Come pietra paziente |
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Un film di Atiq Rahimi.
Con Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan, Massi Mrowat, Hassina Burgan
Titolo originale Syngué Sabour.
Drammatico,
durata 103 min.
- Francia, Germania, Afghanistan 2012.
- Parthénos
uscita giovedì 28 marzo 2013.
MYMONETRO
Come pietra paziente
valutazione media:
3,43
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Parola corpo e identitàdi AbelaFeedback: 205 | altri commenti e recensioni di Abela |
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venerdì 5 aprile 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Come pietra paziente di Atiq Rahimi è un film bellissimo, asciutto e duro: la storia della liberazione di una donna dalla gabbia di un sistema oppressivo e offensivo della dignità femminile, mutilante - prima ancora che il corpo - l'anima. L'auto-liberazione attraverso la parola di una moglie che si scontra con il silenzio di un marito tanto anaffettivo quanto smisurato nella rabbia possessiva, al punto da risvegliarsi dal coma. La parola e il desiderio che si precisa e che via via si carica e spoglia di una giovane donna a contatto con il balbettante e dirompente desiderio di un giovane combattente inesperto d'amore. Un'inesperienza che li accomuna: perchè a entrambi manca, a livelli poi non così differenti, la gioia della pienezza erotica. Ora forse finalmente raggiunta. La parola, il corpo, l'identità, il definirsi per la donna di un sè sempre più autonomo di fronte a uno scenario di guerra e violenza, tragedia e follia, solitudine e abbandono. Di fronte alle proprie paure e insicurezze che esplodono ogni volta insieme alle bombe. Esplodono anche nel senso che - come la pietra paziente - si frantumano per svelare il "dovercela fare". Non venendo meno all'obbligo o alla stessa esigenza etica di assistenza al marito. Ma che diventano via via esigenza di affermazione esistenziale della propria alterità che non vuole più essere negata o negarsi. Velarsi. Quando già ci sono i veli imposti dalle prescrizioni. Pare una sorta di Antigone: io sono stata generata per amare. Qui un ruolo quasi socratico e di avvio alla liberazione viene giocato dalla zia: con la prostituzione come mezzo per schernire e schermirsi dal maschile. Mezzo non solo di difesa. Ma di scoperta di sè per la nipote. E dalla sofferenza, dalla vergogna iniziale si arriva alla consapevolezza dei propri bisogni, alla fotografia di una realtà passata e presente che perde via via la condanna e che chiarifica. E allora la cannuccia della flebo ripetutamente sistemata nella bocca muta del marito può convivere con il coltello che si userà per far tacere definitivamente - a tutela della propria vita - quel suo silenzio monologico, totalizzante e brutale. Il sorriso finale è l'inizio di una nuova fase: più che profetica, di riscatto. Anche dallo stesso giudizio automortificante e autopunente cui la donna può essere indotta da tutta una società.
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