writer58
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sabato 8 aprile 2017
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dall'eufrate al baltico...
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“Il mio eterno obiettivo è sempre stato fare un film che una donna cinese di campagna potrebbe capire senza sottotitoli”.
Aki Kaurismaki .
Ogni bravo regista ha un suo ritmo, una sua musica. Quella di Kaurismaki è una miscela di rock progressivo anni '70 e blues in versione finnica. E non parlo solo degli intermezzi musicali che costellano i suoi film, tra cui questo suo ultimo "l'altro volto della speranza"-, ma del "respiro" delle sue opere che intrecciano vicende moderne con sentimenti antichi, storie di sradicamento ed emarginazione con slanci di solidarietà e accoglienza, una divertita e ironica leggerezza con la descrizione del male che si annida negli anfratti urbani delle città d'Europa.
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“Il mio eterno obiettivo è sempre stato fare un film che una donna cinese di campagna potrebbe capire senza sottotitoli”.
Aki Kaurismaki .
Ogni bravo regista ha un suo ritmo, una sua musica. Quella di Kaurismaki è una miscela di rock progressivo anni '70 e blues in versione finnica. E non parlo solo degli intermezzi musicali che costellano i suoi film, tra cui questo suo ultimo "l'altro volto della speranza"-, ma del "respiro" delle sue opere che intrecciano vicende moderne con sentimenti antichi, storie di sradicamento ed emarginazione con slanci di solidarietà e accoglienza, una divertita e ironica leggerezza con la descrizione del male che si annida negli anfratti urbani delle città d'Europa.
La Finlandia rappresentata da Kaurismaki è un paese algido, taciturno, di solitudini consolidate, inquinato da gruppi di skinheads, ma, allo stesso tempo, capace di generosità, moti di altruismo, relazioni solidali tra emarginati. Un paese dove l'accoglienza dei migranti che provengono da scenari di guerra coniuga efficienza e capacità organizzative con una burocrazia ottusa e respingente, un paese dove si beve per non stare da soli e si beve anche in solitudine.
Ad Helsinki approda casualmente Khaled, in fuga da Aleppo, dove la guerra gli ha distrutto la casa e l'intera famiglia, a eccezione di una sorella dispersa in qualche campo profughi. Chiede asilo, viene registrato e inviato in un centro di accoglienza funzionale e asettico dove conosce Mazdak, profugo dall'Iraq. Khaled , davanti a una funzionaria dell'immigrazione, ricostruisce la sua odissea, comune a quella di tanti altri profughi: la famiglia sterminata dai bombardamenti, la fuga verso la Turchia, la traversata (pagata 3.000 dollari) clandestina verso la Grecia, la risalita verso i Balcani, la detenzione in Ungheria, il suo girovagare per mezz' 'Europa alla ricerca di sua sorella, l'aggressione subita a Danzica da un gruppo di skinheads, la sua fuga su un mercantile diretto in Finlandia.
Nel suo girovagare s'imbatte in Wilkstrom, un ex commesso viaggiatore che ha comprato un ristorante dopo una consistente vincita a poker. Nel ristorante, Khaled troverà un lavoro e un riparo alle intemperie della vita, oltre a una identità fittizia e alla sorella finalmente individuata..
Ci sono sequenze in "L'altro volto della speranza" che mi sono parse deliziose: il ristorante di Wilkstrom che si ricicla in sushi bar, con gli impiegati vestiti alla giapponese (kimono, bandana e bastone posto attraverso la cintura a imitare una katana), un gruppo di homeless che strappa Khaled dalle grinfie di un gruppetto di naziskin (riprendendo una sequenza quasi identica del film "l'uomo senza passato"), gli stacchi musicali con brani vintage di rock e blues finlandese.
Il film è pervaso da una sguardo ironico e partecipe, come in parecchie opere del maestro: da "Miracolo a Le Havre" al già citato "L'uomo senza passato". Un'ironia che si coniuga con una leggerezza stilistica sorprendente. I dialoghi sono scarni, ma pregnanti, all'insegna del "show, don't tell" e il film è pieno di dettagli che rimandano al passato (dalle autovetture anni '60 all'arredamento del ristorante), quasi un marchio di fabbrica del regista.
Come a dire che la modernità e le nuove condizioni di vita non scalfiscono gli elementi essenziali della condizione umana e che la speranza passa necessariamente attraverso forme di solidarietà e supporto tra culture diverse che smontano i muri (fisici e psicologici) edificati un po' ovunque nella nostra "civilizzata" Europa.
