galvanor
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martedì 14 aprile 2015
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il genocidio armeno: una ferita aperta
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Lino Lavorgna
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“Un film puro, epico, di grande intensità e bellezza, come non se ne fanno più”. Parola di Martin Scorsese. Basterebbe questo a chiudere ogni discorso e correre a vedere il film, ammesso che si riesca a reperire qualche cinema che lo abbia in programmazione. Purtroppo la distribuzione lo penalizza molto. (Visto a Napoli, nell'unico cinema della Campania in cui è disponibile, e non per molto). Nazaret Manoogian è un giovane fabbro di etnia armena, padre di due gemelle, che vive in Anatolia quando al potere salgono i giovani turchi. Siamo nel 1915 e il governo decide di saldare i conti con la minoranza cattolica, perpetrando quello che passerà alla storia come il primo genocidio del ventesimo secolo.
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Lino Lavorgna
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“Un film puro, epico, di grande intensità e bellezza, come non se ne fanno più”. Parola di Martin Scorsese. Basterebbe questo a chiudere ogni discorso e correre a vedere il film, ammesso che si riesca a reperire qualche cinema che lo abbia in programmazione. Purtroppo la distribuzione lo penalizza molto. (Visto a Napoli, nell'unico cinema della Campania in cui è disponibile, e non per molto). Nazaret Manoogian è un giovane fabbro di etnia armena, padre di due gemelle, che vive in Anatolia quando al potere salgono i giovani turchi. Siamo nel 1915 e il governo decide di saldare i conti con la minoranza cattolica, perpetrando quello che passerà alla storia come il primo genocidio del ventesimo secolo. Strappato alla famiglia, Nazaret scampa miracolosamente al “taglio della gola”, grazie alla “compassione” del carnefice, che non affonda la lama. Resterà muto per sempre, ma almeno è vivo, a differenza dei suoi compagni di sventura. Dopo un anno di peregrinazioni, il fabbro apprende casualmente che le figlie sono ancora vive e inizia un periglioso “viaggio” per ritrovarle: Libano, Cuba, Stati Uniti, fino alle desolate, aride e fredde praterie del North Dakota. Saranno ancora vive? “The Cut”, lo si intuisce scena dopo scena, è pregno di elementi simbolici di grande valenza. Nulla è lasciato al caso e tutto è incentrato sulla caducità della vita, che consente tanto le azioni più efferate quanto i gesti più nobili. E’ fortunato, Nazaret, nell’imbattersi in un turco buono, che gli salva la vita. E’ fortunato, il bimbo turco, al termine della prima guerra mondiale: ad Aleppo i turchi sono cacciati sotto il lancio dei sassi, ma Nazaret resta con il braccio teso, incrociando lo sguardo impaurito del bimbo. Non ha colpa, lui, dei massacri compiuti dagli adulti e quel gesto pietoso forse gli cambia la vita. Ecco, quindi, il tema del “perdono”, della “compassione” e della “colpa” fusi in pochi secondi, in una scena stupenda. Il “diavolo” che mina le coscienze è sconfitto. Il dilemma della morte come liberazione è affrontato nell’incontro con la cognata, in un campo che accoglie migliaia di armeni in fin di vita. La donna chiede di essere “liberata dalle sofferenze” e Nazaret obbedisce, strangolandola. Immediate, saltano alla mente le scene strazianti dei campi di concentramento nazisti. Akin padroneggia la cinepresa con rara maestria. I campi lunghi, tipici di molti film dedicati al genocidio armeno, qui si dilatano oltre il possibile. A tratti si percepiscono espliciti riferimenti a Elia Kazan, Sergio Leone e Bernardo Bertolucci, ma è sempre la pregnante personalità artistica di Kazin che domina le scene, impreziosite dalla stupenda bellezza di Tahar Rahim e dal suo indiscusso talento, che si manifesta in modo ancor più pregnante proprio perché resta muto per quasi tutto il film. Impeccabile la fotografia, che alterna i colori dei vari luoghi rendendoli percepibili esattamente come ci appaiono nella nostra mente; di grande spessore la colonna sonora, di Alexander Hacke, che riesce a imprimere il giusto pathos, sena strafare.
Un autentico capolavoro, quindi, che ci auguriamo possa beneficiare di un ripensamento sulla distribuzione, anche alla luce della crescente attenzione sul genocidio, scaturita dalle parole del Papa durante la messa del 12 aprile, celebrata secondo il rito armeno.
Il film è dedicato al giornalista Hrant Dink, ucciso nel 2007 da un nazionalista turco per aver cercato di raccontare il genocidio del suo popolo.
