Come pietra paziente |
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Un film di Atiq Rahimi.
Con Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan, Massi Mrowat, Hassina Burgan
Titolo originale Syngué Sabour.
Drammatico,
durata 103 min.
- Francia, Germania, Afghanistan 2012.
- Parthénos
uscita giovedì 28 marzo 2013.
MYMONETRO
Come pietra paziente
valutazione media:
3,43
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La prigionia del corpo e dell'animadi donni romaniFeedback: 23283 | altri commenti e recensioni di donni romani |
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domenica 31 marzo 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La pietra paziente, narra la leggenda è una pietra magica cui confidare le proprie sofferenze e i propri segreti: lei li assorbirà e un giorno si frantumerà, liberandoti da tutta la pena e il dolore. E sulla base di questa potente metafora Atiq Rahimi costruisce un magnifico film simbolico, introspettivo, dolente, eppure calato nella realtà più cruda senza che questo intacchi minimamente lo stream of consciousness della protagonista. La storia si svolge a Kabul, con i bombardamenti che distruggono case e speranze, con il futuro che si sbriciola come le mura di quella che una volta era la città. In una di queste case si trova una famiglia lacerata: il marito, ex eroe di guerra è stato ferito durante una lite con un compagno e giace in coma, la giovane moglie lo accudisce come può, alimentandolo con una flebo fatta da lei con acqua sale e zucchero perchè non ha soldi per comprare le medicine. Corre per la città in cerca di aiuto per sè e per le due bambine piccole, finchè finalmente trova una zia cui affidare le figlie mentre lei ritorna ogni giorno a lavare ed accudire quel corpo inerme. Nelle lunghe ore silenziose c'è solo la disperazione a farle compagnia, l'eco dei combattimenti e la sensazione che tutto stia per finire. E così inizia a parlare a quel marito che ha sposato mentre lui era al fronte, che ha conosciuto pochissimo ed amato ancora meno perchè sempre brusco, sempre disinteressato ai suoi bisogni, sempre violento. Inizia così il racconto di una vita fatta di privazioni, violenze fisiche e psicologiche, dal padre prima, dalla suocera poi che la incolpava di essere sterile, e inizia la presa di coscienza che quella vita è stata un sacrificio, un'umiliazione, un giogo, e che la felicità non le è mai stata concessa. Quel marito inerme diventa così la sua pietra paziente, cui confidare la sua rabbia, il suo rancore, il dolore e la frustrazione, la paura del futuro e la voglia di abbandonarlo al suo destino. L'incontro con un giovane soldato balbuziente che per un equivoco la crede una prostituta le concederà quella tenerezza che non ha mai avuto in dieci anni di matrimonio e il confronto finale con il marito ha il sapore di una liberazione assoluta, di una catarsi fisica e morale. Scene perfette, in equilibrio sobrio ed emozionante fra dramma reale e dramma interiore, primi piani intensi sul bellissimo viso di Golshifteh Farahani che esprimono tutto lo strazio di chi vive rinchiuso in una prigione fatta di burqua, di silenzi e di solitudine e la scelta d mantenere quasi sempre la scena in quella stanza bombardata, nuda e disadorna, dove un corpo giace nella prigionia del coma e un altro tenta di liberarsi dalla prigionia della cultura in cui è costretta a vivere è un confronto potente e indimenticabile.
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