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no_data
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sabato 18 aprile 2015
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guardabile ma non bello
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Poco originale, una storia raccontata in modo banale. La recitazione della Buy non è sempre convincente e quella di Moretti è quasi fastidiosa. Il personaggio di Turturro è una caricatura che non si capisce come si inserisce nel film. alcune scene belle ma troppo poche (quella della fila davanti al cinema, quella di Turturro in macchina). Guardabile, ma non merita tutte le lodi che ho letto nei giornali e in questo sito
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(di ggbike)
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madrigal
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mercoledì 24 giugno 2015
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moretti tocca con mano il tempo che avanza
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A differenza di Sorrentino, Moretti tocca con mano il tempo che avanza attraverso il declino di chi si è abituati ad immaginare immortale: la mamma.
Il film è intimo, profondo, autentico, e ci riporta alla crudissima abilità del regista nel mostrare un’afflizione mutilata di ogni esasperazione estetica. Qui il dolore è rassegnazione; è sfumato, previsto, stillato poco a poco. E la rabbia c’è solo per quello che non si è fatto o per come poteva essere; ma soprattutto per ciò che non si è capito. Senza neanche potersi appellare all’ingiustizia.
Tutti gli interpreti sono straordinari: Buy nei panni di una regista che non riesce nemmeno con lil cinema "engagé" a lenire i propri sensi di colpa; Turturro, un attore che implora un po’ di realtà, affogato come è in una vita passata a fare finta; Lazzarini, impalpabile, perfetta in ogni gesto e in ogni sguardo; e persino Moretti, come attore, è più accettabile del solito.
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alexander 1986
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sabato 19 settembre 2015
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la crisi di un uomo è quella di una nazione
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Margherita (Margherita Buy) è una regista alle prese con un film dal soggetto forse un po' antiquato: la lotta di un gruppo operai contro il padrone straniero (John Turturro) che li vuole licenziare. Storia d'altri tempi, verrebbe da dire in giorni come questi, durante i quali il concetto di lotta sociale viene criminalizzato (vedi il caso-Colosseo a Roma) se non proprio ignorato dai lavoratori stessi. Ma a Margherita ciò non importa: concepisce il proprio lavoro di intellettuale come un dovere testimoniale, un messaggio che non ha la necessità di essere recepito. Il suo idealismo va a infrangersi però con una realtà che non può controllare.
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Margherita (Margherita Buy) è una regista alle prese con un film dal soggetto forse un po' antiquato: la lotta di un gruppo operai contro il padrone straniero (John Turturro) che li vuole licenziare. Storia d'altri tempi, verrebbe da dire in giorni come questi, durante i quali il concetto di lotta sociale viene criminalizzato (vedi il caso-Colosseo a Roma) se non proprio ignorato dai lavoratori stessi. Ma a Margherita ciò non importa: concepisce il proprio lavoro di intellettuale come un dovere testimoniale, un messaggio che non ha la necessità di essere recepito. Il suo idealismo va a infrangersi però con una realtà che non può controllare. Infatti sua madre Ada (Giulia Lazzarini), ex-insegnante di latino amata da tutti, sta morendo mettendo involontariamente in evidenza tutta la sua inadeguatezza come figlia e come donna. Margherita parla di politica, sì, e lo fa anche bene. Ma a farla davvero, la politica, è il fratello Giovanni (Nanni Moretti) che senza urla né lamenti ha il coraggio di lasciare il lavoro per dedicarsi totalmente agli affetti. L'uno e l'altra sono le due facce di una stessa medaglia: la crisi personale che deriva dalla perdita di una collocazione identitaria nel mondo in cui viviamo.
La madre che dà il titolo alla pellicola è 'anche' figurazione della vera madre di Moretti, e il sentimento veicolante il racconto ricalca quello realmente vissuto dal regista in prima persona. Ma essa è soprattutto l'Italia. Anzi, più precisamente: è l'idea di 'Italia' che gli intellettuali della generazione passata hanno coltivato, e che per orgoglio o per paura non riescono a superare; o che non 'dovrebbero': non si capisce mai bene dove stia il confine tra ammonimento ed esortazione nel discorso morettiano. In un divertente gioco meta-cinematografico, la Buy interpreta il Nanni Moretti di un tempo mentre il Nanni Moretti attuale le si pone accanto come un contraltare antipodico: passato e presente, entusiasmo e disillusione, si intersecano in quella che è un'importantissima autobiografia, una testimonianza del passaggio da un'era a un'altra nella storia del nostro paese.
