Visto nell’originale inglese. E’ un film interessante, teso, coinvolgente. Il filo rosso in primo piano è la corsa per la decrittazione del codice Enigma usato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, corsa contro il tempo vinta sul filo di lana da Alan Turing, giovane matematico geniale a capo di un gruppo di brillanti collaboratori. Ma il focus del film non è tanto questa scommessa, quanto la personalità ed il drammatico destino del protagonista. Turing vive un contrasto tra la totale sicurezza con cui affronta da vincente “tutto ciò che si può calcolare” e la sua incapacità penosa di comprendere e gestire altri codici apparentemente trasparenti per tutti meno che per lui: quelli che regolano tanta parte dei rapporti umani, che ti consentono di “leggere” sentimenti e comportamenti altrui e ti aiutano ad interagire armoniosamente con gli interlocutori e le circostanze, costituendo quella che si definisce intelligenza emotiva e sociale. Alan non capisce gli altri e non ne è compreso. E a rendere più sofferto e insanabile questo contrasto contribuisce la difficile elaborazione di una omosessualità che non può – non che razionalmente gestire - neppure confessare in una società omofoba e persecutoria. Suscita invidia, ostilità, nel migliore dei casi tolleranza e commiserazione affettuosa. Un destino infelice vuole che chi riesce ad amarlo nonostante tutto, o muoia, come il compagno di collegio, o gli offra, come la sua amica e collaboratrice Joan, disposta ad accettarlo per quello che è, qualcosa che lui non si sente onestamente di accettare. Di più, nessuna paternità verrà riconosciuta nell’immediato alla sua scoperta e i suoi meriti non eviteranno un’ignobile condanna per omosessualità negli anni ’50. E disgraziatamente per lui, Alan non è la macchina che il suo “imitation game” può creare, un automa calcolatore; il suo spietato rigore matematico e la sua “innocente” inettitudine sociale non lo salvano da un senso morale innato, da una consapevolezza senza speranza, da un’immensa fragilità emotiva e dalla sofferenza della sua condizione, tutte drammaticamente e solo umane. B. Cumberbatch, che interpreta Alan, è capace di esprimere tutto questo e di più: è un Alan perfetto e da solo domina il film. Corretta, forse un po’ di maniera, la regia e la recitazione degli attori di contorno, così come l’ambientazione, tradizionalmente British (anche se il regista è norvegese e la produzione americana) e ricca in tonalità e sfumature: c’è thriller e dramma, c’è il patetico, ma anche ironia e leggerezza. Non tutto è perfetto. Si poteva fare a meno di molti flash back (ah, il fascino del non detto…lasciateci immaginare qualcosa…); alcuni passaggi sono francamente improbabili (la decisione di rivelare o non rivelare la scoperta nell’imminenza di un attacco presa dal gruppo? E guarda caso, proprio il fratello di un collaboratore sul convoglio incriminato? E ci voleva una svagata centralinista per far scoprire ad un genio che la ricorrenza di certi termini obbligati in un contesto prevedibile poteva essere importante?). Con tutto ciò il film resta veramente buono.
[+] lascia un commento a zarar »
[ - ] lascia un commento a zarar »
|