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sergio dal maso
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venerdì 8 gennaio 2021
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il nuovo odio
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées.
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées. È un fiume in piena. Sciami di ragazzini di tutte le etnie festeggiano euforici sventolando i colori nazionali e cantando La Marsigliese. La Francia ha vinto i mondiali.
Stacco. Titolo di testa.
L’azione si sposta nella degradata periferia parigina, trascinando lo spettatore nella dura quotidianità delle banlieue che circondano la capitale francese. Dell’iniziale sentimento popolare di fratellanza non è rimasto nulla.
Una squadra di tre poliziotti speciali delle BAC (Brigade Anti-Criminalitè) pattuglia il quartiere di Montfermeil. È una polveriera a cielo aperto, fatta di enormi palazzoni fatiscenti, in cui convivono da decenni comunità di arabi magrebini e neri subsahariani, in un equilibrio sempre precario, reso possibile dalla silente collaborazione della gendarmeria con discutibili organizzazioni musulmane e gruppi malavitosi, tutti interessati a mantenere una parvenza di pace sociale.
La maggior parte dei ragazzini cresce nell’emarginazione, tra spaccio e prostituzione, senza prospettive, spesso senza frequentare la scuola. Tra questi i due piccoli protagonisti della storia: Issa, ribelle e ladruncolo, e l’occhialuto Buzz, che con il suo drone osserva dall’alto la vita del quartiere.
Tra gli agenti in perlustrazione c’è un nuovo arrivato, Stephane, il cui sguardo, scosso e turbato, accompagnerà lo spettatore per tutto il film. Il caposquadra Chris è un bianco, razzista e prepotente; il suo braccio destro è invece il silenzioso Gwada, nero e cresciuto nelle banlieue.
Il primo giorno di lavoro di Stephane è choccante, una sorta di rito di iniziazione in cui, oltre alla violenza e alla miseria del quartiere, ne conoscerà i vari microcosmi: dal proselitismo dei Fratelli Musulmani, guidati dall’ex jihadista Salah, ora kebabbaro, ai traffici della banda del sedicente “sindaco”, passando per gli irascibili rom del Circo Zeffirelli.
La tensione che cova sotterranea fin dalle prime scene aumenta progressivamente, fino ad esplodere nel durissimo e cruento finale. Se la prima parte è più conoscitiva, dai toni quasi documentaristici, due eventi spiazzanti e imprevedibili fanno “precipitare” la storia in un thriller adrenalinico, in una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe.
La disperata ricerca del leoncino rubato dal circo e della scheda del drone che ha ripreso gli scontri sono solo i detonatori di un disagio sociale che ribolle già nelle generazioni più giovani. Il controcanto allo sguardo smarrito di Stephane è infatti quello dei ragazzini, fatto di rabbia e di odio. Non c’è innocenza nello sguardo di Issa e dei suoi compagni. La loro è un’infanzia tradita, violata in modo irrimediabile. Colpisce più di tutto l’assenza degli adulti, oltre che delle istituzioni, preoccupate solo di reprimere e controllare la rabbia delle periferie.
A venticinque anni dall’uscita de L’odio di Mathieu Kassovitz, film che ha segnato un’epoca, I miserabili riprende e aggiorna le stesse tematiche. Ma se allora i protagonisti erano giovani-adulti, oggi sono ragazzini, poco più che bambini. Una generazione dopo, l’incendio dell’odio non solo è divampato ancora di più, adesso inizia già dai giovanissimi.
Il capolavoro di Ladj Ly, giovane regista originario del Mali ma cresciuto proprio a Montfermeil, è un pugno nello stomaco per la verità che trasuda, per l’urgenza di raccontare vita vissuta. L’impatto visivo ed emotivo è enorme. Il montaggio serrato e le riprese palpitanti con la macchina da presa a spalla, sempre dentro l’azione, tallonando i personaggi, restituiscono immagini vive, pulsanti, perfettamente complementari a quelle asettiche del drone, il cui occhio riprende dall’alto gli eventi come se il quartiere fosse una prigione all’aperto, dalla quale non si può scappare.
