loland10
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martedì 17 maggio 2022
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''droni e rallenty''
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“Belfast” (id. 2021) è il diciottesimo lungometraggio del regista-produttore nord-irlandese Kennet Branagh
Ecco che arriva il punto di non-ritorno. L’attore-regista ha avuto una forza e un coraggio vivi ne girare e recitare (benissimo) pellicole da drammi shakespeariani. Intensi, belli, caricati. Poi….si è voluto dedicare al cinema ‘generalista’ un po’ troppo ‘pop’, con lui sempre in prima fila e (per quanto mi concerne) i conti non tornano. Regie molto ‘altisonanti’, ‘panoramiche’, ‘accattivanti’ e il cinema si perde in risvolti non sempre congeniali.
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“Belfast” (id. 2021) è il diciottesimo lungometraggio del regista-produttore nord-irlandese Kennet Branagh
Ecco che arriva il punto di non-ritorno. L’attore-regista ha avuto una forza e un coraggio vivi ne girare e recitare (benissimo) pellicole da drammi shakespeariani. Intensi, belli, caricati. Poi….si è voluto dedicare al cinema ‘generalista’ un po’ troppo ‘pop’, con lui sempre in prima fila e (per quanto mi concerne) i conti non tornano. Regie molto ‘altisonanti’, ‘panoramiche’, ‘accattivanti’ e il cinema si perde in risvolti non sempre congeniali.
“E con cosa torniamo? con la nebbia scozzese”, “Cerca di essere bravo e se non puoi fai attenzione”. Due battute per una famiglia che vorrebbe andare via dalla Belfast, città unica, e dal modo in cui un bimbo dovrebbe partecipare alla vita. La città nelle piccole vie diventa afflato di ‘dolcezza’ e ‘buona vita’, di “corse e saluti” e “scontri e fumi”. Tutto secondo Buddy, di 9 anni, sotto gli sguardi sornioni e sicuri dei nonni. Quelli che non lesinano consigli e giusti ricordi (i propri).
Tutto in modo sobrio, asciutto, deciso e fermo. Un quadro fisso nel regista, che appare in lontano (di)stacco, senza emozioni palpabili e un resoconto disteso e, privo, di mordente per chi osserva, Un passato che rimane e privo di ritorno a noi. Il bianco e nero diventa oltremodo ‘datato’ e già ‘dormiente’ nel cronachismo delle vie di una città che del ‘folgorante’ ha solo il panoramico (riprese dall’alto paiono completamente opposte e prive di passione con le vite familiari).
Esempio di cinema ritagliato, bloccato e vividamente ancorato alle piccole cose di Belfast.
Linee parallele, piccoli frammenti, esperienze minime e dialoghi tronchi. Un fermo immagine in leggero movimento tra pause aeree e droni in lontananza. Belfast città e ‘Belfast’ film si incontrano senza un vivo entusiasmo e con un saluto ’formale’, in puro stile ‘umido-nebbioso’ a cui le strade si addicono.
Dal colore iniziale, con riprese panoramiche, porto, palazzi, vie e sprazzi di grandi movimenti,
Si passa ad un bianco e nero ‘ordinato’ tra vie frequentate da ragazzi e le loro famiglie, voci e giochi, rumori e richiami verso figli per tornare a casa, la tavola pronta e nonni disposti a buone parole..
Siamo nel giorno 15 agosto 1969 in una Belfast aggrumata, viva nei volti e oscura negli episodi e negli avvenimenti che di lì a poco avverranno.
Pellicola che appare disunita o forse volutamente fatta di episodi familiari attaccati dove il pathos narrativo e/o il ricordo vivo sembra perdersi negli occhi del bambino e nei discorsi di ‘conquista’ della posizione a scuola per essere vicino alla ‘ragazzina’ dei sogni.
E il sogno idealizzato e i fatti di quei giorni appaiono troppo lontani e distanti dallo spettatore: l’uno certo ma non sinceramente coinvolgente e gli altri zoomati e ripresi in ‘tensione-gelata’ da sembrare non rappresentati e diretti da altre parti. Questo dualismo bambino sognante-scontri storici stagnano ognuno nel suo luogo ma non emergono fino in fondo.
