angelo umana
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martedì 9 aprile 2013
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la condizione femminile
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Apparentemente un film di guerra in Afghanistan, di bombe troppo grosse e tuonanti per essere intelligenti, di violenze dei militari e dei talebani che penetrano arroganti nelle case (e che violentano le vergini, non le prostitute): tutto sconvolge la vita misera di una città arrampicata in modo insicuro sulle montagne, gli atti quotidiani di piccola gente che diventano impossibili a farsi, vite precarie come di formiche. In realtà è un film sulla condizione femminile in quei luoghi, una denuncia netta di come la donna è tenuta in subalternità, dello scrittore e regista Atiq Rahimi, 50enne afgano, e della protagonista Golshifteh Farahani, affascinante attrice iraniana, entrambi esiliati a Parigi.
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Apparentemente un film di guerra in Afghanistan, di bombe troppo grosse e tuonanti per essere intelligenti, di violenze dei militari e dei talebani che penetrano arroganti nelle case (e che violentano le vergini, non le prostitute): tutto sconvolge la vita misera di una città arrampicata in modo insicuro sulle montagne, gli atti quotidiani di piccola gente che diventano impossibili a farsi, vite precarie come di formiche. In realtà è un film sulla condizione femminile in quei luoghi, una denuncia netta di come la donna è tenuta in subalternità, dello scrittore e regista Atiq Rahimi, 50enne afgano, e della protagonista Golshifteh Farahani, affascinante attrice iraniana, entrambi esiliati a Parigi. In “Viaggio a Kandahar” era detto che le donne afgane sperano un giorno di venir guardate dagli uomini, dato che possono uscire solo coperte dal burqa, in “Come pietra paziente” è mostrato un altro aspetto dei rapporti tra uomo e donna: esse non possono parlare liberamente col proprio marito, non vengono ascoltate nemmeno dai padri, le loro opinioni non vengono tenute in conto. Oggetti da proteggere o sopraffare, a seconda delle voglie maschili, o da evitare perfino per la preghiera col mullah, nei giorni del ciclo.
E’ ciò che è avvenuto a questa moglie nei due-tre anni complessivi vissuti accanto al marito, sui dieci totali da quando diciassettenne gli andò in sposa; “sposata con te senza di te” dice, accanto alla sposa vi era solo la foto di lui. Lui è un eroe e come per tutti gli eroi sono importanti ”anima e onore”, solo nelle pause delle sue missioni si concedeva alla famiglia, in questi “riposi del guerriero” si avventava sulla consorte e così - pare - sono nate le due bambine della coppia. Ma, come dice alla protagonista sua zia, profonda conoscitrice di uomini, “chi non sa fare l’amore fa la guerra”. Questo marito è in stato di coma, con una pallottola nel collo, respira ma è del tutto incosciente. La moglie se ne prende cura e gli parla, continuamente, quello che sembra un racconto di sé fatto allo spettatore diventa un fiume di parole che questa può finalmente dire al marito, lui diventa la sua “pietra paziente” che la solleverà dai pesi che ha dentro, che sono le oppressioni sopportate dalle donne. Gli parla in tranquillità di come furono concepite le bambine, dell’amore e dei rapporti che ha proprio davanti al marito incosciente con un soldato talebano, un ragazzo timido e balbettante.
La denuncia del regista diventa qualcosa a metà tra grottesco e ironico quando l’uomo, dopo tante cure, si risveglia mentre sente i segreti che lo feriscono nell’onore, quel poco di energia estrema lo avrebbe usato per punire, non per cambiare. Dello stesso autore il libro e il film, di grande valore.
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[+] cartolina per l'occidentalismo egocentrico e cieco
(di misesjunior)
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donni romani
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domenica 31 marzo 2013
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la prigionia del corpo e dell'anima
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La pietra paziente, narra la leggenda è una pietra magica cui confidare le proprie sofferenze e i propri segreti: lei li assorbirà e un giorno si frantumerà, liberandoti da tutta la pena e il dolore. E sulla base di questa potente metafora Atiq Rahimi costruisce un magnifico film simbolico, introspettivo, dolente, eppure calato nella realtà più cruda senza che questo intacchi minimamente lo stream of consciousness della protagonista. La storia si svolge a Kabul, con i bombardamenti che distruggono case e speranze, con il futuro che si sbriciola come le mura di quella che una volta era la città.