Un buon film, che s'inserisce nella ricerca stilistica e di contenuto dell'autore.
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goldy
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venerdì 7 aprile 2017
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la solita delizia
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Nulla di cambiato nello stile di Kaurismaki e la Finlandia sembra un paese inattaccato dal passare del tempo. Le atmosfere e l'ambientazione sono identiche a Nuvole in Viaggio film del 1996. Di nuovo c'è una realtà drammatica, quella di coloro che scappano da territori di guerra e miseria per cercare aiuto in paesi oiù accoglienti. La
Finlandia ne esce come paese a più facce. Le istituzioni sembrano benevole nelle fasi iniziali di prima accoglienza ma poi mostrano il volto ottuso della burocrazia che si rifiuta di leggere realtà evidenti. Sono gli individui, la gente comune che conserva un briciolo di umanità a compensare l'egoismo delle nazioni.
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Nulla di cambiato nello stile di Kaurismaki e la Finlandia sembra un paese inattaccato dal passare del tempo. Le atmosfere e l'ambientazione sono identiche a Nuvole in Viaggio film del 1996. Di nuovo c'è una realtà drammatica, quella di coloro che scappano da territori di guerra e miseria per cercare aiuto in paesi oiù accoglienti. La
Finlandia ne esce come paese a più facce. Le istituzioni sembrano benevole nelle fasi iniziali di prima accoglienza ma poi mostrano il volto ottuso della burocrazia che si rifiuta di leggere realtà evidenti. Sono gli individui, la gente comune che conserva un briciolo di umanità a compensare l'egoismo delle nazioni. Kaurismaki descrive tutto con la consueta leggerezza, un tocco raro tesclusivamente suo pervaso da un'ironia incantevole.
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[+] un film di puro ed essenziale umanesimo
(di antoniomontefalcone)
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[+] non c'è contraddizione
(di goldy)
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zarar
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giovedì 13 aprile 2017
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siamo tutti 'diversi'
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Film molto particolare e interessante. Kaurismäki costruisce con maestria, con la collaborazione di sceneggiatore e fotografo, lo sfondo di una Helsinki nuda e grigia, dai colori freddi e dagli interni desolatamente spogli, con certi ambienti e certi personaggi che richiamano – è stato detto – più gli interni e i volti America anni ’50 nella fotografia di una Diane Arbus che non una città dell’evoluto Nord Europa degli anni 2000. Tristi waterfront su un mare metallico, appartamentini soffocanti, magazzini squallidi, uffici retro con macchine da scrivere pre-internet, un ristorantino tristissimo con i tavolini allineati lungo le pareti di un unico stanzone, un centro di accoglienza immigrati nudo, pulito e basta (sempre concorrenziale con certi altri, in ogni modo… :)).
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Film molto particolare e interessante. Kaurismäki costruisce con maestria, con la collaborazione di sceneggiatore e fotografo, lo sfondo di una Helsinki nuda e grigia, dai colori freddi e dagli interni desolatamente spogli, con certi ambienti e certi personaggi che richiamano – è stato detto – più gli interni e i volti America anni ’50 nella fotografia di una Diane Arbus che non una città dell’evoluto Nord Europa degli anni 2000. Tristi waterfront su un mare metallico, appartamentini soffocanti, magazzini squallidi, uffici retro con macchine da scrivere pre-internet, un ristorantino tristissimo con i tavolini allineati lungo le pareti di un unico stanzone, un centro di accoglienza immigrati nudo, pulito e basta (sempre concorrenziale con certi altri, in ogni modo… :)). Tutto lindo e tutto infinitamente deprimente, con feroci tocchi kitch qua e là. E’ un mondo percorso da personaggi improbabili con facce legnose e ottuse, casalinghe sfatte, zitelle malvestite, trucidi giocatori di poker, nerboruti e brutali naziskin, cantanti rock attempati scatenati – per farci ancora del male - in una musica alla lunga (e alla corta) insopportabile. Su questo sfondo si gioca una tragi-commedia che vede come principali protagonisti Waldemar (Sahari Kuosmanen), un maturo, tranquillo, impassibile rappresentante di camicie deciso a cambiar vita e a metter su un piccolo ristorante e Khaled Ali (Sherwan Haji), un immigrato siriano in cerca di asilo, finito per puro caso in Finlandia. Secondo un copione tristemente noto, Khaled incontrerà l’indifferenza delle istituzioni, il rifiuto di riconoscere il suo status di rifugiato, la violenza dei naziskin, la