L'altro volto della speranza

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Un film di Aki Kaurismäki. Con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen.
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Titolo originale Toivon tuolla puolen. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 98 min. - Finlandia 2017. - Cinema uscita giovedì 6 aprile 2017. MYMONETRO L'altro volto della speranza * * * 1/2 - valutazione media: 3,90 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Per Kaurismäki basta essere altruisti e un nuovo mondo è possibile

di Natalia Aspesi La Repubblica

Negli anni del rancore senza scopo e della violenza esibita sul web, che senso possono avere in un film due momenti di violenza e rancore: il primo quando un trio di energumeni vorrebbe dar fuoco a un poveraccio inerme, il secondo quando un naziskin grasso pelato e in pelle nera, accoltellando quello stesso poveraccio che è poi un clandestino siriano musulmano, gli mormora "sporco ebreo"? Il senso è che mostrano più che l'orrore, il significato grottesco, deviato e incolto, in una società contemporanea, come l'immagina Aki Kaurismaki: quella, forse anche vera, che alle ferite dell'inarrestabile globalizzazione e dello sperdimento individuale oppone, anziché la paura e il rifiuto (e pazienza per Salvini e soci), le inconsapevoli regole che ci rendono umani e civili: comprensione, generosità, solidarietà, accoglienza. Ma si sa come racconti le sue storie questo maturo e raramente al lavoro autore nordico: con surreale umorismo, carità mai buonista, colori sontuosi e la capacità di convincere (come anche nel precedente commovente Miracolo a Le Havre) che alla fine la mitezza e l'altruismo, se non sono le scelte per assicurare l'inesistente felicità, ci liberano almeno dalla desolazione e dall'insicurezza, rafforzano e arricchiscono con l'integrazione una comunità e il suo futuro. L'altro volto della speranza è quello dell'incontro di due solitudini in una Helsinki desolata (strade vuote, cielo grigio, né sole né ombra, muri scrostati, ambienti spogli, nel porto navi fantasma): un giovane siriano arrivato clandestinamente per mare in un container, e un maturo commerciante finlandese che se n'è appena andato di casa. Khaled è riuscito a lasciare Aleppo dove ha perso i genitori sotto un bombardamento «forse dell'esercito governativo o dei ribelli, o degli americani, o dei russi, o dell'Isis», ma lungo l'interminabile fuga l'amata sorella Miriam si è persa e il suo solo desiderio è ritrovarla. Wilkstròm con un gesto che sancisce la fine del suo matrimonio, mette le chiavi di casa e la vera sul tavolo davanti a cui è seduta la moglie. Nessuno dei due apre bocca: per lui la prossima meta è un sordido casinò clandestino tra sordidi figuri, dove vince quanto gli basta per affittare un ristorante. I finlandesi avranno il cuore d'oro ma come racconta Kaurismaki sono anche ladri matricolati: negli affari rigorosamente in nero, passano pacchi di banconote, i padroni non pagano gli stipendi e scappano con le mance, il frigorifero del ristorante è pieno di cibo scaduto, in più se il cliente sceglie "sardine della casa" gliele portano ancora in scatola; e se c'è bisogno di un documento falso niente paura, c'è sempre un adolescente dalla faccia criminale che te lo sforna in un minuto dal suo pc e solo per 1000 euro. Invece i poliziotti molto educati che accolgono i rifugiati in attesa di ottenere un permesso di residenza o di essere respinti, battono ancora con due dita su una vecchissima macchina da scrivere. L'incontro decisivo tra il giovane siriano ormai clandestino e il maturo padrone del pessimo ristorante con il cuoco che dorme in piedi e una cagnetta bastardissima (che non è l'amabile Laika degli altri film del regista, forse defunta?) nascosta in cucina, avviene con uno scambio di pugni in faccia: ma poi bisogno e altruismo, fiducia reciproca e doppia solitudine e attorno tutto un mondo gentile, chissà... La faccia di Khaled è la sola giovane bella e nobile del film, una scelta quasi provocatoria del regista; perché se Wilkstròm è un dignitoso signore di mezza età, tutti gli altri personaggi sono di singolare e umana bruttezza, uomini e donne, quasi sempre anziani e rassegnati. Come negli altri suoi film, i dialoghi sono quasi inesistenti, basta uno sguardo per capirsi. Si beve molta vodka, si fuma moltissimo, e quell'offrirsi e accendersi vicendevolmente una sigaretta è nel silenzio un modo di comunicare e nello stesso tempo di isolarsi. Ovunque c'è musica nostalgica e triste, un vecchio solo con la sua chitarra o una piccola scalcinata band, che suonano secondo gli intenditori, persino rock finnico-sovietico anni 70. Kaurismaki ha nel mondo (quindi anche in Italia) una piccola folla di appassionati mai delusi lungo i trent'anni del suo cinema, i critici lo stimano, i festival lo premiano. Per amarlo bisogna lasciarsi andare alla sua ironia stralunata, alla sua morale eccentrica, al tentativo - come ha detto il regista alla Berlinale dove il film è stato premiato per la miglior regia - «di cambiare il mondo che sta andando a pezzi»; colpa di nazionalismi, chiusura delle frontiere, disumanità più dei governi che delle persone. Infatti mentre nel film i responsabili finlandesi dell'immigrazione respingono la richiesta di asilo di Khaled (e di tanti altri) «perché ad Aleppo non si sta poi così male», la televisione mostra la quotidianità delle distruzioni e dei massacri in quella disperata città. E la gente comune (ma non solo) in quelle terre nordiche, capisce di doversene singolarmente prendere carico. Per il futuro di tutti.
Da La Repubblica, 3 aprile 2017

di Natalia Aspesi, 3 aprile 2017

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