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La pietra paziente, narra la leggenda è una pietra magica cui confidare le proprie sofferenze e i propri segreti: lei li assorbirà e un giorno si frantumerà, liberandoti da tutta la pena e il dolore. E sulla base di questa potente metafora Atiq Rahimi costruisce un magnifico film simbolico, introspettivo, dolente, eppure calato nella realtà più cruda senza che questo intacchi minimamente lo stream of consciousness della protagonista. La storia si svolge a Kabul, con i bombardamenti che distruggono case e speranze, con il futuro che si sbriciola come le mura di quella che una volta era la città. In una di queste case si trova una famiglia lacerata: il marito, ex eroe di guerra è stato ferito durante una lite con un compagno e giace in coma, la giovane moglie lo accudisce come può, alimentandolo con una flebo fatta da lei con acqua sale e zucchero perchè non ha soldi per comprare le medicine. Corre per la città in cerca di aiuto per sè e per le due bambine piccole, finchè finalmente trova una zia cui affidare le figlie mentre lei ritorna ogni giorno a lavare ed accudire quel corpo inerme. Nelle lunghe ore silenziose c'è solo la disperazione a farle compagnia, l'eco dei combattimenti e la sensazione che tutto stia per finire. E così inizia a parlare a quel marito che ha sposato mentre lui era al fronte, che ha conosciuto pochissimo ed amato ancora meno perchè sempre brusco, sempre disinteressato ai suoi bisogni, sempre violento. Inizia così il racconto di una vita fatta di privazioni, violenze fisiche e psicologiche, dal padre prima, dalla suocera poi che la incolpava di essere sterile, e inizia la presa di coscienza che quella vita è stata un sacrificio, un'umiliazione, un giogo, e che la felicità non le è mai stata concessa. Quel marito inerme diventa così la sua pietra paziente, cui confidare la sua rabbia, il suo rancore, il dolore e la frustrazione, la paura del futuro e la voglia di abbandonarlo al suo destino. L'incontro con un giovane soldato balbuziente che per un equivoco la crede una prostituta le concederà quella tenerezza che non ha mai avuto in dieci anni di matrimonio e il confronto finale con il marito ha il sapore di una liberazione assoluta, di una catarsi fisica e morale. Scene perfette, in equilibrio sobrio ed emozionante fra dramma reale e dramma interiore, primi piani intensi sul bellissimo viso di Golshifteh Farahani che esprimono tutto lo strazio di chi vive rinchiuso in una prigione fatta di burqua, di silenzi e di solitudine e la scelta d mantenere quasi sempre la scena in quella stanza bombardata, nuda e disadorna, dove un corpo giace nella prigionia del coma e un altro tenta di liberarsi dalla prigionia della cultura in cui è costretta a vivere è un confronto potente e indimenticabile.
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abela
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venerdì 5 aprile 2013
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parola corpo e identità
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Come pietra paziente di Atiq Rahimi è un film bellissimo, asciutto e duro: la storia della liberazione di una donna dalla gabbia di un sistema oppressivo e offensivo della dignità femminile, mutilante - prima ancora che il corpo - l'anima. L'auto-liberazione attraverso la parola di una moglie che si scontra con il silenzio di un marito tanto anaffettivo quanto smisurato nella rabbia possessiva, al punto da risvegliarsi dal coma. La parola e il desiderio che si precisa e che via via si carica e spoglia di una giovane donna a contatto con il balbettante e dirompente desiderio di un giovane combattente inesperto d'amore. Un'inesperienza che li accomuna: perchè a entrambi manca, a livelli poi non così differenti, la gioia della pienezza erotica.