disperazione per la difficoltà di rintracciare la sorella perduta durante la lunga fuga verso la salvezza . Ma, imprevedibilmente, proprio quando si vede costretto alla clandestinità per non tornare all’inferno siriano, troverà in Waldemar e nei suoi dipendenti una ruvida solidarietà che forse (il finale è aperto) segnerà una svolta finalmente positiva nella sua vita. Dove sono la forza e l’originalità del film? Intanto salta il concetto di ‘diverso’ (l’immigrato) in un modo inedito: tutti i personaggi appaiono ‘diversi’. E poi su uno sfondo che ha qualcosa di metafisico e teatrale sia nei nudi fondali sia nell’improbabile chiassosa colonna sonora, il regista costruisce una serie di eventi chiave immobilizzati in piccole scene/azioni paradossali, sempre al confine tra il comico e il tragico, in modo da spogliare gli eventi da ogni sovrastruttura ideologica e dar loro un impatto di parabola. Allo stesso modo opera un dialogo ridotto all’osso, impassibile, spesso surreale, attento a respingere le emozioni sullo sfondo, e alla fine ostinatamente abbarbicato all’essenziale. E allora va all’essenziale anche lo spettatore: questo e non altro è dramma degli immigrati; questa e non altra è l’ipocrisia di chi sbriga con perfetto zelo il tuo dramma come una pratica d’ufficio; questa e non altra è la semplicità della solidarietà; questo e non altro è riconoscersi esseri umani al di là delle diverse culture.
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enricodanelli
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sabato 18 novembre 2017
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ghiaccioli finlandesi
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Va bene: la tematica trattata dal film è di tutto rispetto. Il resto è veramente scadente a cominciare da come il regista intende muovere i suoi personaggi, meglio dicasi marionette, all'interno dello schermo. A cominciare dalla scena in cui il rappresentante di camicie abbandona la moglie fino alla fine del film, l'espressività degli attori è pari a zero. Questo regista riesce a far diventare inespressivi anche un siriano ed un iracheno, figuriamoci gli effetti devastanti sui suoi connazionali. Non capisco se questa minimalità espressiva sia casuale, non voluta, dettata dalla incapacità di sentimento del regista stesso o voglia significare qualcosa : magari più spazio alla trama e ai dialoghi.
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Va bene: la tematica trattata dal film è di tutto rispetto. Il resto è veramente scadente a cominciare da come il regista intende muovere i suoi personaggi, meglio dicasi marionette, all'interno dello schermo. A cominciare dalla scena in cui il rappresentante di camicie abbandona la moglie fino alla fine del film, l'espressività degli attori è pari a zero. Questo regista riesce a far diventare inespressivi anche un siriano ed un iracheno, figuriamoci gli effetti devastanti sui suoi connazionali. Non capisco se questa minimalità espressiva sia casuale, non voluta, dettata dalla incapacità di sentimento del regista stesso o voglia significare qualcosa : magari più spazio alla trama e ai dialoghi. Anche qui però cadiamo malissimo: la trama è tanto irreale che ne viene fuori una Finlandia caricaturale (stento a credere che i controlli sanitari nei ristoranti siano fatti come nel film o addirittura che possa esistere un ristorante del genere) e i dialoghi sono piuttosto scialbi con patetici tentativi di battute spiritose qua e là. Incredibile la scena con il protagonista che se la gode beatamente sotto un albero nonostante quello che gli ha procurato un naziskin. Per favore: certe tematiche trattate così insulsamente forse avranno effetto in Finalndia (anche se stento a crederci per il rispetto dei Finlandesi), ma nel resto del mondo (e in italia in particolare) serve ben altro per smuovere le coscienze.
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vanessa zarastro
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venerdì 14 aprile 2017
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quadri finlandesi
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Un film rappresenta un quadro di una Finlandia di emigrati, di naziskin, di emarginati, di clandestini, di giocatori d’azzardo, ma anche di un luogo dove sembra ci siano “gli angeli in terra”.
In epoca di crisi economica crescono anche le insoddisfazioni individuali, il negozio di camicie chiude, il ristorante va riconvertito, il maturo finlandese rappresentante di camicie le vuole svendere per cambiare lavoro.
L’altro volto della speranza,miglior regia alla Berlinale, è girato in modo antinaturalistico, scorre in poche scene, come fossero una serie di immagini cucite insieme quasi cartoons: tutto rappresentato come un succedersi di eventi e paradossi.