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alexander 1986
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domenica 28 giugno 2015
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ulisse armeno
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Mardin (Turchia), prima guerra mondiale. L'impero ottomano è ormai sull'orlo della catastrofe bellica e in ragion di ciò attua una coscrizione obbligatoria fra le minoranze etniche. L'armeno Nazaret è così costretto a lasciare moglie e le due figlie gemelle per combattere una guerra non sua. Sopravvissuto per miracolo e privato della voce da una ferita alla gola, dovrà far ritorno dai suoi cari. Ma, nel caos del suo mondo in rovina, la sua odissea sarà più complicata del previsto.
Quello del tedesco di origine turca Akin avrebbe potuto essere un film importante, una sorta di poema omerico in salsa armena. Si limita a essere un gran polpettone sentimentale, in cui il protagonista è sfortunato peggio di Fantozzi ma alla fine ce la fa, i buoni sono belli e i cattivi brutti.
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Mardin (Turchia), prima guerra mondiale. L'impero ottomano è ormai sull'orlo della catastrofe bellica e in ragion di ciò attua una coscrizione obbligatoria fra le minoranze etniche. L'armeno Nazaret è così costretto a lasciare moglie e le due figlie gemelle per combattere una guerra non sua. Sopravvissuto per miracolo e privato della voce da una ferita alla gola, dovrà far ritorno dai suoi cari. Ma, nel caos del suo mondo in rovina, la sua odissea sarà più complicata del previsto.
Quello del tedesco di origine turca Akin avrebbe potuto essere un film importante, una sorta di poema omerico in salsa armena. Si limita a essere un gran polpettone sentimentale, in cui il protagonista è sfortunato peggio di Fantozzi ma alla fine ce la fa, i buoni sono belli e i cattivi brutti. Con tanto di finale lieto, almeno per metà. Evidente anche l'intento politico: le persecuzioni ai danni degli armeni vengono raccontate sì, ma stando attenti a distinguere tra i turchi persecutori e i turchi benevoli. Ci salviamo in calcio d'angolo.
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filippo catani
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mercoledì 27 aprile 2016
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la terribile pagina del genocidio armeno
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Impero Ottomano 1915. Un fabbro armeno vive tranquillamente la propria vita con moglie e figlie. Chiamato alle armi e poi scampato miracolosamente al genocidio, pur riportandone la lesione delle corse vocali, l'uomo si metterà alla ricerca delle proprie figlie anch'esse scampate al massacro.
Un regista turco Akin che legge con coraggio una delle pagine più brutte e nere della storia del suo paese mettendo in scena un dramma carico di dolore e attraversato da un protagonista muto e dalla canzone cantata dalla moglie. La pellicola mostra senza pudore alcuno le sofferenze patite dalla popolazione armena che aveva fino ad allora vissuto all'interno dell'Impero.
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Impero Ottomano 1915. Un fabbro armeno vive tranquillamente la propria vita con moglie e figlie. Chiamato alle armi e poi scampato miracolosamente al genocidio, pur riportandone la lesione delle corse vocali, l'uomo si metterà alla ricerca delle proprie figlie anch'esse scampate al massacro.
Un regista turco Akin che legge con coraggio una delle pagine più brutte e nere della storia del suo paese mettendo in scena un dramma carico di dolore e attraversato da un protagonista muto e dalla canzone cantata dalla moglie. La pellicola mostra senza pudore alcuno le sofferenze patite dalla popolazione armena che aveva fino ad allora vissuto all'interno dell'Impero. Quindi poi si svolta e si passa al racconto di un padre che pur privato delle corde vocali non esita a cercare disperatamente le proprie figlie fino addirittura in Nord Dakota dove la storia avrà il suo epilogo. Bellissima la fotografia che illustra alla perfezione i luoghi in cui si svolge la pellicola: dal deserto siriano al mare libanese per passare alle palme di Cuba e alla neve di Minneapolis. Un film drammatico e struggente ma davvero molto efficace.
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flyanto
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giovedì 23 aprile 2015
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il lungo peregrinare di un uomo alla ricerca delle
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"Il Padre" narra il lungo peregrinare alla ricerca delle due proprie figlie gemelle che, appunto, un padre armeno fa nel corso degli anni, attraversando non solo i vasti territori della Turchia e dell'Anatolia, ma anche l'Oceano al fine di raggiungere, prima l'isola di Cuba e, poi, il Minnesota nell'America del Nord. Arruolato anni prima, e precisamente al tempo del Primo Conflitto Mondiale, forzatamente nell'esercito, il protagonista è costretto a lasciare per anni la propria casa e la propria famiglia di cui la moglie verrà trucidata come molti altri appartenenti alla popolazione armena e le due figlie verranno accolte prima, per un certo periodo di tempo, in un collegio e da qui, una volta cresciute, fatte poi espatriare nel Nuovo Continente.