I personaggi sono ben definiti anche dal punto di vista psicologico, i protagonisti acquistano spessore col passare del tempo. Ladj Ly è molto attento a raccontare la complessità delle banlieue, senza giudicare nessuno: non ci sono buoni né cattivi, nemmeno tra i poliziotti. Il confine tra vittime e carnefici è molto labile.
Miserabili non sono i personaggi ma la quotidianità in cui sono costretti a vivere, una miserabilità quotidiana che parte dalla mancanza di prospettive, dal fallimento di un sistema sociale che non permette l’integrazione degli immigrati, neanche di quelli di terza o quarta generazione.
Una società che rinuncia all’integrazione e crea ghetti come Montfermeil è destinata alla decadenza, non ha futuro. E l’amarezza maggiore è che l’inclusione sociale non è un’utopia, è sempre possibile, perché come ricorda il monito finale di Victor Hugo “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
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sergio dal maso
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giovedì 7 gennaio 2021
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il nuovo odio
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées.
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées. È un fiume in piena. Sciami di ragazzini di tutte le etnie festeggiano euforici sventolando i colori nazionali e cantando La Marsigliese. La Francia ha vinto i mondiali.
Stacco. Titolo di testa.
L’azione si sposta nella degradata periferia parigina, trascinando lo spettatore nella dura quotidianità delle banlieue che circondano la capitale francese. Dell’iniziale sentimento popolare di fratellanza non è rimasto nulla.
Una squadra di tre poliziotti speciali delle BAC (Brigade Anti-Criminalitè) pattuglia il quartiere di Montfermeil. È una polveriera a cielo aperto, fatta di enormi palazzoni fatiscenti, in cui convivono da decenni comunità di arabi magrebini e neri subsahariani, in un equilibrio sempre precario, reso possibile dalla silente collaborazione della gendarmeria con discutibili organizzazioni musulmane e gruppi malavitosi, tutti interessati a mantenere una parvenza di pace sociale.
La maggior parte dei ragazzini cresce nell’emarginazione, tra spaccio e prostituzione, senza prospettive, spesso senza frequentare la scuola. Tra questi i due piccoli protagonisti della storia: Issa, ribelle e ladruncolo, e l’occhialuto Buzz, che con il suo drone osserva dall’alto la vita del quartiere.
Tra gli agenti in perlustrazione c’è un nuovo arrivato, Stephane, il cui sguardo, scosso e turbato, accompagnerà lo spettatore per tutto il film. Il caposquadra Chris è un bianco, razzista e prepotente; il suo braccio destro è invece il silenzioso Gwada, nero e cresciuto nelle banlieue.
Il primo giorno di lavoro di Stephane è choccante, una sorta di rito di iniziazione in cui, oltre alla violenza e alla miseria del quartiere, ne conoscerà i vari microcosmi: dal proselitismo dei Fratelli Musulmani, guidati dall’ex jihadista Salah, ora kebabbaro, ai traffici della banda del sedicente “sindaco”, passando per gli irascibili rom del Circo Zeffirelli.
La tensione che cova sotterranea fin dalle prime scene aumenta progressivamente, fino ad esplodere nel durissimo e cruento finale. Se la prima parte è più conoscitiva, dai toni quasi documentaristici, due eventi spiazzanti e imprevedibili fanno “precipitare” la storia in un thriller adrenalinico, in una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe.
La disperata ricerca del leoncino rubato dal circo e della scheda del drone che ha ripreso gli scontri sono solo i detonatori di un disagio sociale che ribolle già nelle generazioni più giovani. Il controcanto allo sguardo smarrito di Stephane è infatti quello dei ragazzini, fatto di rabbia e di odio. Non c’è innocenza nello sguardo di Issa e dei suoi compagni. La loro è un’infanzia tradita, violata in modo irrimediabile. Colpisce più di tutto l’assenza degli adulti, oltre che delle istituzioni, preoccupate solo di reprimere e controllare la rabbia delle periferie.