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Come pietra paziente di Atiq Rahimi è un film bellissimo, asciutto e duro: la storia della liberazione di una donna dalla gabbia di un sistema oppressivo e offensivo della dignità femminile, mutilante - prima ancora che il corpo - l'anima. L'auto-liberazione attraverso la parola di una moglie che si scontra con il silenzio di un marito tanto anaffettivo quanto smisurato nella rabbia possessiva, al punto da risvegliarsi dal coma. La parola e il desiderio che si precisa e che via via si carica e spoglia di una giovane donna a contatto con il balbettante e dirompente desiderio di un giovane combattente inesperto d'amore. Un'inesperienza che li accomuna: perchè a entrambi manca, a livelli poi non così differenti, la gioia della pienezza erotica. Ora forse finalmente raggiunta.
La parola, il corpo, l'identità, il definirsi per la donna di un sè sempre più autonomo di fronte a uno scenario di guerra e violenza, tragedia e follia, solitudine e abbandono. Di fronte alle proprie paure e insicurezze che esplodono ogni volta insieme alle bombe. Esplodono anche nel senso che - come la pietra paziente - si frantumano per svelare il "dovercela fare". Non venendo meno all'obbligo o alla stessa esigenza etica di assistenza al marito. Ma che diventano via via esigenza di affermazione esistenziale della propria alterità che non vuole più essere negata o negarsi. Velarsi. Quando già ci sono i veli imposti dalle prescrizioni. Pare una sorta di Antigone: io sono stata generata per amare.
Qui un ruolo quasi socratico e di avvio alla liberazione viene giocato dalla zia: con la prostituzione come mezzo per schernire e schermirsi dal maschile. Mezzo non solo di difesa. Ma di scoperta di sè per la nipote. E dalla sofferenza, dalla vergogna iniziale si arriva alla consapevolezza dei propri bisogni, alla fotografia di una realtà passata e presente che perde via via la condanna e che chiarifica. E allora la cannuccia della flebo ripetutamente sistemata nella bocca muta del marito può convivere con il coltello che si userà per far tacere definitivamente - a tutela della propria vita - quel suo silenzio monologico, totalizzante e brutale. Il sorriso finale è l'inizio di una nuova fase: più che profetica, di riscatto. Anche dallo stesso giudizio automortificante e autopunente cui la donna può essere indotta da tutta una società.
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fulvieri
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domenica 7 aprile 2013
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la bellezza del film nel teorema del suo autore
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La bellezza di questo film, che ne costituisce anche il suo limite, consiste nel suo ruotare intorno a una concrezione di teoremi, che risiedono nella mente del suo autore; una società fondata su una moralità troppo rigida postula la compensazione di una deviazione morale, impersonata nel destino di una donna apparentemente succube. La donna finisce per prevalere sull'uomo, apparentemente dominatore, ma questo predominio carsico non è in grado di incidere sul destino immutabile della società afghana. Una giovane donna, in un teatro di guerra, si vede abbandonata di fatto dal marito, che giace privo di sensi a causa di una pallottola conficcata nel collo. L'uomo, da cui dipende la sua dignità di donna, che le consente di avere una onorabilità sociale, conferendole lo stato prima di moglie e poi di madre, ora giace lì ai suoi piedi da oltre due settimane; è la sua vita ora che dipende da lei.
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La bellezza di questo film, che ne costituisce anche il suo limite, consiste nel suo ruotare intorno a una concrezione di teoremi, che risiedono nella mente del suo autore; una società fondata su una moralità troppo rigida postula la compensazione di una deviazione morale, impersonata nel destino di una donna apparentemente succube. La donna finisce per prevalere sull'uomo, apparentemente dominatore, ma questo predominio carsico non è in grado di incidere sul destino immutabile della società afghana. Una giovane donna, in un teatro di guerra, si vede abbandonata di fatto dal marito, che giace privo di sensi a causa di una pallottola conficcata nel collo. L'uomo, da cui dipende la sua dignità di donna, che le consente di avere una onorabilità sociale, conferendole lo stato prima di moglie e poi di madre, ora giace lì ai suoi piedi da oltre due settimane; è la sua vita ora che dipende da lei. Ora si trasforma lui, col passare dei giorni, in un qualcosa di funzionale a lei, in una pietra paziente, che secondo una vecchia credenza può recepire i segreti di colei ai cui piedi è posta. Svelando le proprie confidenze, lei si libera di di un fardello; gli aveva fatto credere in dieci anni di matrimonio di essere stata una moglie fedele e di aver avuto da lui due figlie.