Tutte le pellicole di Moretti vivono su simbolismi e metafore, e lo stesso regista ha definito 'Mia Madre' il suo film 'più politico'. Che quasi nessuno abbia colto il vero senso di quest'opera, mi lascia più che sbalordito.
Possiamo dire poi molte cose: che Moretti, aiutato nella scrittura da Francesco Piccolo, sostiene indirettamente il renzismo; o che dice più o meno le stesse cose da molti anni; o che mantiene ancora un velo della tradizionale spocchia da intellettuale di sinistra.
Resta però il fatto che abbiamo a che fare con l'opera più matura e complessa di uno dei pochi intellettuali italiani degni di questo nome. Almeno, nel cinema.
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ile97
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domenica 20 settembre 2015
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mia madre,commuove dopo un'attenta riflessione.
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Nanni Moretti si pone al centro del suo ultimo film,affidando l'interpretazione di se stesso a Margherita Buy.
Margherita è una regista alle prese con un film che tratta il tema della crisi e della disoccupazione,ambientato in una fabbrica e incentrato sull'arrivo di un nuovo proprietario americano che vuole operare tagli e licenziamenti.
La donna vive una realtà non troppo felice all'interno del set tra un amante con cui vorrebbe chiudere, un attore americano egocentrico ed esuberante che non ricorda una battuta del copione e un team che non riesce davvero a comprendere lo scopo del suo lavoro.
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Nanni Moretti si pone al centro del suo ultimo film,affidando l'interpretazione di se stesso a Margherita Buy.
Margherita è una regista alle prese con un film che tratta il tema della crisi e della disoccupazione,ambientato in una fabbrica e incentrato sull'arrivo di un nuovo proprietario americano che vuole operare tagli e licenziamenti.
La donna vive una realtà non troppo felice all'interno del set tra un amante con cui vorrebbe chiudere, un attore americano egocentrico ed esuberante che non ricorda una battuta del copione e un team che non riesce davvero a comprendere lo scopo del suo lavoro.
All'uscita dal set ciò che la aspetta non è nulla di più gioioso:un ex marito,una figlia che non riesce a fare i conti con la scuola e una madre in fin di vita che accudisce insieme al fratello Giovanni.
"Mia madre" tocca molte tematiche senza approfondirne una in particolare:la crisi non è importante forse perché nemmeno Margherita riesce a trovare il modo giusto per rappresentarla nel suo film;la malattia della madre accompagna i personaggi fino alla fine,ma come in piccole dosi,brevi scene che lasciano il segno soprattutto nel finale.
In conclusione, Nanni Moretti produce un'opera che non può essere apprezzata nell'immediato ma solo dopo un'attenta riflessione. Può avere diverse chiavi di lettura e quella che io ho trovato è una profonda critica alla società italiana nei suoi aspetti politici,cinematografici ed esistenziali.
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gufetta76
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martedì 28 marzo 2017
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veramente bello
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La regia di Moretti è pulita e realistica. Pensavo di trovare un film lento invece i tempi sono sorprendentemente azzeccati. Non so se Moretti facendo impersonare a una donna il sè stesso abbia voluto esternalizzare il dolore però è tutto molto verosimile l'ospedale la sofferenza il vissuto,il ricordo. È bello che si sappia poco della malattia della madre, poiché ci si concentra maggiormente sulla persona di quello che è e di quello che è stata. Mi è piaciuto molto.
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marilla
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mercoledì 22 aprile 2015
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dativo di possesso
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A parte il fatto che ho finalmente, definitivamente e indelebilmente capito il dativo di possesso (che a quasi 60 anni non è male), e che mi sento quindi molto contenta e ringrazio, non posso dire che questo film meriti le pessime critiche che ho letto. Certo, il film manca di smalto ma non credo che l'intento sia stato quello di fornirglielo. Certo, manca la folgorante ironia e profondità di Habemus Papa, ma è altrettanto certo che questo film andrebbe letto esplorandone i vari piani. E'un film dove, more solito, Moretti si specchia e si racconta e, nel far ciò, racconta molto del mondo, del mondo delle emozioni, dei dolore per la perdita di chi non abbiamo fino in fondo capito e fatto sentire amato, del momento in cui si fanno i bilanci e ci si sente un poco malconci: in questa capacità di parlar di sé riuscendo a parlar degli altri, Moretti è molto bravo.