A venticinque anni dall’uscita de L’odio di Mathieu Kassovitz, film che ha segnato un’epoca, I miserabili riprende e aggiorna le stesse tematiche. Ma se allora i protagonisti erano giovani-adulti, oggi sono ragazzini, poco più che bambini. Una generazione dopo, l’incendio dell’odio non solo è divampato ancora di più, adesso inizia già dai giovanissimi.
Il capolavoro di Ladj Ly, giovane regista originario del Mali ma cresciuto proprio a Montfermeil, è un pugno nello stomaco per la verità che trasuda, per l’urgenza di raccontare vita vissuta. L’impatto visivo ed emotivo è enorme. Il montaggio serrato e le riprese palpitanti con la macchina da presa a spalla, sempre dentro l’azione, tallonando i personaggi, restituiscono immagini vive, pulsanti, perfettamente complementari a quelle asettiche del drone, il cui occhio riprende dall’alto gli eventi come se il quartiere fosse una prigione all’aperto, dalla quale non si può scappare.
I personaggi sono ben definiti anche dal punto di vista psicologico, i protagonisti acquistano spessore col passare del tempo. Ladj Ly è molto attento a raccontare la complessità delle banlieue, senza giudicare nessuno: non ci sono buoni né cattivi, nemmeno tra i poliziotti. Il confine tra vittime e carnefici è molto labile.
Miserabili non sono i personaggi ma la quotidianità in cui sono costretti a vivere, una miserabilità quotidiana che parte dalla mancanza di prospettive, dal fallimento di un sistema sociale che non permette l’integrazione degli immigrati, neanche di quelli di terza o quarta generazione.
Una società che rinuncia all’integrazione e crea ghetti come Montfermeil è destinata alla decadenza, non ha futuro. E l’amarezza maggiore è che l’inclusione sociale non è un’utopia, è sempre possibile, perché come ricorda il monito finale di Victor Hugo “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
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enzo70
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lunedì 23 novembre 2020
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ottimo film con i fatti per denunciare la realtà
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Non c’è traccia di Valjean, Colette e Javert in questo bellissimo film girato nei nuovi bassifondi di Parigi, i grandi quartieri delle periferie della capitale francese, dove il colore e la religione sono solo diverse declinazioni del disagio sociale. Ruiz è uno sbirro e viene aggiunto ad una pattuglia di due agenti che si muovono a loro agio nella miseria, esercitando la violenza come contromisura alla violenza. Una guerra di tutti contro tutti, in cui singoli episodi, il furto di un cucciolo di un leone da parte di un ragazzino. Ma violenza chiama violenza e allora un ragazzino sparato da un poliziotto, le minacce di non parlare, la compulsiva ricerca di un drone e poi l’epilogo durissimo in cui i tre poliziotti vengono aggrediti da una gang di ragazzini in un enorme palazzo di periferia che diventa il Vietnam della polizia francese.
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Non c’è traccia di Valjean, Colette e Javert in questo bellissimo film girato nei nuovi bassifondi di Parigi, i grandi quartieri delle periferie della capitale francese, dove il colore e la religione sono solo diverse declinazioni del disagio sociale. Ruiz è uno sbirro e viene aggiunto ad una pattuglia di due agenti che si muovono a loro agio nella miseria, esercitando la violenza come contromisura alla violenza. Una guerra di tutti contro tutti, in cui singoli episodi, il furto di un cucciolo di un leone da parte di un ragazzino. Ma violenza chiama violenza e allora un ragazzino sparato da un poliziotto, le minacce di non parlare, la compulsiva ricerca di un drone e poi l’epilogo durissimo in cui i tre poliziotti vengono aggrediti da una gang di ragazzini in un enorme palazzo di periferia che diventa il Vietnam della polizia francese. I Miserabili non è classificabile come un film di denuncia, in quanto la teoria dell’accusa è nei fatti che vengono raccontati in maniera semplice, senza arringhe. Non c’è difesa, non c’è accusa, solo degrado raccontato con grande intelligenza e sensibilità da Ladj Ly.
