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Roberto Minervini

Roberto Minervini è un regista, produttore, produttore esecutivo, sceneggiatore, è nato nel 1970

Imparare e non insegnare

A cura di Fabio Secchi Frau

C'è una sfumata e sottilissima linea narrativa di confine tra finzione cinematografica e realtà. Un sentiero lungo il quale si possono plasmare documentari non convenzionali, costituiti da una visione poetica dell'umanità, ma senza la volontà di graziarla da analisi sociopolitiche. Spesso sono opere a basso budget, raramente finanziate attraverso contributi statali, e realizzate con attori non professionisti. E spesso si basano sull'abilità di costruzione dell'autore che, se da un lato procede con un lavoro meticoloso di morfologia filmica, dall'altra conquista la fiducia e l'amicizia dei soggetti del documentario, durante tutto il processo di ripresa, alla ricerca di una veridicità profonda e dissoluta tanto quanto pericolosa per lo spettatore.
Roberto Minervini è uno di quei registi che percorre maggiormente queste vie del cinema contemporaneo. Le sue divagazioni hanno scelto gli angoli più profondi del backwoods americano e hanno come protagonisti tossicodipendenti della Louisiana o allevatori del Texas. Tutti descritti in modo intimo e lirico, molto vicino alle meravigliose sequenze di Terrence Malick, ma che per contenuti non si vogliono privare della crudezza e dell'apatia del reale. Un reale che non si tira indietro quando questa gente di palude e di polverose radure, ai margini più estremi della società nordamericana, compie aberranti atti di violenza.
Nasce così la Trilogia del Texas (The Passage, Bassa Marea e Stop the Pounding Heart), all'interno della quale una delle tante nazioni degli Stati Uniti viene colta nel suo continuo crollo civile, in netto contrasto con la bellezza naturalistica che la circonda e che non sembra essere capace di elevare il suo spirito. Un'inaccettabile sfida visiva che vuole costringerci ad apprendere che l'uomo e la donna e gli adulti e i bambini non progrediscono, ma vengono distrutti e feriti dall'arrivo di imminenti apocalissi private.
Queste prospettive americane sono frutto anche di un grande lavoro di gruppo. Un team che segue gli sforzi audiovisivi di Minervini fino alla fine del tracciato. Il direttore della fotografia Diego Romero, la montatrice Marie-Hélène Dozo e la produttrice Denise Ping Lee si fanno testimoni e cronisti di una società operaia bianca e nera, impregnata di razzismo e brutalità e sopraffatta dalle droghe. Lo fanno con un'urgenza innegabile, perchè il momento di cogliere la sensazione di tragedia esistenziale di quelle vite, che passeggiano per le pene di un inferno politico e assistenziale in assenza di soluzioni, è fuggente. Un lasso di tempo troppo astratto, troppo breve e non scritto perchè certi produttori possano comprenderne il valore. Per questo, è necessario un gruppo unito. Perchè il progetto più arduo non è accendere la cinepresa e limitarsi a filmare, ma seguire una scrittura che, secondo Minervini, esiste già perchè è già indicata in natura. Basta solo saperla riconoscere.

Studi
Roberto Minervini nasce a Fermo, nel 1970. Iscrittosi all'Università di Ancora, si laurea in Economia e commercio, ma essendo completamente innamorato della Settima Arte, decide di prendersi un dottorato in Storia del Cinema presso l'Universidad Autónoma di Madrid. Completerà poi la sua istruzione con un master in Media Studies alla New School di New York. Dal 2006 al 2007, si trasferisce nelle Filippine, dove ottiene una cattedra di Regia, Sceneggiatura e Realizzazione di documentari alla De La Salle University e alla San Beda University, entrambe a Manila.

La trilogia texana
Dopo aver firmato numerosi cortometraggi (Voodoo Doll, Come to Daddy, Notes, Le lucciole), passa al lungometraggio nel 2011 con The Passage, la storia di tre persone che dovranno affrontare un viaggio on the road in Texas. Seguirà Bassa Marea, presentato alla sezione Orizzonti della 69° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Le vicende di un solitario dodicenne, che forma se stesso osservando quando diverse siano Società e Natura, gli fa ottenere il premio Ambassador of Hope. Si comincia così a delineare un corpus di titoli ambientati nel Lone Star State, che sfocierà in una trilogia conclusasi con Stop the Pounding Heart (2013). Proiettato al Festival di Cannes del 2013, quest'ultima fatica ottiene i maggiori riconoscimenti professionali, tra i quali spicca il David di Donatello per il miglior documentario. Le interrogazioni morali di una ragazza statunitense immersa in una vita rurale e religiosa, poste in seguito all'attrazione provata per un coetaneo, diventano veicolo non solo per un'esplorazione dentro l'adolescenza, ma anche per un vagabondaggio nei rapporti tra i generi e tra realtà e fede.
La critica italiana elogia la bellezza estetica di Stop the Pounding Heart e trova nella coincidenza tra documentario ed esperienza un'autenticità sensibile e rispettosa, dove un empatico ed elegante slancio di emancipazione sentimentale e non femminile viene soffocato dagli ideali maschili dell'Antico Testamento. Un lavoro istintivo, ma costituito da immagini nitidamente studiate e generose per lo spettatore, che si lascia guidare anche da un complesso montaggio firmato dalla già nominata Dozo, l'abituale collaboratrice dei fratelli Dardenne.

La Louisiana e il mondo in fiamme
Sarà invece selezionato per Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2015, Louisiana (The Other Side), quarta prova da regista di Minervini, incentrato sulla vita di una comunità statunitense borderline, ormai ignorata dalle istituzioni. Un abisso di degrado collettivo e individuale che l'autore ci costringe a scrutare, senza che però l'abisso scruti noi. I risultati sono piaciuti molto alla critica, affascinata da come la macchina da presa sia riuscita a spiegare, senza facili ideologie, come dietro le speranze del Sogno Americano si nascondano l'emarginazione, l'insostenibile disoccupazione e una disturbante autodevastazione, nonché il fallimento di una delle più grandi democrazie del mondo. Una radicale messa in discussione che non risparmia scene scioccanti.
E il racconto di Minervini rimane negli States con Che fare quando il mondo è in fiamme? (2018), una riflessione sul razzismo e sui troppo frequenti casi di uccisione di giovani afroamericani da parte della polizia. Quartieri afflitti dalla violenza, padri di famiglia in prigione e un senso di comunità che si basa su fragili tradizioni culturali, gettano le basi per un cinema che, proprio secondo Minervini, serve per imparare, non per insegnare.
Così si impara la responsabilità politica e sociale di un fenomeno criminale che è anche sconfitta dei valori più alti dell'umanità. Un'umanità che doveva essere costituzionalmente protetta e sollevata dalle sue sorti e che, invece, si trova condannata a sanguinare solo per il colore della pelle sbagliato e per i preconcetti che sfociano in discriminazioni e in strategie di gentrificazione.

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