Titolo originale | Halston |
Anno | 2021 |
Genere | Drammatico, Biografico |
Produzione | USA |
Regia di | Daniel Minahan |
Attori | Rory Culkin, Rebecca Dayan, Ewan McGregor, Gian Franco Rodriguez, Krysta Rodriguez Molly Jobe, Deya Danielle Drake, Juri Henley-Cohn. |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 14 maggio 2021
Storia di Haltson, uno stilista molto vicino allo Studio 54, dove frequentava Andy Warhol e Liza Minnelli. La serie ha ottenuto 1 candidatura a Golden Globes, ha vinto un premio ai Satellite Awards, 1 candidatura a SAG Awards, 1 candidatura a Writers Guild Awards, 1 candidatura a CDG Awards,
CONSIGLIATO NÌ
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Proveniente dall'Iowa, Halston lancia la sua scalata al mondo della moda a New York negli anni Sessanta, dove diventa anche amico della sua futura musa Liza Minnelli. Insieme a lei e ad altri stilisti americani partecipa alla "Battaglia di Versailles", una sfilata collettiva che porta insieme in scena i designer americani e quelli francesi, conquistando autorevolezza internazionale alla moda statunitense. Da semplice stilista però Halston si trasforma in brand di successo, che abbraccia profumi, valigie e moltissimi altri articoli, arrivando addirittura alla controversa decisione di firmare collezioni per la catena JCPenney. L'eccessivo carico di lavoro, l'abuso di cocaina, i problemi relazionali con il controverso artista Victor Hugo e le spese fuori controllo, danno il via allo scontro frontale con la corporation entrata in possesso del brand...
Parabola su un artista che abbraccia il capitalismo e ne finisce divorato, Halston si affida all'interpretazione mimetica di Ewan McGregor, ma sceneggiatura e regia riescono solo raramente ad andare oltre l'illustrazione.
Ad Halston era stato solo due anni fa dedicato un fitto documentario, firmato da Frédéric Tcheng, che sintetizzava in due ore scarse tutti i temi di questa miniserie di cinque episodi e rendeva anche maggior giustizia alle figure che hanno ruotato intorno alla vita di Halston. La produzione di Ryan Murphy, ormai al suo ennesimo titolo per Netflix in un paio d'anni circa, non trova invece né la sintesi né il respiro di grandi sequenze o di momenti introspettivi.
Tutto corre seguendo un ritmo didascalico dove nemmeno Ewan McGregor, che davvero si è prestato anima e corpo al progetto, riesce a trasformare questa storia in qualcosa di più di un apologo sui rischi del successo e della trasformazione della moda in brand. Tanto che sembra quasi di leggere in filigrana una confessione dello stesso Murphy su come il moltiplicarsi delle proprie produzioni abbia finito per inaridirlo.
Qui il producer e sceneggiatore scrive solo alcuni copioni e cede interamente la regia a un suo fido collaboratore, Daniel Minahan, che in passato su American Crime Story ha fatto anche ottimi episodi. La rincorsa a raccontare in cinque ore così tanti fatti, di una vita incredibilmente frenetica, non lascia però modo al regista di colpire l'immaginazione e persino il momento che dovrebbe essere più spettacolare, ossia "La battaglia di Versailles", finisce per deludere e si limita a poco più dell'esibizione di Liza Minnelli.
Il successo di Halston ci viene detto più che sbattuto in faccia, nel trasferimento da una sede all'altra e nel suo circondarsi di sempre maggiore sfarzo, ma il suo tormento artistico è liquidato con plateali scene in cui Ewan McGregor recita crolli nervosi e pianti. Del suo rapporto con l'arte d'avanguardia di allora, per esempio, non c'è quasi traccia. Emblematica in tal senso la scena in cui l'ex compagno Ed viene sostituito da Victor Hugo alle vetrine. Le provocazioni di Hugo sembra piacessero veramente ad Halston e di certo furono importanti allora per il suo brand, ma nella serie pare che si sia semplicemente stancato di Ed e accetti invece le bizzarrie di Hugo per tenerselo al fianco.
Allo stesso modo le operazioni d'immagine che fuorono i suoi viaggi in lungo e in largo con le "Halstonettes", inclusa una trasferta in Oriente, non sono di interesse per la serie. L'Halston che ci viene mostrato non è un imprenditore che sa comunicare l'immagine del proprio marchio, bensì un artista vittima dei raggiri degli affaristi e dell'invidia per i colleghi come Calvin Klein. Una visione più ingenua e banale che riduce la complessità del personaggio a tropi consolidati sul difficile rapporto tra artista e industria.
Un'altra delle occasioni mancate è poi la fase della sua vita nel jet set dello Studio 54, dove Minahan azzecca una buona sequenza di montaggio che ha però per protagonista una fan di Halston, ma non trasmette il fermento culturale di quel mondo. Di certo le scene allo Studio 54 si sarebbero prestate a confronti con altre celebrità per lo meno divertenti, ma sono invece limitati a momenti di promiscua decadenza, anticamera dell'HIV che finirà per uccidere l'artista.
A parte per il ricordo dell'ultimo successo di Halston come costumista, dopo la perdita del suo nome e del suo brand, la miniserie non aggiunge nulla al recente documentario e troppo raramente riesce a elevare il racconto dalla semplice cronaca dei fatti.