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cifer73
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giovedì 6 agosto 2020
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malessere delle periferie... di ieri e di oggi
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Il film indubbiamente mi è piaciuto... sia come girato che come interpretato... non vorrei dire stupidaggini ma mi ha ricordato molto "l'odio" di Kassovitz... anche quello mostrava le periferie... ed il malessere che le pervade... oggi come 30 anni fa.
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maramaldo
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domenica 12 luglio 2020
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chi sono i miserabili?
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Allons enfants de la Patrie/ le jour de la gloire est arrivé. Quali servi del tiranno accoppare? Aldo, Giovanni e Giacomo, pardon, Chris, Stéphane e Gwada. Quest'ultimo (Djibril Zonga) un bellone multietnico, ben visto e complice della sua gente, strafottente ed immaturo, combina il guaio che metterà nei pasticci il gruppo. Stéphane Ruiz (Daniel Bonnard), saudade e jella addosso, coscienzioso e di buona volontà, preferisce "moral suasion" all'intimidazione che sono le opzioni che spettano a chi riveste autorità. Chris, musetto da nazi e vena sadica, prevarica, minaccia, molesta e, quando è il caso, picchia, il "poulet doc".
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Allons enfants de la Patrie/ le jour de la gloire est arrivé. Quali servi del tiranno accoppare? Aldo, Giovanni e Giacomo, pardon, Chris, Stéphane e Gwada. Quest'ultimo (Djibril Zonga) un bellone multietnico, ben visto e complice della sua gente, strafottente ed immaturo, combina il guaio che metterà nei pasticci il gruppo. Stéphane Ruiz (Daniel Bonnard), saudade e jella addosso, coscienzioso e di buona volontà, preferisce "moral suasion" all'intimidazione che sono le opzioni che spettano a chi riveste autorità. Chris, musetto da nazi e vena sadica, prevarica, minaccia, molesta e, quando è il caso, picchia, il "poulet doc". Cosa pensa veramente Ladj Ly dei poliziotti? Lo stesso di P.P.Pasolini: "...figli di poveri. Vengono da periferie contadine e urbane...senza sorriso, senza amicizia col mondo (l'essere odiati fa odiare)." Li osserva, anche fuori servizio, a casa, vuole capirli e, si sa, "comprendre, c'est pardonner".
L'indulgenza si estende a tutto quell'universo di emarginazione. Perfino ai più ripugnanti, i distributori di droga, benpensanti, si adoperano per una convivenza pacifica. I circensi, gradassi, di scherzo greve, tengono un cuore italiano come il bel nome rammenta; con quanta tenerezza il domatore accoglie il cucciolotto che torna a casa. Ladj nel suo nome ha un riverbero dell'Islam: Hajj è variamente adattato a chi ha fatto pellegrinaggio alla Mecca e generalmente in Africa ad un membro influente della comunità. Qui i musulmani sono saggi e perbene solo il perfido Chris allude ad una dimestichezza coi kalashnikov.
Provocatore e spregiudicato ma coraggioso e sincero, Ly fa dire ad un ragazzino che in Africa si "dissuade" chi ruba facendolo bruciare (per giorni, infilato in un copertone). Dirotta così l'attenzione su quel Mali dove è nato. Raids di militari non meglio identificati vi decimano i villaggi dei Fulani. Lo ignorano i nostri media impegnati a propagare l'indignazione per il soffocamento del povero Floyd ciò che ha indotto a genuflettersi anche chi, con mossa inusitata e impervia, porta tacchi a spillo.
Non si dirige a questo vittimismo il Nostro. Penso, invece, che covi qualche ambizione, accarezzi qualche sogno, voglia preconizzare qualcosa che finora era stata una pretesa solo dei... suprematisti: la "Nascita di una Nazione", ad opera degli immigrati. Quel "marchons, marchons" è solo un'ironia su un giubilo infantile? L'Arco di Trionfo all'orizzonte. Totem fallico, la Tour Eiffel incombe sulla massa di teste e bandiere. Presagi di un destino?