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A parte il fatto che ho finalmente, definitivamente e indelebilmente capito il dativo di possesso (che a quasi 60 anni non è male), e che mi sento quindi molto contenta e ringrazio, non posso dire che questo film meriti le pessime critiche che ho letto. Certo, il film manca di smalto ma non credo che l'intento sia stato quello di fornirglielo. Certo, manca la folgorante ironia e profondità di Habemus Papa, ma è altrettanto certo che questo film andrebbe letto esplorandone i vari piani. E'un film dove, more solito, Moretti si specchia e si racconta e, nel far ciò, racconta molto del mondo, del mondo delle emozioni, dei dolore per la perdita di chi non abbiamo fino in fondo capito e fatto sentire amato, del momento in cui si fanno i bilanci e ci si sente un poco malconci: in questa capacità di parlar di sé riuscendo a parlar degli altri, Moretti è molto bravo. E' un Film sul cinema, o meglio, sulla finzione (che sia letteraria o cinematografica poco importa): e, poiché fra le tante critiche rivolte a Moretti c'è sempre stata quella di non esser capace a recitare, ecco ironicamente la sua risposta: l'attore non deve calarsi ottimamente nel personaggio, diventando bravo nel renderlo. Accanto al personaggio si dovrebbe sempre far percepire la presenza dell'attore-persona: un monito dunque non solo a spiegare che l'attore racconta se stesso ma anche a ricordare che ciò che leggiamo, o vediamo, è sempre fiction (e in questo Dickens insegna). E a ciò mi sento di aggiungere che, se pur Moretti non vuole recitare, o non sa recitare, gli altri li fa recitare in modo magistrale: mi riferisco soprattutto a Giulia Lazzarini, che ricordo ancora negli sceneggiati Rai, o nel teatro, e che qui è splendida. E ancora: Moretti è bravo a girare, si vede che ha imparato tanto, ma non manca di autocitarsi, quasi a ricordare il proprio percorso: la manifestazione iniziale e l'intervista con la stampa mi riportano immediatamente a Sogni d'oro. Certo, della mesta cattiveria di La messa è finita non v'è traccia, per non parlare della splendida satira di Ecce Bombo sulla scuola, qui rivalutata nella dolce ammonizione della nonna a studiare il latino e nell'arrivo dell'ex studente che parla di un'insegnante maestra di vita. Si cresce, si invecchia: le posizioni si rivedono. C'è un messaggio ( e mi riferisco a quello tanto ricercato dal pubblico criticone)? No, il film non arriva e non vuole arrivare a niente, se non ad una citazione filmica, quella di rosselliana memoria: domani è un altro giorno.
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(di giulio vivoli)
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blake404
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venerdì 1 maggio 2015
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un film su cui meditare...
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Secondo me il nucleo centrale del film è il parallellismo tra la malattia della madre e la crisi economica attuale. Per la maggiorparte del film regna un'assoluta incertezza sulla malattia di cui non si conosce nemmeno il nome e si ottengono spiegazioni vaghe e inconsistenti da parte dei medici e dall'altra parte la rappresentazione della crisi economica che porta la gente a perdere il posto di lavoro senza avere chiaro nemmeno quale sia il nemico con cui prenderesela è anch'essa molto confusa e incerta. I 2 fratelli non hanno la minima idea di come gestire la malattia della madre non meglio identificata e la regista non riesce a rappresentare la crisi economica perchè lei stessa non ha chiare le dinamiche della crisi per cui non può fare altro che fare una rappresentazione mediocre e incosistente.
