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lizard_king90
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domenica 17 maggio 2015
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film o esperienza di vita ?
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"Mia madre". Il titolo racchiude già in sè il vero significato di questo film, diverso, di Nanni Moretti. E' necessario fare una premessa : ciò che vediamo possiamo definirlo semplicemente "film" o, in maniera più ampia, "esperienza di vita" ?. Perchè ciò che Nanni Moretti ci mostra, per due ore, sono personaggi, ruoli, frasi, frammenti visivi e sentimentali in cui probabilmente molti di noi s'identificheranno. Trovando un compromesso, parleremo di un "film che ci unisce". Ci unisce nel dolore, nella felicità, nell'insicurezza, nel senso di smarrimento che si prova all'inzio di ogni bivio dove siamo chiamati a scegliere. Ci unisce nella volontà di combattere e nell'accettare rassegnati un qualcosa più forte di noi.
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"Mia madre". Il titolo racchiude già in sè il vero significato di questo film, diverso, di Nanni Moretti. E' necessario fare una premessa : ciò che vediamo possiamo definirlo semplicemente "film" o, in maniera più ampia, "esperienza di vita" ?. Perchè ciò che Nanni Moretti ci mostra, per due ore, sono personaggi, ruoli, frasi, frammenti visivi e sentimentali in cui probabilmente molti di noi s'identificheranno. Trovando un compromesso, parleremo di un "film che ci unisce". Ci unisce nel dolore, nella felicità, nell'insicurezza, nel senso di smarrimento che si prova all'inzio di ogni bivio dove siamo chiamati a scegliere. Ci unisce nella volontà di combattere e nell'accettare rassegnati un qualcosa più forte di noi. Nel nascondere la verità ad una persona a noi cara, nell'essere messi di fronte a delle responsabilità e nel dimostrare a noi stessi che siamo cresciuti e che possiamo contare su di noi. Tornando alla premessa iniziale, Moretti ci fa vivere questa "esperienza di vita" attraverso gli occhi di Margherita Buy ed insieme scopriamo quanto sia difficile essere al tempo stesso una madre, una figlia, una sorella emotiva, impulsiva e meno calcolatrice. Interessante appare la codominanza di sogno, realtà e finzione. Il film diviene meno ripetitivo e ci permette di apprezzare le due facce, comica e drammatica, di una Buy diretta con estrema maestria. La figura di John Turturro, attore stanco della finzione quotidiana e desideroso di un ritorno alla spontaneità della realtà, dà quel pizzico di simpatia che solleva il morale e probabilmente permette a Moretti di elevare il suo film al di sopra di quelli che, ormai, appaiono sempre più votati alla visione in " prima serata". Moretti, a differenza di altre sue creazioni, ritaglia per sè una piccola "cornice" che, gli permette di concentrarsi sugli attori e di lavorare affinchè fuoriesca il loro animo drammatico-comico. Non a caso, sceglie Giulia Lazzarini (la madre), attrice di teatro e di grande esperienza. Un film per pochi e che per certi versi potremmo paragonare alla classica "goccia che fa traboccare il vaso" poichè capace di smuovere ricordi, toccare corde profonde del nostro animo, di far riaffiorare emozioni vissute, sofferte, temporaneamente sepolte. Un modo poetico e raffinato di sviscerare il tema del lutto in tutte le sue forme e conseguenze. Moretti ci ha viziati anche stavolta e noi, non possiamo far altro che ringraziarlo.
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[+] perchè solo 3 stellette ?
(di enrico danelli)
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amgiad
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sabato 16 maggio 2015
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ritroviamo moretti
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Spero che Moretti non segua il triste declino di Woody Allen: fare nuovi film alla Moretti di cui già si conosce lo sviluppo prima di andare a vederli (inquietante in questo senso la presenza di Turturro). Florilegio di alcuni dei suoi ultimi film (fatti o interpretati) possiamo così ri-vedere il tormento del personaggio (Caos Calmo), il regista alle prese con il film che si farà, non si farà o è già fatto (il Caimano), il desiderio di fuggire difronte alle responsabilità (Habemus Papam) con l' aggiunta di un banale resoconto delle ultime ore di vita di un parente caro, senza nulla di artistico che superi il normale triste sentimento provato da tutti noi.