Ecco che da dalla pellicola escono fuori, oltre ogni g(e)usto, le voci (narranti) dei nonni che raccontano alla fine se stessi: un’epoca che non si vede nella Belfast di Branagh. Quindi un senso di nostalgia narrativa e di traslazione di ripresa in storie che cerchiamo di percepire. Sono la voce e la musica di Van Morrison, con altri del periodo, a destare la maggiore attenzione e interesse a quello rappresentato.
‘A chi è rimasto, chi è partito, chi si è perso’.
Judy Dench(nonna): stravince di una spanna e ben oltre. Rende viva la scena, emoziona ogni suo gesto e il suo racconto è palpitante nei modi. Nel finale ‘si prende’ il film.
Ciaran Hinds (nonno): bravo e ironico con alle spalle la ‘nonna’ Judy.
Jude Hill(Buddy): giusta e delicata ‘performance’.
Regia di K. Branagh correttamente ‘distanziata’.
Voto: 6- (**½) -cinema bloccato-
(scritto pre-Oscar)
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sergiofi
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giovedì 9 dicembre 2021
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belfast, un luogo che cattura il cuore
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Il senso di questo (splendido) ‘memoir’, girato in un bianco e nero di forte impatto visivo (merito della fotografia di Harris Zambarloukos), sta tutto nella dedica finale: a quelli che sono rimasti, a quelli che se ne sono andati, a quelli che si sono persi.
Kenneth Branagh mette in scena un inno alla città di Belfast, dove è vissuto fino a nove anni, e lo colloca nel 1969 all’epoca drammatica dei ‘troubles’. Decide di filtrare gli eventi attraverso il suo alter ego bambino. Ne scaturisce un racconto di formazione che prescinde dalla valutazione politica degli eventi storici. che funzionano solo da contorno, per focalizzarsi sulle vicende collaterali di una famiglia proletaria e tracciare un tenero omaggio a Belfast (dove Branagh è cresciuto).
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Il senso di questo (splendido) ‘memoir’, girato in un bianco e nero di forte impatto visivo (merito della fotografia di Harris Zambarloukos), sta tutto nella dedica finale: a quelli che sono rimasti, a quelli che se ne sono andati, a quelli che si sono persi.
Kenneth Branagh mette in scena un inno alla città di Belfast, dove è vissuto fino a nove anni, e lo colloca nel 1969 all’epoca drammatica dei ‘troubles’. Decide di filtrare gli eventi attraverso il suo alter ego bambino. Ne scaturisce un racconto di formazione che prescinde dalla valutazione politica degli eventi storici. che funzionano solo da contorno, per focalizzarsi sulle vicende collaterali di una famiglia proletaria e tracciare un tenero omaggio a Belfast (dove Branagh è cresciuto). Si disegna così il quadro di un luogo (forse) unico al mondo.
Il cast non avrebbe potuto essere scelto in modo più convincente. Accanto all’eccezionale Jude Hill (il bambino Buddy) spiccano le figure della madre (la superlativa Caitriona Balfe), del padre (Jaimie Dornan) e dei nonni (Judi Dench e Claraàn Hinds). Tutt’intorno agisce un microcosmo sfaccettato, nel quale non manca il cattivo di turno (Colin Morgan). Almeno in due (Dench e Balfe) si candidano a una possibile ‘nomination’. All’interno del nucleo familiare messo al centro del racconto non circolano nomi, eccetto quello di Buddy. Si parla di persone, di stereotipi.
In una storia vissuta e raccontata attraverso la visione dal basso di un bambino, c’è tempo e spazio anche per un sano citazionismo cinematografico d’epoca. Scene di vecchi film arricchiscono il plot. Quando possibile, sono girate a colori. Un espediente autoriale che ravviva la narrazione.
Un'opera intensa e intima, che riscalda il cuore. Una fotografia perfetta. Una regia d’impatto, anche nei momenti in cui diventa platealmente teatrale. Un gruppo di attori di prim’ordine. La storia di questo quartiere irlandese abitato dalla classe operaia non è mai banale né falsamente accattivante o ipocrita.