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Un film rappresenta un quadro di una Finlandia di emigrati, di naziskin, di emarginati, di clandestini, di giocatori d’azzardo, ma anche di un luogo dove sembra ci siano “gli angeli in terra”.
In epoca di crisi economica crescono anche le insoddisfazioni individuali, il negozio di camicie chiude, il ristorante va riconvertito, il maturo finlandese rappresentante di camicie le vuole svendere per cambiare lavoro.
L’altro volto della speranza,miglior regia alla Berlinale, è girato in modo antinaturalistico, scorre in poche scene, come fossero una serie di immagini cucite insieme quasi cartoons: tutto rappresentato come un succedersi di eventi e paradossi. Questo è un linguaggio tipico del regista finlandese minimalista ed essenziale. Il film possiede una forte carica ironica e molti personaggi sono sul filo della caricatura. Si vede che Kaurismäki ha osservato molto le persone e spesso le riprende nei dettagli interessanti ed eloquenti.
Il film narra la vicenda di Khaled, un siriano di Aleppo scappato fortunosamente dal suo paese e attraverso una vera e propria odissea è sbarcato a Helsinki su una carboniera, dopo aver perso la sorella nella strada tra la Slovenia e l’Ungheria.
Fiducioso nell’accoglimento del popolo finlandese Khaled va alla polizia e chiede asilo politico. Purtroppo la sua domanda viene respinta, non considerando la zona di Aleppo in situazione sufficientemente pericolosa.Quindi fugge, incapperà in filo picchiatori razzisti esterofobi, si nasconderà e sarà aiutato da Wilkström, il finlandese che aveva appena acquistato la gestione del ristorante “La Pinta d’oro”. I due buffi camerieri e l’apprendista lo aiuteranno, gli daranno un lavoro (Khaled era un bravo meccanico al suo paese) e anche un posto dove dormire. Alla fine lo aiuteranno anche a ritrovare sua sorella e a farla arrivare in Finlandia dalla Lituania.
La musica è molto presente nel film, vecchi cantati anni ’70 – nell’età e nello stile – in versione finnica.
Un buon finale ottenuto a caro prezzo solo incontrando tanta umanità, oltre la cattiveria. Kaurismäki sembrerebbe affermare, come alternativa alla regione in cui non crede e a cui non fa credere i suoi personaggi, un mondo fatto di solidarietà umana.
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ennio
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domenica 29 luglio 2018
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umorimo surreale scandinavo, scarsissimo realismo
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Film difficile da inquadrare in categorie, ma in fondo è un suo pregio. Parte come un classico dramma sociale legato ai temi dell'immigrazione, scivolando lentamente in un'esposizione volutamente surreale e comica della vita di un gruppo di persone. In molte scene mi ha ricordato "un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza", nella ricercata inepressività degli attori, che in qualche modo ricalca il carattere iconico della gente scandinava.
Non so con quali motivazioni questo film ha vinto un premio a Berlino, spero non per la tematica "sociale" legata all'immigrazione, che qui è trattata in modo piuttosto ridicolo, tra il patetico e l'irreale.
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Film difficile da inquadrare in categorie, ma in fondo è un suo pregio. Parte come un classico dramma sociale legato ai temi dell'immigrazione, scivolando lentamente in un'esposizione volutamente surreale e comica della vita di un gruppo di persone. In molte scene mi ha ricordato "un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza", nella ricercata inepressività degli attori, che in qualche modo ricalca il carattere iconico della gente scandinava.
Non so con quali motivazioni questo film ha vinto un premio a Berlino, spero non per la tematica "sociale" legata all'immigrazione, che qui è trattata in modo piuttosto ridicolo, tra il patetico e l'irreale. Rappresentare la Finlandia come un paese in cui a ogni angolo sono in agguato cattivissimi neonazisti pronti a fare la pelle all'immigrato di passaggio, è offensivo oltre che stupido. Ma forse è proprio il film ad essere tutto surreale.
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vincenzoambriola
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lunedì 1 maggio 2017
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simbolicamente politico
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Un venditore di camicie decide di cambiare vita e di aprire un ristorante. Un ragazzo siriano non decide di cambiare vita ma è la vita che lo costringe a cambiare nazione, ad abbandonare la sua terra per salvarsi da morte certa. I due si incontrano e tra di loro nasce un rapporto di solidarietà, di fiducia. Un film ironico, dove la musica folk finlandese fa da sfondo a una società che vuole aiutare i profughi ma che non riesce a rinunciare alla sua scandinava precisione, al suo ordine, alle sue leggi. Un film simbolico, dove ogni azione può essere letta in filigrana, ritrovandone il significato politico e sociale. Ad esempio, la sorella del ragazzo siriano non vuole cambiare il suo nome perché non vuol perdere la sua identità culturale, ricordandoci simbolicamente il valore del nostro nome, della nostra identità.