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Secondo me il nucleo centrale del film è il parallellismo tra la malattia della madre e la crisi economica attuale. Per la maggiorparte del film regna un'assoluta incertezza sulla malattia di cui non si conosce nemmeno il nome e si ottengono spiegazioni vaghe e inconsistenti da parte dei medici e dall'altra parte la rappresentazione della crisi economica che porta la gente a perdere il posto di lavoro senza avere chiaro nemmeno quale sia il nemico con cui prenderesela è anch'essa molto confusa e incerta. I 2 fratelli non hanno la minima idea di come gestire la malattia della madre non meglio identificata e la regista non riesce a rappresentare la crisi economica perchè lei stessa non ha chiare le dinamiche della crisi per cui non può fare altro che fare una rappresentazione mediocre e incosistente.La madre è colei che ti dà la vita, così come il lavoro ti consente di restare in vita. Soltanto alla fine del film l'incertezza e la confusione sembrano svanire infatti i 2 fratelli decidono di comune accordo di portare la madre a casa, la quale vive serenenamente gli ultimi momenti della sua vita dando lezioni di latino alla nipote e per quanto riguarda la crisi economica viene rappresentata un' unica scena senza l'ausilio della regista ma con il solo contributo degli attori in cui la soluzione sembrerebbe che gli operai decidessero di lavorare ad ogni costo, rifiutando ogni buonauscita ma anche a stipendio ridotto pur di lavorare. A me quest'ultima soluzione non convince per cui rimango nella mia incertezza e confusione, continuando a non capire chi sia il nemico ed il vero responsabile di questa crisi. I nemici non sono gli imprenditori, ma la finanza. Ed io di finanza non ci capisco nulla.Ciao
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catcarlo
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mercoledì 6 maggio 2015
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mia madre
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Margherita è una regista di mezza età in crisi nella vita e nella professione: la faticosa lavorazione di un film resa ancor più complicata dalla presenza del bizzoso attore americano Barry Huggins si accompagna agli ultimi giorni di vita della madre Ada, al cui capezzale si alterna o si affianca insieme al fratello Giovanni. Il soggetto è tutto qui, ma dietro alle apparenze di una storia intima e semplice, il nuovo film di Moretti dispiega un labirinto di meditazioni e argomenti che ne fanno un lavoro ben più complesso di quanto possa risultare a una lettura superficiale: tutto ciò, insieme a un argomento doloroso (e mettiamoci pure un manifesto bruttarello che non invoglia di certo), richiede nello spettatore una pizzico di predisposizione al sacrificio che però verrà assai ben ripagato.
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Margherita è una regista di mezza età in crisi nella vita e nella professione: la faticosa lavorazione di un film resa ancor più complicata dalla presenza del bizzoso attore americano Barry Huggins si accompagna agli ultimi giorni di vita della madre Ada, al cui capezzale si alterna o si affianca insieme al fratello Giovanni. Il soggetto è tutto qui, ma dietro alle apparenze di una storia intima e semplice, il nuovo film di Moretti dispiega un labirinto di meditazioni e argomenti che ne fanno un lavoro ben più complesso di quanto possa risultare a una lettura superficiale: tutto ciò, insieme a un argomento doloroso (e mettiamoci pure un manifesto bruttarello che non invoglia di certo), richiede nello spettatore una pizzico di predisposizione al sacrificio che però verrà assai ben ripagato. Il regista romano ormai, specie nelle opere più personali, si limita a suggerire quel che da giovane era solito a proclamare ad alta voce: una scelta sussurrata, sottolineata anche da una colonna sonora costituita in gran parte dalle rarefatte composizioni pianistiche di Arvo Pärt, che si alza di tono solo nel momento dell’autocritica. Quando il suo ormai ex amante (Enrico Ianniello) la accusa apertamente di egoismo e autoreferenzialità, Margherita, la cui figlia è affidata al marito, è più che mai immagine di un certo Nanni, ben al dilà della difficoltà del comune ruolo dietro la macchina da presa: così l’attore Moretti nel più defilato ruolo del fratello (i due personaggi mantengono i nomi di battesimo degli interpreti) è un uomo concreto, capace di trarre le conseguenze dall’insoddisfazione per la vita attuale – la rinuncia a un lavoro remunerativo – fino a delinearsi come una sorta di grillo parlante che si trova costretto a mettere la donna di fronte alla realtà riguardo alla condizione della madre. Il rapporto fra i due fratelli è delineato con estrema delicatezza e partecipazione, come del resto quello tra di essi e Ada, interpretata con grande sensibilità da Giulia Lazzarini: Margherita si trova a dover elaborare un lutto non ancora avvenuto e per farlo deve rimettersi in discussione entrando nella vita vera, in aperto contrasto con il comandamento che dà ai suoi attori di restare sempre ‘fuori’, almeno in parte, dal personaggio. E’ a questo punto ovvio che l’influsso della vicenda personale si avverta anche