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Spero che Moretti non segua il triste declino di Woody Allen: fare nuovi film alla Moretti di cui già si conosce lo sviluppo prima di andare a vederli (inquietante in questo senso la presenza di Turturro). Florilegio di alcuni dei suoi ultimi film (fatti o interpretati) possiamo così ri-vedere il tormento del personaggio (Caos Calmo), il regista alle prese con il film che si farà, non si farà o è già fatto (il Caimano), il desiderio di fuggire difronte alle responsabilità (Habemus Papam) con l' aggiunta di un banale resoconto delle ultime ore di vita di un parente caro, senza nulla di artistico che superi il normale triste sentimento provato da tutti noi. Quasi un documentario il cui unico effetto può essere la commozione e la lacrima del ricordo. Alla fine qualcosa resta: la noia.
Nanni, ti ricordi quando i tuoi personaggi parlavano delle scarpe?
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dromex
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martedì 12 maggio 2015
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soffrire con gli attori
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Il film analizza l'ultimo periodo della vita della madre di Giovanni (N.Moretti) e Margherita (M.Buy), ricoverata all'ospedale gravissima.
Giovanni, ingegnere, e Margherita, regista, vivono la degenza della madre con grande sofferenza che interferisce anche con la vita lavorativa dei due.
Margherita in particolare sta girando il suo ultimo film oltre a vivere sulla sua pelle problemi sentimentali di famiglia.
Il film a me non è dispiaciuto e mi ha fornito una sensazione particolare: mi sono trovato a soffrire e vivere i "dolori" di Giovanni e Margherita con loro anziché assistere ai loro dolori. Sul set di Margherita c'è anche lo spettatore che convive con lei, i pensieri di Giovanni e il lavoro che entra in secondo piano rispetto alla vita personale sono anche i nostri pensieri.
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Il film analizza l'ultimo periodo della vita della madre di Giovanni (N.Moretti) e Margherita (M.Buy), ricoverata all'ospedale gravissima.
Giovanni, ingegnere, e Margherita, regista, vivono la degenza della madre con grande sofferenza che interferisce anche con la vita lavorativa dei due.
Margherita in particolare sta girando il suo ultimo film oltre a vivere sulla sua pelle problemi sentimentali di famiglia.
Il film a me non è dispiaciuto e mi ha fornito una sensazione particolare: mi sono trovato a soffrire e vivere i "dolori" di Giovanni e Margherita con loro anziché assistere ai loro dolori. Sul set di Margherita c'è anche lo spettatore che convive con lei, i pensieri di Giovanni e il lavoro che entra in secondo piano rispetto alla vita personale sono anche i nostri pensieri.
Ma il film ci fa anche assistere da spettatori ai "dolori" delle migliaia di lavoratori che le aziende licenziano, trama del film che sta costruendo Margherita.
Un bel film che lascia il segno.
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carlosantoni
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martedì 12 maggio 2015
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il cinema, la realtà, la finzione
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Questo di Moretti non è solo e al solito un film fortemente autobiografico, ma è prima di tutto un film che si interroga sul ruolo del cinema, che si interroga circa la sua possibilità di confrontarsi con la realtà e sulla sua capacità-possibilità di raccontarla. Tutto il film, fin dalla primissima scena, ci sbatte in faccia il dilemma fra ciò che il cinema come parvenza ci vuole rendere della realtà effettuale, e la realtà in sé. Il film inizia con una violentissima scena di scontro fra un gruppo di lavoratori che manifestano per difendere il loro posto di lavoro e i soliti poliziotti manganellatori. Salvo renderci conto, appena pochi istanti dopo, che era tutta una finzione: non si trattava di qualcosa di “reale”, qualcosa di simile a una ripresa dal vero, ma di una “finzione”: in realtà il film “di Moretti” ci parla di un film di Margherita (Buy) che tratta di una complessa, e per i nostri tempi normale, vicenda di svendita di fabbriche attive e che funzionano, a imprenditori rapaci stranieri, i quali hanno interesse unicamente a smembrare, licenziare e quindi svendere i resti della carcassa.
