Emiliano Morreale
La Repubblica
Minervini invece è un regista italiano cresciuto artisticamente negli Stati Uniti e da sempre racconta i suoi angoli sperduti, dal bellissimo Stop the Pounding Heart a Louisiana. Qui siamo a Tremé, glorioso quartiere nero di New Orleans minacciato dalla gentrification. Le storie seguite sono tre: una barista che cerca orgogliosamente di mantenere il proprio locale; una madre single che cerca di tenere i figli lontani dai pericolosi della strada (è la parte più intensa del film, davvero struggente); alcuni militanti delle nuove Black Panther, che girano per le strade chiedendo giustizia per dei giovani neri linciati e uno ucciso dalla polizia. Rispetto agli altri documentari di Minervini, questo è il più militante, il più vicino al punto di vista delle persone che racconta. La fotografia in bianco e nero spiazza lo spettatore riportandolo a un immaginario anni 50, da segregazione razziale. E il titolo rimanda in maniera chiara a La prossima volta il fuoco, celebre pamphlet di James Baldwin. La forma però qui è dubitativa, e non è un caso. Nelle storie raccontate si avverte uno smarrimento collettivo ma anche una disperata voglia di comunità, anche minima, che sullo schermo diventa una vicinanza di corpi cui partecipa lo sguardo del regista.
Da La Repubblica, 3 settembre 2018
di Emiliano Morreale, 3 settembre 2018