Il film è intenso e la tensione emotiva è crescente, sembra scaturire da una temperie in cui nonostante l'arretratezza sociale o forse proprio per questa si hanno molte più cose da dire.
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pepito1948
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giovedì 11 aprile 2013
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coraggio femminile e magia, armi vincenti
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Un’ imprecisata cittadina dell’Afghanistan, disastrata dai colpi di arma da fuoco e dalla povertà. Un angolo dalle pareti delle case scrostate e crivellate, che insiste su una strada polverosa e solcata da cingoli e carri. Un viavai di gente frettolosa e concitata, in attesa forse rassegnata dell’inevitabile (l’arrivo dei talibani). Una casa modesta in cui una donna è chinata su un uomo dagli occhi aperti ma fissi nel vuoto. Un volto che, nella drammatica attesa, guarda con rispettosa attenzione l’anziano marito in coma, inerte come pietra. Una bocca ancora giovane ed irrequieta, da cui inizia a scorrere un fiume a corrente crescente ed a senso alternato, che scava sempre di più nell’alveo del passato per dare un senso al presente.
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Un’ imprecisata cittadina dell’Afghanistan, disastrata dai colpi di arma da fuoco e dalla povertà. Un angolo dalle pareti delle case scrostate e crivellate, che insiste su una strada polverosa e solcata da cingoli e carri. Un viavai di gente frettolosa e concitata, in attesa forse rassegnata dell’inevitabile (l’arrivo dei talibani). Una casa modesta in cui una donna è chinata su un uomo dagli occhi aperti ma fissi nel vuoto. Un volto che, nella drammatica attesa, guarda con rispettosa attenzione l’anziano marito in coma, inerte come pietra. Una bocca ancora giovane ed irrequieta, da cui inizia a scorrere un fiume a corrente crescente ed a senso alternato, che scava sempre di più nell’alveo del passato per dare un senso al presente. Una voce che, all’inizio suadente e comprensiva come quella di una moglie obbediente e subordinata ai voleri del capo-famiglia, si fa via via più tagliente, più consapevole di quanto sia stretta ed iniqua la prigione di un ruolo eteroimposto. Un’anima, provata da violenze familiari, dalla guerra, dall’indigenza, dall’abbandono, che tenta di superare le contraddizioni tra i vincoli delle “regole” sociali e le pulsioni all’autodeterminazione ed al riscatto da una vita umiliante, attraverso l’utilizzazione di una antica leggenda appresa dalla saggia e spregiudicata zia ex prostituta.
Nella fatidica attesa, tutti fuggono dalla violenza che verrà, dalla mancanza di viveri e medicine, dalle esplosioni che scandiscono i ritmi tragici di un luogo senza scampo. Fatima (nome inventato in mancanza di indicazioni) si trova sola al centro di un moto centrifugo generale, con due bambine da accudire e con un uomo senza coscienza cui assicurare le cure minime. La necessità di assisterlo le offre l’occasione di aprirsi senza essere contraddetta, senza vincoli di ruolo, finalmente padrona di se stessa e di mettere a nudo i propri sentimenti, ansie, sofferenze, frustrazioni, rancori: la pietra magica, identificata con il corpo del marito, assorbe tutto questo, e, una volta satura, secondo la leggenda si frantumerà, liberando per sempre la donna dai pesi del passato. Fatima affronta come può l’impatto della violenza militare, fa la spola tra la sua casa bombardata ed un bunker improvvisato, mette al sicuro le figlie altrove, riprende il filo del racconto al capezzale della pietra umana, rimasta indenne. Scopre la sua femminilità repressa, grazie all’incontro occasionale con qualcuno come lei oggetto di umiliazioni e violenza, che corrobora la sua identità in corso di recupero. Le parole, prima morbide e rispettose, si fanno affilate, le esternazioni diventano confessioni, accuse, fendenti capaci di lacerare e penetrare nell’intimo come lo stiletto che Fatima tiene nascosto sotto i grossi cuscini. Quando infine la pietra si scuote, si avvera la leggenda e frantumazione e liberazione deflagrano, mettendo fine al viaggio nei propri labirinti intasati di Fatima: la pietra ridiventa corpo inerte ed inutile.