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Questo di Moretti non è solo e al solito un film fortemente autobiografico, ma è prima di tutto un film che si interroga sul ruolo del cinema, che si interroga circa la sua possibilità di confrontarsi con la realtà e sulla sua capacità-possibilità di raccontarla. Tutto il film, fin dalla primissima scena, ci sbatte in faccia il dilemma fra ciò che il cinema come parvenza ci vuole rendere della realtà effettuale, e la realtà in sé. Il film inizia con una violentissima scena di scontro fra un gruppo di lavoratori che manifestano per difendere il loro posto di lavoro e i soliti poliziotti manganellatori. Salvo renderci conto, appena pochi istanti dopo, che era tutta una finzione: non si trattava di qualcosa di “reale”, qualcosa di simile a una ripresa dal vero, ma di una “finzione”: in realtà il film “di Moretti” ci parla di un film di Margherita (Buy) che tratta di una complessa, e per i nostri tempi normale, vicenda di svendita di fabbriche attive e che funzionano, a imprenditori rapaci stranieri, i quali hanno interesse unicamente a smembrare, licenziare e quindi svendere i resti della carcassa. Si tratta di un film nel film, il quale fin da subito ci avverte: occhio, ciò che state vedendo non è la realtà. La sceneggiatura del film, eccellente come il montaggio e la regia, va avanti su questa traccia: tu non sai mai dove sta la verità. Esemplari in questo senso le scene oniriche, si fatica a distinguerle dal “vero”, se non ex post e soltanto a partire dal loro contenuto latente. Sulla vicenda apparentemente principale e “pubblica” del film che Margherita sta girando, si innesta quella non meno potente della vicenda sua privata, relativa alla madre gravemente ammalata e che sta morendo. Anche qui il rapporto verità/apparenza si fa sentire: fra Margherita e suo fratello Giovanni (Nanni Moretti), fra i due e la mamma. Senza contare i rapporti secondari, fra lei e l’amante, lei e la figlia, lei e l’ex marito. Tutto in questo film è messo in discussione, in maniera per niente banale, proprio riguardo al rapporto fondamentale tra la realtà e la capacità-volontà di saperla raccontare. Il cinema, come possibile mezzo espressivo e descrittivo, è qui il bersaglio prescelto da Moretti regista. A suo grande merito l’essersi scelto un ruolo secondario come attore, e di aver saputo individuare in una davvero straordinaria Margherita Buy la sua alter ego. Eccellente anche la prova non facile di Turturro, impegnato (credo) a descrivere un personaggio-attore a metà strada fra ciò che è veramente (un eccellente attore) e ciò che può apparire (un cialtrone yankee privo di spessore, degno di fare la comparsa in un filmetto di Totò con gli americani tonti). Inutile dire che il film è pieno, pienissimo di profonda e sincera emotività, tanto più vera quanto il più delle volte trattenuta. Ugualmente inutile elencare le modalità per le quali Margherita dimostra di essere intimamente “Nanni”, tanto dal ripeterne le fisse e le idiosincrasie che Moretti ben ci ha fatto conoscere. Esemplare la raccomandazione che fa agli attori che si apprestano a recitare: sii il personaggio, ma accanto al personaggio da interpretare sii te stesso. Una dialettica fra oggettività e soggettività che soltanto un inclito classicista come Moretti si può permettere di sottolineare.
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little paul
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domenica 10 maggio 2015
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la normalita' della vita.