nell’esistenza professionale, dove, malgrado il film ‘impegnato’, il personaggio finisce per non credere più a ciò che sta facendo perché le diventa evidente lo scollamento tra finzione e realtà: insomma, una vita da ribaltare come un calzino dove le svolte decisive del passato possono essere messe in discussione. Ecco allora anche i flash-back, in cui Margherita arriva a interagire con se stessa da giovane (Camilla Semino Favro) come nella scena che consente a Moretti un duplice omaggio a Wim Wenders, con i cartelloni de ‘Il cielo sopra Berlino’, e a Leonard Cohen di cui si ascolta la sempre struggente ‘Famous blue raincoat’. Nei panni della protagonista, Buy può dimostrare tutta la sua bravura grazie a un personaggio all’altezza, così sfaccettato e pieno di contrasti, seguito comunque con partecipazione dalla macchina da presa. A far da contraltare alla molta cupezza sta l’umorale Huggins, a cui Turturro regala un’interpretazione divertita che alterna italiano e inglese quanto sbruffoneria e fragilità: anche in lui, però, la realtà è diversa da quanto appare visto che l’egocentrismo e l’atteggiamento indisponente sul set nascondono una situazione ben più complessa, mascherata per marketing e dolorosa da raccontare. Così, il vero, unico raggio di sole si accende nel finale, quando l’inevitabile si compie e gli ex studenti di Ada – professoressa di italiano e latino come la vera mamma di Moretti – la ricordano com’era in gioventù: doti appannate dalla malattia, a parte il bel rapporto con la nipotina Livia (bello l’esordio di Beatrice Mancini), ma che la fanno rivivere nella memoria di chi resta innalzando nel contempo una lode alla sovente bistrattata categoria degli insegnanti.
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zanze61
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lunedì 1 giugno 2015
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finalmente
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Film del migliore Moretti, lo metterei quasi alla pari di La messa è finita che per me resta il suo capolavoro. Bella sceneggiatura, misurata e fluida, che sa trattare argomenti così intimi e complessi senza mai sfociare nel patetico o nel superfluo, interpreti ottimi (specie la Buy che mi ha stupito per la sua bravura), finale eccezionale come sempre in Moretti, che ha l'arte di chiudere i suoi film con un piccolo strappo rispetto alla storia, proiettandola e agganciandola al futuro.
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luca scial�
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giovedì 9 luglio 2015
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moretti torna sulle angosce umane
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In questa ultima pellicola di Nanni Moretti si nota una conferma e una novità. La prima riguarda il fatto che il regista romano traspone a terze figure non più interpretate da lui, le proprie idee e angosce inconsce. Come già fatto con Il Caimano e Habemus Papam. Quanto alla seconda, lo fa con maggiore ironia, leggerezza, mediante sequenze che interrompono la drammaticità delle storie.
Mia madre rappresenta un film biografico ma in modo poco evidente, quasi impercettibile. Si rivedono in sintesi gli aspetti degli ultimi suoi tre film: un dramma familiare (La stanza del figlio), un regista alle prese con una vita privata verso lo sfacelo e problemi al lavoro (Il Caimano), una persona in crisi d'identità (Habemus Papam).
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In questa ultima pellicola di Nanni Moretti si nota una conferma e una novità. La prima riguarda il fatto che il regista romano traspone a terze figure non più interpretate da lui, le proprie idee e angosce inconsce. Come già fatto con Il Caimano e Habemus Papam. Quanto alla seconda, lo fa con maggiore ironia, leggerezza, mediante sequenze che interrompono la drammaticità delle storie.
Mia madre rappresenta un film biografico ma in modo poco evidente, quasi impercettibile. Si rivedono in sintesi gli aspetti degli ultimi suoi tre film: un dramma familiare (La stanza del figlio), un regista alle prese con una vita privata verso lo sfacelo e problemi al lavoro (Il Caimano), una persona in crisi d'identità (Habemus Papam).
La riuscita del film la si deve non solo alla ottima sceneggiatura, ma anche alla bravura di Margherita Buy che interpreta un ruolo che le calza a pennello: quello della donna insicura, nevrotica e fragile. E a un John Turturro in gran forma nei panni di un attore americano troppo pieno di sé. La figura della madre, infine, invece che essere protagonista del film, fa da sfondo alle vicende dei personaggi. Il suo capezzale diventa momento di confronto e riflessione soprattutto per Margherita, che comprende di non essere stata una brava figlia e di non saper vivere la vita come dovrebbe. Nanni Moretti da attore appare invece un pò spento, forse troppo rimesso. Autoimpostosi sempre più in un ruolo di spalla, quasi secondario. Forse in futuro ci abitueremo a non vederlo più dirigere se stesso, ma solo dietro una macchina da presa.
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[+] buonista
(di vanessa zarastro)
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