Il finale non si accorda con tanto ottimismo. La bonarietà dell'Autore nei confronti di fior di gaglioffi improvvisamente cessa proprio con gli incolpevoli, i ragazzini innocenti, le vittime di quel degrado. Ne ha paura, sa che ai nuovi venuti al mondo non interessano come e perchè sono andati a nascere a Montfermeil ma non lo perdonano. Non contano sul "coltivatore" che finora nessuno ha mai incontrato. Sfiduciati si orienteranno verso fanatismi in un moto di sottomissione e autodistruzione.
Non è più il ladruncolo rincorso dalle guardie, Issa (in arabo Gesù). Il volto deturpato dall'offesa, si erge vindice sul mite Ruiz che tremante si aggrappa alla pistola che non l'aiuta più.
Anima generosa Ly, non ha la stoffa del cantore dell'odio. Accuse circostanziate, rancori atavici non gli fanno secernere bile.
Film che non verrà dimenticato, piuttosto imitato. Lodato e premiato, non fa comodo nè fa felice nessuno.
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benmecchenzi
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sabato 4 luglio 2020
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amare l’odio.
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Film influenzato dal capolavoro degli anni 90 L'odio. Eppure non è mai troppo indagare una fascia sociale che ribolle. Utile per i millennials, basta che non bypassino tutto quello che già c'è stato. Per rinfrescarci la memoria.
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mardou_
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martedì 30 giugno 2020
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la cura del prato
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Montfermeil è celebre ai più per essere il luogo della locanda dei perfidi coniugi Thénardier e dell’incontro fatale tra Cosetta e Jean Valjean, protagonisti del romanzo I Miserabili.
Nel 2005 il comune è stato anche al centro delle rivolte delle banlieue che scossero la Francia come non era più accaduto dal 1968.
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Montfermeil è celebre ai più per essere il luogo della locanda dei perfidi coniugi Thénardier e dell’incontro fatale tra Cosetta e Jean Valjean, protagonisti del romanzo I Miserabili.
Nel 2005 il comune è stato anche al centro delle rivolte delle banlieue che scossero la Francia come non era più accaduto dal 1968. La rabbia e la tensione dei quartieri ghetto, popolati da immigrati delle colonie del Maghreb e dell’Africa Occidentale che non hanno mai avuto neanche la speranza di potersi integrare nella società francese, esplose in tre settimane di sommosse contro la linea dura di Nicolas Sarkozy. Nella sua lotta alla criminalità, l’allora Ministro dell’Interno appoggiò tacitamente abusi e molestie da parte della polizia, contribuendo ad alzare il muro invisibile che separa il benessere dei centri cittadini dalle loro periferie fino a renderli dei mondi totalmente separati.
Ladj Ly, classe 1978, è nato e cresciuto in questa cittadina simbolo di una realtà totalmente abbandonata a se stessa, dove i governi che si sono susseguiti hanno mantenuto come sola promessa la violenza dei gendarmi, laddove cultura, educazione e politiche sociali potrebbero essere l’unica medicina in grado di guarire e far germogliare una nuova generazione di cittadini francesi e non di reietti e disperati che spesso trovano l’alienazione nell’integralismo religioso.
In questa sua opera prima, il regista di origini maliane si è ispirato a fatti realmente accaduti per raccontare,senza sconti nè pietismi, la quotidianità di una zona polveriera alle porte di Parigi , ma che somiglia alla nostra Scampia o ad Ostia così come ai tanti quartieri di confine delle città europee, dove risuona la stessa eco che in queste settimane è tornata agli onori della cronaca d’oltreoceano dopo l’uccisione di George Floyd.
Un messaggio potente che si riassume nella citazione dal capolavoro di Victor Hugo a chiusura della pellicola e che ci ricorda che si può invertire il ciclo, che dobbiamo prestare più cura ed attenzione all’erba che cresce alle estremità del prato, perchè è quella più in ombra, dove l’acqua non arriva mai in abbondanza, è sempre la più calpestata e vi si insinuano le erbacce. Se non cominciamo a farlo, prima o poi anche l’aiuola fiorita morirà soffocata dalla terra.
"Ricordate, amici miei, non ci sono nè cattive erbe nè uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori
Victor Hugo"
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