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Riconosco:c'è tanto impegno ,tanto mestiere e professionalità. Ma le vicende umana di Margherita assomigliano a quelle di tanta altre persone che si incontrano tutti i giorni. Quanti di noi hanno vissuto il travaglio di vedere una persona cara spegnersi lentamente e inesorabilmente? E mentre si deve badare alla persona cara che sta per lasciarsi dobbiamo continuare a correre : i problemi dei figli, il lavoro,le crisi sentimentali. Si ,le vicende umane raccontate coinvolgono tante persone normali; a volte non è neanche ammesso avere quegli scatti di abbandono come succede a Margherita. Lo spettatore non viene rassicurato da una storia del genere, ma si vede gettare addosso una realtà di cui si farebbe volentieri a meno.
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Riconosco:c'è tanto impegno ,tanto mestiere e professionalità. Ma le vicende umana di Margherita assomigliano a quelle di tanta altre persone che si incontrano tutti i giorni. Quanti di noi hanno vissuto il travaglio di vedere una persona cara spegnersi lentamente e inesorabilmente? E mentre si deve badare alla persona cara che sta per lasciarsi dobbiamo continuare a correre : i problemi dei figli, il lavoro,le crisi sentimentali. Si ,le vicende umane raccontate coinvolgono tante persone normali; a volte non è neanche ammesso avere quegli scatti di abbandono come succede a Margherita. Lo spettatore non viene rassicurato da una storia del genere, ma si vede gettare addosso una realtà di cui si farebbe volentieri a meno. Tutto assomiglia alla vita che viviamo fuori dalla finzione. L'aspetto più rassicurante è rappresentato dalla liceale la quale ,anche grazie agli estremi contributi della nonna,riesce a superare i ritardi scolastici proiettandosi in un domani fuoriero di speranza.
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degiovannis
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giovedì 7 maggio 2015
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vietato scherzare
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Condivido pienamente la recensione di Zonta: è vero, il film è complesso e, come tutti i film di questo spessore, si coglierà meglio in futuro tutta la sua complessità. Moretti infatti cerca di affrontare il tema del rapporto tra regista e film, tra cinema e realtà, tra arte e realtà. Soprattutto in una società come la nostra dove gli interessi economici sembrano aver assunto una dimensione tale da oscurare tutti gli altri aspetti della vita. I problemi che pone quindi sono esistenziali (per quel che attiene il suo ruolo personale), ma non solo: riguardano più in generale il ruolo della cultura in una società in cui l'immediato sembra assorbire tutte le energie. Tramontate le ideologie, non resta tempo che per una spasmodica pragmaticità, nella speranza che almeno i più attrezzati possano salvarsi.
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Condivido pienamente la recensione di Zonta: è vero, il film è complesso e, come tutti i film di questo spessore, si coglierà meglio in futuro tutta la sua complessità. Moretti infatti cerca di affrontare il tema del rapporto tra regista e film, tra cinema e realtà, tra arte e realtà. Soprattutto in una società come la nostra dove gli interessi economici sembrano aver assunto una dimensione tale da oscurare tutti gli altri aspetti della vita. I problemi che pone quindi sono esistenziali (per quel che attiene il suo ruolo personale), ma non solo: riguardano più in generale il ruolo della cultura in una società in cui l'immediato sembra assorbire tutte le energie. Tramontate le ideologie, non resta tempo che per una spasmodica pragmaticità, nella speranza che almeno i più attrezzati possano salvarsi. Il film naturalmente non affronta di petto le questioni: ammicca, suggerisce. Prendiamo per es. la figura della madre. Ad un certo punto la figlia si interroga su che fine faranno tutti quei saperi che finora abbiamo chiamato umanistici e che adesso sembrano aver perso ogni significato. Ancora: sul ruolo del regista Moretti sembra richiamare Fellini, quando insiste nel rievocare la scena di Boccaccio '70 con il famoso ritornello 'Bevete più latte'. La dolce vita è un film di crisi del regista intellettuale. di un regista cioè che ha sempre creduto non solo nel ruolo estetico dell'arte, ma anche in quello di trasformazione della realtà. E' un po' di tempo che queste certezze vengono meno e forse non resta che guardare con sgomento ad una realtà che non solo non si riesce a modificare, ma neanche a interpretare. Moretti caustico, ironico e sarcastico dove sei dunque? Quale il ruolo? Quale la soluzione possibile? Il problema non è solo suo! L'appello è a tutti coloro che vogliono ancora cimentarsi con queste domande che, se sono difficili da affrontare, danno anche sapore all'esistenza. Nel film il recupero dei sentimenti ancestrali sembra alludere ad una prima incerta risposta: per il momento aggrappiamoci all'amore nelle sue varie forme. E, se non può essere quello coniugale, che sia quello materno, fraterno, filiale. Giusto per continuare a respirare e sopravvivere. Il resto viene dopo.
