Anno | 2016 |
Genere | Horror |
Produzione | Tailandia |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Kongkiat Khomsiri |
Attori | Nopachai Chaiyanam, Djuangjai Hirunsri, Mario Maurer, Wannarot Sonthichai, Nabhada Sukhakrit . |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 26 aprile 2017
I fantasmi non hanno identità, e tutto quello che vogliono è diventare visibili un'ultima volta.
CONSIGLIATO NÌ
|
Tan si sveglia dal coma ma ha perso la memoria e non conosce la propria identità. Ricorda solo di essere stato coinvolto in un grave incidente. Quando riceve via fax un articolo di giornale che parla di lui, come unico erede di un industriale suicidatosi, decide di recarsi alla presunta villa di famiglia.
Benché l'horror del sud est asiatico mostri la corda da qualche anno, smarrito in un loop, apparentemente incapace di uscire dalle tecniche di spavento consuete, su Take Me Home si riponevano molte aspettative.
Il regista, Kongkiat Khomsiri, ha infatti proposto alcune delle opere più interessanti degli ultimi anni di cinema popolare thailandese: tanto nell'horror e nel thriller, con Slice e Art of the Devil (come parte del Ronin Team), che nell'action movie, con la sensazionale saga dei "bravi ragazzi" di The Gangster. Purtroppo nessuna delle felici e sorprendenti intuizioni che hanno reso famoso Kongkiat illumina Take Me Home. L'impressione è quella di uno script rimaneggiato troppe volte e per nulla amalgamato con quel che si vede sullo schermo.
Se il lavoro visivo di Pramett Chankrasse è suggestivo, e invita in una magione che trasforma il design di lusso in una rovina di corruzione morale, la narrazione inciampa nei propri passi. Il dramma alla base della maledizione e delle apparizioni spettrali è intuibile, fin troppo presto forse, ma non è sufficiente a spiegare buona parte dei "non detti" orrorifici (qual è l'implicazione sessuale della maledizione? Cosa appartiene all'immaginazione di Tan e cosa alla tragica realtà?). La psicologia di Tubtim e il suo rapporto con Tan restano sospesi tra le troppe ellissi, che vorrebbero aumentare il mistero ma generano solo confusione.
Kongkiat sceglie di non indulgere in dettagli splatter e di lavorare sull'elemento psicologico, insinuando il dubbio sui fatti avvenuti ma agevolando l'idea che il lusso si accompagni, in un groviglio inestricabile, a colpe ancestrali. Un elemento di scontro sociale presente nelle intenzioni ma appena abbozzato negli esiti. L'origine televisiva del cast cancella le speranze residue: Wannarot Sonthichai non appare quasi mai senza un pesante make-up, ma quando lo fa sembra che stia sfilando nello spot di un profumo, mentre Mario Maurer si sforza di piangere per tutto il film con esiti disastrosi, ai limiti della comicità involontaria. Il fatto che Kongkiat abbia lavorato su altri progetti contemporaneamente a Take Me Home lascia sperare che abbia riservato il meglio per questi, limitandosi qui a un onesto lavoro di genere per passare alla cassa.