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"Il Padre" narra il lungo peregrinare alla ricerca delle due proprie figlie gemelle che, appunto, un padre armeno fa nel corso degli anni, attraversando non solo i vasti territori della Turchia e dell'Anatolia, ma anche l'Oceano al fine di raggiungere, prima l'isola di Cuba e, poi, il Minnesota nell'America del Nord. Arruolato anni prima, e precisamente al tempo del Primo Conflitto Mondiale, forzatamente nell'esercito, il protagonista è costretto a lasciare per anni la propria casa e la propria famiglia di cui la moglie verrà trucidata come molti altri appartenenti alla popolazione armena e le due figlie verranno accolte prima, per un certo periodo di tempo, in un collegio e da qui, una volta cresciute, fatte poi espatriare nel Nuovo Continente. Solo dopo molti anni codesto padre, invecchiato ed ormai sfinito e sfibrato nel fisico dalla guerra e dalle lunghe sofferenze, riuscirà finalmente a ricongiungersi negli Stati Uniti con l'unica figlia rimasta ancora invita.
Quest'ultima fatica del regista turco Fatih Akin è stata voluta e concepita appositamente da lui al fine di parlare di una questione a lui molto cara e sentita e, cioè, lo sterminio del popolo armeno durante la Prima Guerra Mondiale di cui proprio quest'anno si celebra il centenario. Sicuramente le intenzioni iniziali del regista erano buone, ma la riuscita della sua pellicola, purtroppo, non molto in quanto, pur volendo essere una rappresentazione storica in cui raccontare e mostrare al pubblico le sofferenze e le crudeltà subite da un popolo, il film in realtà racconta principalmente la storia personale (e pure eccessivamente lunga) di un individuo collocato in un determinato e particolare contesto temporale. Cosicché l 'opera risulta assai lenta e troppo ed inutilmente minuziosa, nonchè noiosa, in svariate parti, venendo così a svilire notevolmente l'intento originario e l'opera in generale di Akin. Insomma, quello che più si nota ne "Il Padre" è, a mio parere, la mancanza totale da parte del regista di affrontare e soprattutto portare avanti un discorso esclusivamente o, particolarmente, storico, in cui i reali fatti siano raccontati e presentati in maniera ben approfondita e dettagliata, ed ideando invece una vicenda assai banale e, purtroppo, molto distante da quelle molto più originali e sublimi dei suoi precedenti lavori come, ad esempio, "La Sposa Turca" o "Ai Confini del Paradiso".
E nemmeno l'ottimo attore Tahar Rahim, già visto e molto ammirato ne "Il Profeta", riesce a sollevare un poco il valore di questa pellicola consegnando un'interpretazione, sì egregia, ma nulla di più.
Un vero peccato per questa occasione sprecata.
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peer gynt
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domenica 31 agosto 2014
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epica linearità senza momenti entusiasmanti
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Forse questo film ha sofferto di un'aspettativa non mantenuta, perché di per sé si tratta di una pellicola ben girata, onesta, abbastanza coinvolgente e con una musica ottima a commento delle vicende e delle ambientazioni. E allora, cosa non ha del tutto funzionato? Probabilmente, che la linearità del racconto è troppo prevedibile, che l'orrore dello scarsamente conosciuto genocidio degli armeni tralascia di investigare cause e responsabilità, limitandosi ad incolpare astrattamente la guerra e la malvagità degli uomini, oppure che il regista si trattiene troppo sul versante della visionarietà filmica (un solo, riuscito, episodio di incubo del protagonista, che durante la traversata verso l'America sogna la moglie sanguinante che gli canta la sua canzone preferita).
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Forse questo film ha sofferto di un'aspettativa non mantenuta, perché di per sé si tratta di una pellicola ben girata, onesta, abbastanza coinvolgente e con una musica ottima a commento delle vicende e delle ambientazioni. E allora, cosa non ha del tutto funzionato? Probabilmente, che la linearità del racconto è troppo prevedibile, che l'orrore dello scarsamente conosciuto genocidio degli armeni tralascia di investigare cause e responsabilità, limitandosi ad incolpare astrattamente la guerra e la malvagità degli uomini, oppure che il regista si trattiene troppo sul versante della visionarietà filmica (un solo, riuscito, episodio di incubo del protagonista, che durante la traversata verso l'America sogna la moglie sanguinante che gli canta la sua canzone preferita). E sicuramente il film soffre anche di una sensazione di già-visto, soprattutto quando insegue il protagonista in viaggio alla ricerca delle due figlie, sole sopravvissute di tutta la sua famiglia. Si sperava di vedere un drammatico western mediorientale, ci si è trovati di fronte ad un semplicistico dramma storico quasi televisivo.
Nel voto intendiamo premiare più le intenzioni che il risultato finale.
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[+] una pellicola interessante, ma non riuscita
(di antonio montefalcone)
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[+] non vorrei vedere un western mediorientale
(di anna maria negri)
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