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nino quincampoix
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giovedì 7 maggio 2015
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e meno male che c'è turturro
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non avevo grandi aspettative, quindi, non sono stato troppo deluso
il film è girato (soprattutto le scene "ospedaliere") come un film per la TV o, peggio, come una fiction
il modo in cui viene trattato il tutto è un po' superficiale, con gli attori che si mettono esageratamente "a fianco del personaggio" (come chiede il personaggio di Margherita Buy ai suoi attori)
le relazioni non vengono approfondite e, a differenza di quanto ci si aspetterebbe, si fa fatica a commuoversi
ed è un peccato perché il soggetto non è male e alcuni dialoghi, se girati diversamente, avrebbero potuto essere memorabili
John Turturro è divertente e le sue scene con la Buy risollevano un po' le sorti di un film annoiato e molto sommario
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nanni
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mercoledì 6 maggio 2015
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mia madre
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Mentre la madre è alla fine dei suoi giorni, Margherita disorientata riconsidera via via che, nelle relazioni familiari e amicali, l’accudimento avrebbe dovuto occupare il primo posto.
Tra il lavoro da regista, la figlia, l’ex marito ed il fratello, Margherita si rende conto , invece, che la routine quotidiana ha ridisegnato, confondendola, la gerarchia delle priorità.
La riflessione è troppo debole e scontata e non ci lascia mai intuire la presenza di territori dell'anima inesplorati .
La storia parallela del film con Turturro, che Margherita sta girando, risulta troppo scollata dal contesto e vanifica la pretesa di alleggerire e stemperare la tensione, peraltro, impalpabile della narrazione.
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Mentre la madre è alla fine dei suoi giorni, Margherita disorientata riconsidera via via che, nelle relazioni familiari e amicali, l’accudimento avrebbe dovuto occupare il primo posto.
Tra il lavoro da regista, la figlia, l’ex marito ed il fratello, Margherita si rende conto , invece, che la routine quotidiana ha ridisegnato, confondendola, la gerarchia delle priorità.
La riflessione è troppo debole e scontata e non ci lascia mai intuire la presenza di territori dell'anima inesplorati .
La storia parallela del film con Turturro, che Margherita sta girando, risulta troppo scollata dal contesto e vanifica la pretesa di alleggerire e stemperare la tensione, peraltro, impalpabile della narrazione.
L’unica nota positiva del film è la davvero convincente prova d’ attrice della Buy che da sola , però, non può risollevare il film.
Mediocre.
