Forse questo film ha sofferto di un'aspettativa non mantenuta, perché di per sé si tratta di una pellicola ben girata, onesta, abbastanza coinvolgente e con una musica ottima a commento delle vicende e delle ambientazioni. E allora, cosa non ha del tutto funzionato? Probabilmente, che la linearità del racconto è troppo prevedibile, che l'orrore dello scarsamente conosciuto genocidio degli armeni tralascia di investigare cause e responsabilità, limitandosi ad incolpare astrattamente la guerra e la malvagità degli uomini, oppure che il regista si trattiene troppo sul versante della visionarietà filmica (un solo, riuscito, episodio di incubo del protagonista, che durante la traversata verso l'America sogna la moglie sanguinante che gli canta la sua canzone preferita). E sicuramente il film soffre anche di una sensazione di già-visto, soprattutto quando insegue il protagonista in viaggio alla ricerca delle due figlie, sole sopravvissute di tutta la sua famiglia. Si sperava di vedere un drammatico western mediorientale, ci si è trovati di fronte ad un semplicistico dramma storico quasi televisivo.
Nel voto intendiamo premiare più le intenzioni che il risultato finale.
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antonio montefalcone
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martedì 21 aprile 2015
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una pellicola interessante, ma non riuscita
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Affresco storico dalla messinscena stilizzata, fin troppo precisa e rigorosa, “The Cut”, racconta il calvario di un padre partito alla ricerca delle due figlie sopravvissute al genocidio armeno di inizio Novecento. Un film doveroso e molto sentito per il regista di origini turche, che mostra nobili intenti e forte sincerità. Però, dall’altra parte, appare anche stanco, oleografico, troppo programmato per emozionare o far riflettere davvero lo spettatore. L’accurato apparato tecnico-stilistico fatica a infondere, ricreare e trasmettere l’anima e il pathos di ciò che lo script narra, dei suoi personaggi, della Storia presa in considerazione. L’opera è inefficace quando deve toccare il cuore più profondo di aspetti, avvenimenti e dinamiche psicologiche fondamentali; risulta eccessivamente simbolica e didascalica, e a tratti posticcia.
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Affresco storico dalla messinscena stilizzata, fin troppo precisa e rigorosa, “The Cut”, racconta il calvario di un padre partito alla ricerca delle due figlie sopravvissute al genocidio armeno di inizio Novecento. Un film doveroso e molto sentito per il regista di origini turche, che mostra nobili intenti e forte sincerità. Però, dall’altra parte, appare anche stanco, oleografico, troppo programmato per emozionare o far riflettere davvero lo spettatore. L’accurato apparato tecnico-stilistico fatica a infondere, ricreare e trasmettere l’anima e il pathos di ciò che lo script narra, dei suoi personaggi, della Storia presa in considerazione. L’opera è inefficace quando deve toccare il cuore più profondo di aspetti, avvenimenti e dinamiche psicologiche fondamentali; risulta eccessivamente simbolica e didascalica, e a tratti posticcia. Dispiace, perché ha alcuni aspetti interessanti, ma, nel complesso, è privo di forza ed emozioni.
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anna maria negri
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martedì 3 novembre 2015
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non vorrei vedere un western mediorientale
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Mi permetto un commento sul commento, senza pretesa di contraddire il giudizio, dato che non ho ancora visto il film, spero tra stasera e domani, passa in due rassegne, come in rassegna avevo visto Il profeta e La sposa turca, bellissimi.Mi stupisce, e un po' mi disturba l'idea che ci si possa aspettare un western mediorientale su un tema enorme e tremendo come quello del genocidio armeno (che fu modello a Hitler per quello ebraico), da un turco di seconda generazione che lo gira in epoca di nuove emigrazioni e fughe da guerre e stermini.Come non ho apprezzato la stereotipata giocosità pseudo-hichcockiana de Il segreto del suo volto, così credo che alcuni debiti storici siano troppo schiaccianti ancora per essere trattati con la disinvoltura a cui l'Italia post-bellica ci ha abituati - se non al costo di una sostanziale falsificazione morale, e inefficacia culturale e artistica (in ambito cinematografico penso al ridanciano Mediterraneo, ad esempio, o all'oleografico ed evasivo Appartamento ad Atene).
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Mi permetto un commento sul commento, senza pretesa di contraddire il giudizio, dato che non ho ancora visto il film, spero tra stasera e domani, passa in due rassegne, come in rassegna avevo visto Il profeta e La sposa turca, bellissimi.Mi stupisce, e un po' mi disturba l'idea che ci si possa aspettare un western mediorientale su un tema enorme e tremendo come quello del genocidio armeno (che fu modello a Hitler per quello ebraico), da un turco di seconda generazione che lo gira in epoca di nuove emigrazioni e fughe da guerre e stermini.Come non ho apprezzato la stereotipata giocosità pseudo-hichcockiana de Il segreto del suo volto, così credo che alcuni debiti storici siano troppo schiaccianti ancora per essere trattati con la disinvoltura a cui l'Italia post-bellica ci ha abituati - se non al costo di una sostanziale falsificazione morale, e inefficacia culturale e artistica (in ambito cinematografico penso al ridanciano Mediterraneo, ad esempio, o all'oleografico ed evasivo Appartamento ad Atene).Dunque spero proprio di non vedere né un western né un road movie perché quello che non è stato ancora elaborato, né tanto meno risarcito, mi parla meglio se resta nel sogno, nell'allucinazione, o nel mito.
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