Arriverà anche la candidatura all’Oscar? È possibile, forse probabile. Nell’attesa, cercate di non perderlo. Perché siamo davanti a un (piccolo) gioiello cinematografico.
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gabriella
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lunedì 14 marzo 2022
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se loro non ti capiscono, allora non ti ascoltano
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Belfast è uno di quei film che fanno bene al cuore, agli occhi, che riconcilia con la bellezza, dopo due anni in cattività dovuta alle restrizioni della pandemia. E' un omaggio al cinema, certo, non è un'idea originale, è un mondo visto attraverso gli occhi e i ricordi di un bambino, la realtà in bianco e nero e i sogni a colori, nemmeno questo è originale, però piace per la sua semplicità, per la rappresentazione di una quotidianità faticosa, dovuta ai problemi economici della famiglia di Buddy e sopratutto agli scontri violenti tra cattolici e protestanti nell'Irlanda fine anni 60 ,tutto filtrato dalla limpidezza di uno sguardo infantile, attento ma anche confuso.
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Belfast è uno di quei film che fanno bene al cuore, agli occhi, che riconcilia con la bellezza, dopo due anni in cattività dovuta alle restrizioni della pandemia. E' un omaggio al cinema, certo, non è un'idea originale, è un mondo visto attraverso gli occhi e i ricordi di un bambino, la realtà in bianco e nero e i sogni a colori, nemmeno questo è originale, però piace per la sua semplicità, per la rappresentazione di una quotidianità faticosa, dovuta ai problemi economici della famiglia di Buddy e sopratutto agli scontri violenti tra cattolici e protestanti nell'Irlanda fine anni 60 ,tutto filtrato dalla limpidezza di uno sguardo infantile, attento ma anche confuso. Come si fa a lasciare Belfast,le sue strade e quartieri familiari, i nonni, depositari dei suoi segreti e dei sussulti del suo cuore, per andare in Inghilterra? Una scelta che il padre di Buddy ritiene necessaria per vivere tutti insieme in un posto più sicuro, lontano dai Trubles, dove si possa convivere pacificamente pur appartenendo a religioni diverse anche se ciò significa temere di perdere la propria identità, le proprie radici. Kenneth Branagh ripercorre quel periodo, quel passaggio, con una nostalgia autentica e struggente, ha scelto per la maggior parte attori irlandesi, chi meglio di loro poteva entrare nel clima conosciuto, che li ha visti crescere, che ne conoscono gli umori, gli odori, le speranze e le delusioni? Se proprio vogliamo essere pignoli, il regista si concede qualche ruffianeria e non rinuncia a un po' di narcisismo, però penso che gli si possano perdonare questi peccatucci perché la sua dichiarazione d’amore alla sua Irlanda, commuove e ci affascina.
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fabiofeli
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sabato 19 marzo 2022
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se non fai il bravo, fai attenzione
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Le immagini a colori della capitale nordirlandese aprono il film e subito trascolorano nel bianco e nero di una stradina dove camminano persone o fanno capannello e giocano i bambini in attesa della cena. Buddy (Jude Hill) è uno di questi e lotta con un drago immaginario, quando la madre sulla porta del numero 96 (!) della stradina lo chiama. Tutto normalissimo in quel quartiere: persone di simili, ma con diversi credo religiosi (cattolici e protestanti), vivono mescolati nella città, in armonia per lo più, e con antipatie casuali. Buddy, di famiglia protestante, è innamorato di una bambina, una dolce compagna di scuola, cattolica e bravissima nei compiti in classe.