Ciao nanni
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catcarlo
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mercoledì 6 maggio 2015
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mia madre
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Margherita è una regista di mezza età in crisi nella vita e nella professione: la faticosa lavorazione di un film resa ancor più complicata dalla presenza del bizzoso attore americano Barry Huggins si accompagna agli ultimi giorni di vita della madre Ada, al cui capezzale si alterna o si affianca insieme al fratello Giovanni. Il soggetto è tutto qui, ma dietro alle apparenze di una storia intima e semplice, il nuovo film di Moretti dispiega un labirinto di meditazioni e argomenti che ne fanno un lavoro ben più complesso di quanto possa risultare a una lettura superficiale: tutto ciò, insieme a un argomento doloroso (e mettiamoci pure un manifesto bruttarello che non invoglia di certo), richiede nello spettatore una pizzico di predisposizione al sacrificio che però verrà assai ben ripagato.
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Margherita è una regista di mezza età in crisi nella vita e nella professione: la faticosa lavorazione di un film resa ancor più complicata dalla presenza del bizzoso attore americano Barry Huggins si accompagna agli ultimi giorni di vita della madre Ada, al cui capezzale si alterna o si affianca insieme al fratello Giovanni. Il soggetto è tutto qui, ma dietro alle apparenze di una storia intima e semplice, il nuovo film di Moretti dispiega un labirinto di meditazioni e argomenti che ne fanno un lavoro ben più complesso di quanto possa risultare a una lettura superficiale: tutto ciò, insieme a un argomento doloroso (e mettiamoci pure un manifesto bruttarello che non invoglia di certo), richiede nello spettatore una pizzico di predisposizione al sacrificio che però verrà assai ben ripagato. Il regista romano ormai, specie nelle opere più personali, si limita a suggerire quel che da giovane era solito a proclamare ad alta voce: una scelta sussurrata, sottolineata anche da una colonna sonora costituita in gran parte dalle rarefatte composizioni pianistiche di Arvo Pärt, che si alza di tono solo nel momento dell’autocritica. Quando il suo ormai ex amante (Enrico Ianniello) la accusa apertamente di egoismo e autoreferenzialità, Margherita, la cui figlia è affidata al marito, è più che mai immagine di un certo Nanni, ben al dilà della difficoltà del comune ruolo dietro la macchina da presa: così l’attore Moretti nel più defilato ruolo del fratello (i due personaggi mantengono i nomi di battesimo degli interpreti) è un uomo concreto, capace di trarre le conseguenze dall’insoddisfazione per la vita attuale – la rinuncia a un lavoro remunerativo – fino a delinearsi come una sorta di grillo parlante che si trova costretto a mettere la donna di fronte alla realtà riguardo alla condizione della madre. Il rapporto fra i due fratelli è delineato con estrema delicatezza e partecipazione, come del resto quello tra di essi e Ada, interpretata con grande sensibilità da Giulia Lazzarini: Margherita si trova a dover elaborare un lutto non ancora avvenuto e per farlo deve rimettersi in discussione entrando nella vita vera, in aperto contrasto con il comandamento che dà ai suoi attori di restare sempre ‘fuori’, almeno in parte, dal personaggio. E’ a questo punto ovvio che l’influsso della vicenda personale si avverta anche nell’esistenza professionale, dove, malgrado il film ‘impegnato’, il personaggio finisce per non credere più a ciò che sta facendo perché le diventa evidente lo scollamento tra finzione e realtà: insomma, una vita da ribaltare come un calzino dove le svolte decisive del passato possono essere messe in discussione. Ecco allora anche i flash-back, in cui Margherita arriva a interagire con se stessa da giovane (Camilla Semino Favro) come nella scena che consente a Moretti un duplice omaggio a Wim Wenders, con i cartelloni de ‘Il cielo sopra Berlino’, e a Leonard Cohen di cui si ascolta la sempre struggente ‘Famous blue raincoat’. Nei panni della protagonista, Buy può dimostrare tutta la sua bravura grazie a un personaggio all’altezza, così sfaccettato e pieno di contrasti, seguito comunque con partecipazione dalla macchina da presa. A far da contraltare alla molta cupezza sta l’umorale Huggins, a cui Turturro regala un’interpretazione divertita che alterna italiano e inglese quanto sbruffoneria e fragilità: anche in lui, però, la realtà è diversa da quanto appare visto che l’egocentrismo e l’atteggiamento indisponente sul set nascondono una situazione ben più complessa, mascherata per marketing e dolorosa da raccontare. Così, il vero, unico raggio di sole si accende nel finale, quando l’inevitabile si compie e gli ex studenti di Ada – professoressa di italiano e latino come la vera mamma di Moretti – la ricordano com’era in gioventù: doti appannate dalla malattia, a parte il bel rapporto con la nipotina Livia (bello l’esordio di Beatrice Mancini), ma che la fanno rivivere nella memoria di chi resta innalzando nel contempo una lode alla sovente bistrattata categoria degli insegnanti.
