel Auteuil, tutta in sottrazione. Al cinema.
di Simone Emiliani
L’improvviso risveglio. È quello di Sami nel magazzino dove lavora come guardiano notturno. Si trova davanti Alexandre, l’unico figlio dell’imprenditore milionario Philippe Étienne. Ormai non desidera più nulla perché ha tutto. Spider-man e Venom sono già lontanissimi. Gli vengono suggeriti (in realtà sono già ‘maschere umane’) ma lui vuole, come regalo di compleanno, un giocattolo ancora più umano e così sceglie Sami. La gestualità incontrollata, frenetica, fisica di Jamel Debbouze mostrata con il tè al mercato dove è venditore ambulante, i movimenti in cui fa finta di perquisire un cliente o i dialoghi immaginari con i manichini improvvisamente si interrompono. Alexandre lo sceglie come il proprio giocattolo e lo costringe ad essere messo dentro un pacco dono.
Se Robin Williams in L’uomo bicentenario era un robot che cercava di essere simile agli umani, Sami lotta con tutte le proprie forze per restare aggrappato alla sua vera identità. Non c’è la magia di un corpo-adulto tornato bambino (ancora Williams in Jack ma anche Tom Hanks in Big dopo che è diventato grande) ma invece il rifiuto iniziale di quello sterminato spazio-gioco che invece somiglia a un cimitero. Nella stanza di Alexandre si contaminano visioni futuriste con quelli dei manga. Sembra il parco giochi domestico ideale. Invece quella grande villa è spesso buia, con corridoi spettrali e senza uno spiraglio di luce. Al contrario il quartiere dove vive Sami è coloratissimo. Tutti si conoscono, nessuno ha segreti. Neanche a casa sua dove le discussioni con la moglie Alice, arrivata all’ottavo mese di gravidanza, sono ascoltate benissimo dai vicini che spesso intervengono.
The New Toy ha il tono di una favola senza tempo e la sua storia potrebbe idealmente uscire da un romanzo dell’Ottocento. Parla di paternità, del lutto, di solitudine, infelicità e di scarti tra classi sociali differenti. Niente di nuovo quindi rispetto all’originale, Professione…giocattolo (1976) di Francis Veber o del primo remake Giocattolo a ore (1982) di Richard Donner. Con il primo condivide il tema della spersonalizzazione e poi della ribellione dell’individuo con un sottotesto politico, con il secondo lo scarto tra il potere del denaro e l’amicizia dove c’era un richiamo, neanche troppo indiretto, al cinema di Frank Capra.
Dopo Pierre Richard e Richard Pryor, Jamel Debbouze diventa il ballerino impazzito di questa nuova versione diretta da James Huth. Ma nell’oscurità invece c’è la grande prova di Daniel Auteuil, tutta in sottrazione, quasi invisibile già dalla scena iniziale del funerale dove la presenza della foglia appare come un richiamo alla piuma di Forrest Gump. Forse la sua interpretazione, sulla falsariga di quella di Michel Bouquet del film di Francis Veber, è l’elemento meno contemporaneo che possa esistere. Ma la scena della camminata a piedi nudi col figlio regala un tono nuovo a un film anche crudele (la scena della caccia, il video di Sami diffuso sui social) ma che ha anche tocchi di coinvolgente umanità già dalla scena in cui l’uomo e Alexandre si fanno il bagno vestiti nella vasca. Huth trova diverse analogie con il cinema di Nakache-Toledano e in particolare Quasi amici. La corsa in Maserati di Philippe e Driss viene forse omaggiata nella scena della fuga con la macchinetta di Alexandre.