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Le immagini a colori della capitale nordirlandese aprono il film e subito trascolorano nel bianco e nero di una stradina dove camminano persone o fanno capannello e giocano i bambini in attesa della cena. Buddy (Jude Hill) è uno di questi e lotta con un drago immaginario, quando la madre sulla porta del numero 96 (!) della stradina lo chiama. Tutto normalissimo in quel quartiere: persone di simili, ma con diversi credo religiosi (cattolici e protestanti), vivono mescolati nella città, in armonia per lo più, e con antipatie casuali. Buddy, di famiglia protestante, è innamorato di una bambina, una dolce compagna di scuola, cattolica e bravissima nei compiti in classe. Ma subisce anche le scelte di una ragazzina più grande che fa parte di una compagnia “segreta”, e che riesce perfino a coinvolgerlo nel taccheggio in un negozietto di un immigrato dell'India. Il padre e la madre di Buddy sono protestanti, con una visione molto laica della religione e della vita: il padre è fuori casa tutta la settimana, perché è carpentiere in Inghilterra con uno stipendio di povertà e vorrebbe portare con sé l'intera famiglia. Poi piomba su tutti la tremenda settimana di ferragosto 1969 … Branagh ha usato i suoi personali ricordi per confezionare questo film, un gioiellino quasi tutto in bellissimo bianco e nero, con solo gli squarci di colore dei momenti felici. Fioccano nella tv delle casa le citazioni di L'uomo che uccise Liberty Valance con John Wayne e di Mezzogiorno di fuoco con Gary Cooper e Grace Kelly (ovviamente in B/N), ma anche della favola a colori Chitty Chitty Bang Bang. Quasi una voce narrante sono le canzoni interpretate dal grandissimo Van Morrison, una stella del nostro firmamento canoro dal giorno dell'ascolto di Have I told you lately that I love you. Indovinati e mai scontati l'umorismo e l'aperta comicità che stemperano il dramma della tragedia nordirlandese: ad esempio l'angoscia di Buddy che non ricorda più quale strada prendere al bivio tra perdizione e salvezza descritte dalla predica di un prete in modo truculento. La recitazione del cast, nel quale spiccano il bimbo, il “cattivo” (il capo dei protestanti “duri”), la grande Judy Dench e Claran Hinds nelle parti dei nonni, ma tutti fanno la loro parte, è segno di una grande regia. Molti premi Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio, fotografia, recitazione …) sono nel mirino di questa opera da non mancare. Valutazione **** FabioFeli
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luca scialo
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domenica 20 marzo 2022
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gli orrori della guerra civile irlandese visti dagli occhi di un bambino
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Buddy è un bambino che vive col fratello maggiore, i genitori e i nonni in un quartiere di Belfast, dove sono concentrate molte famiglie protestanti. Siamo negli anni '60, periodo di contrasti tra le due fazioni religiose, fomentate dal Regno Unito che voleva prevaricare sull'Isola di smeraldo. Arrivando a creare una separazione tra Irlanda del Nord e Irlanda ancora esistente. La madre si sforza di tenere i figli lontano dai rivoltosi, mentre il padre lavora a Londra e torna solo ogni 2 settimane. I nonni, invece, conservano quella ironia e quella saggezza che proteggono Buddy nelle difficoltà del quotidiano. Un giorno però arriva una proposta che non avrebbe mai voluto sentire proporsi: emigrare a Londra insieme a tutta la famiglia e lasciare quella amata, quanto complicata, Belfast.
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Buddy è un bambino che vive col fratello maggiore, i genitori e i nonni in un quartiere di Belfast, dove sono concentrate molte famiglie protestanti. Siamo negli anni '60, periodo di contrasti tra le due fazioni religiose, fomentate dal Regno Unito che voleva prevaricare sull'Isola di smeraldo. Arrivando a creare una separazione tra Irlanda del Nord e Irlanda ancora esistente. La madre si sforza di tenere i figli lontano dai rivoltosi, mentre il padre lavora a Londra e torna solo ogni 2 settimane. I nonni, invece, conservano quella ironia e quella saggezza che proteggono Buddy nelle difficoltà del quotidiano. Un giorno però arriva una proposta che non avrebbe mai voluto sentire proporsi: emigrare a Londra insieme a tutta la famiglia e lasciare quella amata, quanto complicata, Belfast. Dove lascerebbe i sogni di arrivare sulla Luna e sposare la compagna di classe. Uscito proprio mentre l'Europa è sconvolta da una guerra, quella in Ucraina, il film è una ulteriore testimonianza di come un conflitto possa stravolgere la vita quotidiana delle persone. Le loro abitudini, i loro sogni, i loro piccoli gesti ripetuti. Il tutto, dal punto di vista di un innocente come è un bambino, impreziosito dalla scelta del bianco e nero che non lascia spazio a falsità ed artefatti. Film semi-autobiografico del regista Kenneth Branagh, che narra la Belfast vista da bambino. Primo film di una certa qualità e pretesa. Tutto sommato riuscito negli intenti. Qualche scena ad affetto giusto laddove serve, dramma spezzato da momenti ironici ed onirici. Il bianco e nero rende tutto più toccante e realistico. Una prova di maggiore maturità anche per i genitori di Buddy, Jamie Dornan che è riuscito a togliersi di dosso i panni di Mr Gray e Kenneth Branagh, qui nei panni della madre saggia e protettrice. Sempre superlativa Judi Dench, nel ruolo della nonna saggia, le cui rughe sono esaltate dal bianco e nero ed enfatizzano il ruolo che è chiamata ad interpretare.
