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Non vi può essere esperienza religiosa senza una profonda empatìa con il creato. Ecco cosa si pensa all'uscita da questo straordinario film diretto da Pema Tseden, regista e scrittore tibetano, morto per problemi cardiaci nel maggio di quest'anno mentre si trovava in una località a 4450 metri di altitudine per seguire le riprese di un film diretto da suo figlio, Jigme Trinle. Questo è il suo penultimo film, e narra la vicenda di un pastore che ha rinchiuso nel recinto delle sue pecore un leopardo delle nevi che, nottetempo, ne ha sgozzate nove. Ora il pastore minaccia di uccidere il leopardo se non verrà risarcito. Contrari alla sua decisione sono invece il vecchio padre (rappresentante dei valori tradizionali della cultura tibetana) e il fratello minore, un giovane monaco, che offrono quanto hanno di più caro (il padre tutti i soldi messi da parte per un pellegrinaggio a Lhasa col figlio monaco, quest'ultimo la sua preziosa macchina fotografica, con la quale ama fotografare gli animali, e in una scena di sogno la sua stessa vita) per la salvezza dell'animale. Arrivano infine anche le autorità a ribadire che l'animale deve essere liberato perché protetto dalla legge. Il film, per l'intensità emotiva e per la profonda spiritualità, si segnala come il miglior lungometraggio visto a questa 80. Mostra del cinema di Venezia. Bellissime anche le due scene di sogno del giovane monaco, girate in uno splendido bianco e nero, dove il rapporto fra uomo e animale si fa talmente profondo da permetterci di scorgere il Creatore dietro le sue creature, quando (come in questo caso) le vite dell'uomo e dell'animale riescono a compenetrarsi con una tale sublime armonia. Imperdibile.
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