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Un venditore di camicie decide di cambiare vita e di aprire un ristorante. Un ragazzo siriano non decide di cambiare vita ma è la vita che lo costringe a cambiare nazione, ad abbandonare la sua terra per salvarsi da morte certa. I due si incontrano e tra di loro nasce un rapporto di solidarietà, di fiducia. Un film ironico, dove la musica folk finlandese fa da sfondo a una società che vuole aiutare i profughi ma che non riesce a rinunciare alla sua scandinava precisione, al suo ordine, alle sue leggi. Un film simbolico, dove ogni azione può essere letta in filigrana, ritrovandone il significato politico e sociale. Ad esempio, la sorella del ragazzo siriano non vuole cambiare il suo nome perché non vuol perdere la sua identità culturale, ricordandoci simbolicamente il valore del nostro nome, della nostra identità. Rivista con questa lente interpretativa, l'opera di Kaurismaki rivela il suo messaggio profondo.
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lbavassano
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martedì 3 ottobre 2017
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migranti senza retorica
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Raccontare il dramma dei profughi senza alcuna forma di retorica, è il grande merito del film di Kaurismaki, riducendo i dialoghi, le parole, le troppe parole che troppe volte abbiamo sentito, al minimo indispensabile, all'essenziale, indugiando piuttosto sui volti e gli sguardi, sui luoghi. Raccontare la tragedia dei profughi senza pietismi, ma incentrando il discorso sul tema della dignità, sulla nobiltà possibile dell'essere umano che non viene meno anche quando il film pare virare su toni più leggeri, da commedia. La colonna sonora però pare suggerire che questi valori di solidarietà sono un retaggio del passato, almeno nell'Europa ipercivilizzata, un retaggio da tenere in vita ma a rischio di smarrirsi assieme all'ultimo cantante di strada.
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Raccontare il dramma dei profughi senza alcuna forma di retorica, è il grande merito del film di Kaurismaki, riducendo i dialoghi, le parole, le troppe parole che troppe volte abbiamo sentito, al minimo indispensabile, all'essenziale, indugiando piuttosto sui volti e gli sguardi, sui luoghi. Raccontare la tragedia dei profughi senza pietismi, ma incentrando il discorso sul tema della dignità, sulla nobiltà possibile dell'essere umano che non viene meno anche quando il film pare virare su toni più leggeri, da commedia. La colonna sonora però pare suggerire che questi valori di solidarietà sono un retaggio del passato, almeno nell'Europa ipercivilizzata, un retaggio da tenere in vita ma a rischio di smarrirsi assieme all'ultimo cantante di strada.
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fabiofeli
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venerdì 14 aprile 2017
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"se mi pugnali, non sanguino anch'io?"
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Helsinki, Finlandia. Wikstrom (Sakari Kuosmanen), un massiccio 50enne, è sconfitto dalla vita. Mentre sua moglie gioca interminabili solitari in compagnia di un bicchiere colmo di liquore, posa la fede e le chiavi di casa sul tavolo davanti a lei: se ne va, ma lei non ha nulla da replicare; liquida la sua attività commerciale e va a vincere una somma al poker sufficiente a comperare un ristorante con tre dipendenti in arretrato di stipendi. La birra del locale è buona e sul cibo si chiude un occhio e anche tutti e due. Si improvvisano sushi e cucina indiana; magari si balla. Quando Wikstrom trova Khaled (Sherwan Haji), un profugo siriano di Aleppo, che dorme nel cortile del locale, si arrabbia ed è inevitabile uno scambio di pugni.