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magro
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lunedì 4 maggio 2015
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moretti affronta ancora il senso di inadeguatezza
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Dopo i lutti del figlio (La stanza del figlio) e della moglie (Caos calmo), ecco l'ultimo episodio di una sorta di trilogia... con Mia madre.
Come in altri film su di un tema narrativo (in questo caso la malattia della madre), sviluppa il vero soggetto, cioè lo smarrimento derivante dall'inadeguatezza (come in Habemus Papam).
Questa volta ad impersonarlo è una splendida Margherita Buy, in un ruolo che gli entra a pennello: una cinquantenne che per mestiere fa la regista e quindi per definizione gestisce i comportamenti ed i movimenti degli altri; nel passaggio topico in cui la madre si invecchia, torna bambina e muore, Margherita perde le proprie sicurezze nel lavoro, con il compagno, con la madre e con la figlia.
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Dopo i lutti del figlio (La stanza del figlio) e della moglie (Caos calmo), ecco l'ultimo episodio di una sorta di trilogia... con Mia madre.
Come in altri film su di un tema narrativo (in questo caso la malattia della madre), sviluppa il vero soggetto, cioè lo smarrimento derivante dall'inadeguatezza (come in Habemus Papam).
Questa volta ad impersonarlo è una splendida Margherita Buy, in un ruolo che gli entra a pennello: una cinquantenne che per mestiere fa la regista e quindi per definizione gestisce i comportamenti ed i movimenti degli altri; nel passaggio topico in cui la madre si invecchia, torna bambina e muore, Margherita perde le proprie sicurezze nel lavoro, con il compagno, con la madre e con la figlia.
Simbolo di questa impossibilità a comprendere, gestire e controllare la realtà è un magnifico Turturro, praticamente nei panni di stesso e senza doppiaggio (che bello lo spezzone tagliato che circola in rete); irritante, funambolico e soprattutto ingestibile; una goccia per il sistema nervoso di Margherita. In tal senso la scelta di inserire in sceneggiatura un personaggio come Turturro è geniale: da una parte arricchisce di qualità e di leggerezza: dall'altra diventa l'improbabile personificazione della ingestibilità delle situazioni della vita.
Ma anche l'allagamento della casa, il confronto con un fratello "perfetto" nella gestione della madre, la figlia che si confida con la nonna e non con lei, l'ex compagno che mette a nudo i suoi difetti, la troupe ingestibile.
A differenza di Habemus Papam dove l'inadeguatezza era rispetto ad un compito immane ed improbabile (diventare papa appunto), questa volta l'inadeguatezza è verso la vita normale o meglio l'inadeguatezza che deriva dalla insana spinta a voler controllare e gestire la propria vita e spesso anche quella degli altri.
Una parola infine su Moretti attore. Non mi sembra abbia grandi qualità attoriali e in passato nei suoi film l'elemento stonato mi sembrava proprio la sua presenza; questa volta ha avuto l'intuizione di ritagliarsi un ruolo secondario, neutro, positivo, stabile, alter ego della protagonista inquieta, quasi un'altra margherita, quasi quel che vorrebbe essere margherita.
Moretti sembra non disturbare il film, come una presenza laterale del regista, che non è solo dietro, ma alle volte anche a fianco degli attori.
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