Titolo originale | Vision Nocturna |
Anno | 2019 |
Genere | Documentario |
Produzione | Cile |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Carolina Moscoso |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 12 agosto 2020
La regista rivive il trauma di una violenza tramite momenti di vita quotidiana e sperimentazioni con la luce.
CONSIGLIATO SÌ
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La storia di una violenza viene insieme rivissuta, denunciata e analizzata attraverso un collage di immagini, documenti ufficiali e registrazioni casalinghe. È la regista stessa, Carolina Moscoso, ad esserne stata protagonista anni fa, quando sulla spiaggia di una località turistica in Cile un ragazzo appena conosciuto la stuprò. Subito dopo, la ragazza inizia a girare del materiale video, cogliendo momenti di vita quotidiana e di sperimentazioni con la luce. Sullo sfondo intanto emergono dettagli medici e legali che hanno impedito al processo di continuare.
L'esordio di Carolina Moscoso, regista cilena, è un piccolo film tutto proiettato all'interiorità - tanto dal punto di vista tematico quanto da quello formale - che però ha trovato terreno fertile sia in patria che a livello internazionale.
Questo docu-diario è perfino sconcertante nel radicale processo terapeutico con cui svela non soltanto la violenza subita e la lacunosa assistenza ricevuta dalla protagonista, ma i suoi stessi sentimenti di frustrazione per aver commesso degli errori a livello legale che le impediscono di riaprire il caso. Night Shot ha infatti un'anima procedurale, tangibile, che affigge sullo schermo le scansioni delle denunce, delle firme e dei verbali ospedalieri che hanno segnato le tappe della vicenda. La donna fa nome e cognome dell'uomo che accusa, senza girarci intorno. Sono, questi frammenti impersonali di un percorso altrimenti invisibile, dei timbri di realtà da cui Moscoso non può scappare, e da cui al tempo stesso è attratta. È la dicotomia che tiene in piedi il film, e che si rispecchia nel motivo visivo della luce e dell'ombra: la modalità notturna che dà il titolo al film e che rende visibile il buio si rivela in definitiva più interessante per come sa distorcere le immagini registrate alla luce del sole. L'elaborazione del trauma vive dunque fuori dall'inquadratura, così come fuori da un'aula di tribunale dovrà manifestarsi il desiderio di giustizia. Nel suo apparire come l'opera necessariamente indulgente di una cineasta che sperimenta con le tecniche formali, questo esordio tradisce in realtà una coesione di fondo, in cui ogni elemento è un "a parte", lato oscuro di uno snodo invisibile. Senza dubbio merito in particolare del lavoro sul montaggio, che mette ordine tra le riprese come la memoria fa con i ricordi.