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Helsinki, Finlandia. Wikstrom (Sakari Kuosmanen), un massiccio 50enne, è sconfitto dalla vita. Mentre sua moglie gioca interminabili solitari in compagnia di un bicchiere colmo di liquore, posa la fede e le chiavi di casa sul tavolo davanti a lei: se ne va, ma lei non ha nulla da replicare; liquida la sua attività commerciale e va a vincere una somma al poker sufficiente a comperare un ristorante con tre dipendenti in arretrato di stipendi. La birra del locale è buona e sul cibo si chiude un occhio e anche tutti e due. Si improvvisano sushi e cucina indiana; magari si balla. Quando Wikstrom trova Khaled (Sherwan Haji), un profugo siriano di Aleppo, che dorme nel cortile del locale, si arrabbia ed è inevitabile uno scambio di pugni. A Khaled il destino ha riservato ben più pesanti sconfitte: casa e famiglia distrutte da un bombardamento, la sorella superstite smarrita nella fuga verso il Nord Europa, l’approdo a Helsinki dopo aver dormito nella carbonaia della stiva di un mercantile. “E’ il paese più ospitale” gli dicono tutti, ma lo stato di rifugiato a Khaled non viene concesso mentre la TV trasmette gli sconquassi della sua città. Però forse è vero che qui sono ospitali: Wikstrom lo sfama e lo assume come lavapiatti, nonostante il ragazzo ora sia “un clandestino”. Wikstrom e i suoi dipendenti, un maitre poco magistrale, un cuoco improbabile ed una graziosa cameriera, aiutano Khaled persino a ritrovare la sorella in un paese baltico. Il motto della Rivoluzione Francese - Liberté Egalité Fraternité - sembra valere in questo paese di folk singer da strada, che inanellano belle canzoni con testi degni di Bruce Springsteen … sempre che non arrivino assurde e feroci marionette a trasformare Khaled in uno “sporco ebreo” (Sic!) …
La favola amara di Kaurismaki ripete il miracolo di “Miracolo a Le Havre”: colleziona una galleria di personaggi sfortunati che solo appoggiandosi l’uno all’altro rovesciano un mondo infame con il peso della loro solidarietà. Fa sanguinare Khaled, novello Shylock, la coltellata del naziskin, è vero, ma non fa niente se sua sorella ottiene lo status di rifugiata e l’asilo in Finlandia: per lui è l’unica cosa che conta ed il resto non è importante. L’asciutta narrazione si serve di immagini che dicono tutto. La tragedia in atto è condita di molti momenti di pura e grande comicità; Kaurismaki prende per mano lo spettatore e lo convince della sua “faziosa” visione del mondo: in fondo è facile e produttivo di energie positive tendere una mano a chi soffre; chiudersi in se stessi, barricarsi dietro un muro di indifferenza, disprezzo e rifiuto degli altri è assurdo e inumano. Cosa resta di noi se non abbiamo più un briciolo di umanità? Un grande “Orso d’argento” alla Berlinale. Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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mauriziomeres
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giovedì 13 aprile 2017
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egoismo e umanità
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Film raffinato,accuratezza nei particolari,espressività superlativa,tutto diventa un insegnamento per la civiltà umana,la religione di appartenenza diventa un qualcosa d'indifferente,la bella democrazia finlandese non è altro che un copri capo,per nascondere la vera natura ipocrita in una asocialità civile,bravissimo il regista Aki Kaurismäki nel voler imporre nei vari doppiaggi momenti in lingua originale,per dare il giusto peso ai sentimenti che provano i personaggi,paura,angoscia,coraggio,altruismo,speranza,è tantissima voglia di vivere,gradevoli sono i vari spunti di una comicità spontanea,senza tralasciare un po' di musica folk datata anni sessanta settanta,che significava amore e libertà di pensiero.
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Film raffinato,accuratezza nei particolari,espressività superlativa,tutto diventa un insegnamento per la civiltà umana,la religione di appartenenza diventa un qualcosa d'indifferente,la bella democrazia finlandese non è altro che un copri capo,per nascondere la vera natura ipocrita in una asocialità civile,bravissimo il regista Aki Kaurismäki nel voler imporre nei vari doppiaggi momenti in lingua originale,per dare il giusto peso ai sentimenti che provano i personaggi,paura,angoscia,coraggio,altruismo,speranza,è tantissima voglia di vivere,gradevoli sono i vari spunti di una comicità spontanea,senza tralasciare un po' di musica folk datata anni sessanta settanta,che significava amore e libertà di pensiero.
Il regista inquadra perfettamente il momento attuale dei paesi occidentali dove la parola umanità diventa un qualcosa di utopico,un peso dove nessuno vuole dividere il proprio orticello giustificandosi in nome di chissà quale principio impostogli dalle proprie leggi che diventano dittatoriali solo per egoismo.
Sceneggiatura scorrevole,il tutto si basa sulla realtà attuale,gli attori quasi esordienti entrano perfettamente nella logica che il regista vuole dare al film,due personaggi che il destino unisce in un percorso di vita opposto,ma che il grande mistero della vita fa incontrare, nel rispetto reciproco,in un altruismo fuori dal comune.
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