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antonio miredi
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sabato 26 marzo 2022
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fotogrammi con gli occhi incantati di un bambino
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Belfast 1969. In un quartiere periferico della città dove tutti si conoscono, bambini e ragazzi giocano per strada. Improvviso, l'urto di un gruppo violento irrompe nel quartiere, saccheggiando vetrine, finestre, facendo esplodere una auto in sosta, e rompe l'idillio ricordandoci che siamo negli anni in cui esplode la guerra civile nell'Irlanda del Nord fra la comunità cattolica e quella protestante. Il dramma sociale di questa violenza che porta morte e distruzione non viene però messo a fuoco. Il film preferisce rimanere nella tenerezza di una famiglia di operai vissuta soprattutto con gli occhi spesso incantati del piccolo Buddy, nonostante la precarietà economica, l'andirivieni fra l'isola e il continente per ragioni di lavoro, il rischio della violenza in cui tutti sono esposti.
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Belfast 1969. In un quartiere periferico della città dove tutti si conoscono, bambini e ragazzi giocano per strada. Improvviso, l'urto di un gruppo violento irrompe nel quartiere, saccheggiando vetrine, finestre, facendo esplodere una auto in sosta, e rompe l'idillio ricordandoci che siamo negli anni in cui esplode la guerra civile nell'Irlanda del Nord fra la comunità cattolica e quella protestante. Il dramma sociale di questa violenza che porta morte e distruzione non viene però messo a fuoco. Il film preferisce rimanere nella tenerezza di una famiglia di operai vissuta soprattutto con gli occhi spesso incantati del piccolo Buddy, nonostante la precarietà economica, l'andirivieni fra l'isola e il continente per ragioni di lavoro, il rischio della violenza in cui tutti sono esposti. Restare o partire, è questo il dilemma che la famiglia si trova ad affrontare . Il piccolo Buddy vuole restare perché qui ha modo di parlare in complicità col nonno, continuare a giocare per strada, vedere dalla finestra la sua compagna di classe anche se lei è cattolica e lui protestante.( Un tocco di politically correct ci sta sempre bene) Kenneth Branagh confeziona in maniera impeccabile il suo nostalgico amarcod ( Il regista è nato a Belfast nel 1960 quindi nel 1960 aveva 9 anni come Buddy, il piccolo protagonista della storia) La fedeltà all'incanto che nella infanzia potevano dare il cinema e il teatro, la colonna sonora che riporta e ci trascina in quegli anni non facili eppure carichi di cose da fare e da vedere, e la bella nitidezza da fotogramma che il bianco e nero ci offre, concorrono per essere un sentito e vissuto atto d'amore, anche verso la terra in cui alcuni restano e altri lasciano. il rischio è che l'emozione alla fine risulta raggelata da tutte questa studiata estetica-estatica rappresentazione di una stagione vissuta in maniera incantata. Un film col carisma per piacere al grande pubblico, grazie anche alla maniera con cui il fanciullo gioca il suo ruolo, e pronto a imporsi nel rito delle premiazioni ufficiali, per le sue indubbie qualità visive e quel benefico abbandono alla nostalgia giovanile, così presente in tanti film oggi di successo. (antonio miredi)
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eugenio
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giovedì 10 marzo 2022
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il furbo amarcord di kenneth branagh
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Belfast, vincitore del premio del pubblico al festival di Toronto all'Heartland Film Festival di Indianapolis e a quello di Middleburgh in Virginia, è un puro esempio di cinema che dagli spunti biografici, diviene sineddoche di racconto sociale, di conflitto tra protestanti e cattolici nella celebre capitale nord-irlandese nota negli anni ’60 per accesi e aspri scontri religiosi.
E il cineasta, classe 1960, Kenneth Branagh, ben è capace di tradurre appunto un episodio prettamente di vita, come la sua infanzia e i primi sogni in un racconto di vita, di formazione, con gli occhi confusi di un divenire assai nebuloso tra sermoni e violenze di fazioni contestatrici e episodi di guerriglia urbana assai poco onorevoli.
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Belfast, vincitore del premio del pubblico al festival di Toronto all'Heartland Film Festival di Indianapolis e a quello di Middleburgh in Virginia, è un puro esempio di cinema che dagli spunti biografici, diviene sineddoche di racconto sociale, di conflitto tra protestanti e cattolici nella celebre capitale nord-irlandese nota negli anni ’60 per accesi e aspri scontri religiosi.
E il cineasta, classe 1960, Kenneth Branagh, ben è capace di tradurre appunto un episodio prettamente di vita, come la sua infanzia e i primi sogni in un racconto di vita, di formazione, con gli occhi confusi di un divenire assai nebuloso tra sermoni e violenze di fazioni contestatrici e episodi di guerriglia urbana assai poco onorevoli.
Tutto qua potrebbe dirsi Belfast, un racconto che dagli occhi di un bambino riprende il malessere ma anche l’estrema coralità e unione di una famiglia “come tante”, divisa tra problemi economici e la necessità di lasciare l’amata terra per un futuro migliore in Inghilterra, forse più pacifico e lontano ma ahimè asettico e forse meno verace. Tutto qua si potrebbe dire eppure non basta. Perché Belfast è un racconto, uno spaccato di vita sincero e malinconico.
Branagh si identifica quasi trasfigurandosi nelle corse a calzoni corti nel “quartiere pratoliniano” in Buddy-Jude Hill, il suo “piccolo uomo”, si pone alla sua altezza, ne riprende la gioia e la forza di vita, in un bianco e nero pastoso e avvolgente che strizza l’occhio a Orson Welles.
Tre i piani di svolgimento, concentrici, ognuno nel fulcro del protagonista, il motore con la sua famiglia dell’azione, che esalta cuore e vita, gioia e dolore, movimenti lenti a musiche dell’epoca, intelligenza (oltre che furberia) e certamente cura, con una ricostruzione storica precisa e attendibile nelle vie di un contrasto lacerante fatto anche di tiepidi amori. E’, in fondo Belfast, l’alter ego di E’ stata la mano di Dio, meno grottesco, più rigidamente convenzionale, con una regia teatralmente ineccepibile ma anch’esso figlio del cuore. Figlio di una dichiarazione d’amore ad un paese che là Napoli e qui Belfast, vive di grandi storie, fatte di piccoli, grandi uomini, capaci di non arrendersi, come i protagonisti, alla violenza e cercare una vita migliore e pacifica altrove.
For the one who left, for the one who stayed, for all the ones who were lost. Per coloro che sono partiti, per coloro che sono rimasti e per tutti quelli che si sono persi.
Plauso agli affettuosi duetti tra i nonni, interpretati da Ciaràn Hinds (invecchiato per l'occasione, visto che ha quasi 20 anni meno della sua partner) e da Judi Dench, alla coppia innamoratissima di Jamie Dornan e Catriona Balfe e all’alter ego del sorrentiano Filippo Scotti, Jude Hill, capace con quel sorriso sincero di conquistarci anche solo con la visione affascinata e sorpresa ma soprattutto stupita e vivace di una storia al cinema di Citty Citty Bang Bang.
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