Poesia, pittura, immagini magistrali fanno di questo film un capolavoro indimenticabile. Atiq Rahimi, afghano trapiantato a Parigi, porta in scena il suo romanzo omonimo, in cui lo sguardo attento è costantemente incollato sui movimenti e sulla voce esternante della donna, ora calda e trasudante pietas ora gelida come lama tagliente, sulle paure e le ansie vissute o rivissute, sulle fughe ed i ritorni, sul suo coprirsi e denudarsi, come testimonia l’uso intermittente del burqa: Fatima ora Madonna dell’Annunciazione di Antonello, ora corpo libero da vesti e dettami religiosi, ora moglie devota e solidale come insegna il vecchio corano impolverato sopra una mensola ora amante libera di offrire il corpo ai propri sensi ed alle altrui carezze, finalmente timide e morbide. I tocchi pittorici nobilitano un contesto di realtà fatta di rovine, sangue, vetri rotti, boati: la città devastata, ripresa al sorgere del sole da un’altura vicina, diventa un presepe magico che galleggia nella valle; l’immagine frontale della donna accucciata, vicina al corpo arcuato nella nicchia del marito inerte, illuminati nella notte da una lanterna fioca e tremolante richiama certa pittura sulle misere case contadine di fine Ottocento. Splendida nella sua bellezza pura ed espressiva la protagonista Golshifteh Farahani –iraniana dissidente esule a Parigi, attrice e musicista itinerante- capace di dare compiuta credibilità ad un personaggio grande in quanto risultante di una tumultuosa quanto variegata sensibilità umana, gagliarda combattente contro il potere maschilista e religioso, contro cui, sembra dirci Rahimi, solo il coraggio, la caparbietà, la saggezza femminile unite ad un pizzico di magia possono vincere.
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giuliacanova
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martedì 2 aprile 2013
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semplicemente una donna
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In questo bel film la protagonista, una donna afghana, inizia a raccontarsi al capezzale del marito ferito e in stato di incoscienza, e lo fa con una tale delicatezza, in contrasto con gli scenari di guerra che ha intorno, che è impossibile non restare rapiti ad ascoltarla sino all'ultima drammatica sequenza. Ed è a quel punto che la storia si interrompe e non ci dice se quel momento sarà per lei un inizio od una fine. Ma la profezia di cui un giorno le aveva parlato una zia si è avverata, la "pietra paziente" a cui ha svelato il suo animo tormentato dalle umiliazioni e privazioni subite sino ad allora, dalle scelte fatte per non soccombere alle crudeli regole sociali e tenute nascoste persino a se stessa, è andata in frantumi, ed è quella la magia in una terra dove la femminilità è negata.
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In questo bel film la protagonista, una donna afghana, inizia a raccontarsi al capezzale del marito ferito e in stato di incoscienza, e lo fa con una tale delicatezza, in contrasto con gli scenari di guerra che ha intorno, che è impossibile non restare rapiti ad ascoltarla sino all'ultima drammatica sequenza. Ed è a quel punto che la storia si interrompe e non ci dice se quel momento sarà per lei un inizio od una fine. Ma la profezia di cui un giorno le aveva parlato una zia si è avverata, la "pietra paziente" a cui ha svelato il suo animo tormentato dalle umiliazioni e privazioni subite sino ad allora, dalle scelte fatte per non soccombere alle crudeli regole sociali e tenute nascoste persino a se stessa, è andata in frantumi, ed è quella la magia in una terra dove la femminilità è negata. Incontrando finalmente consapevolezza di se stessa e dei suoi desideri si è miracolosamente liberata e ha oltrepassato la soglia del suo velo. Non sappiamo se il suo destino ne terrà o no conto, ma la sua è già una vittoria, così come lo è per tante altre donne in altri luoghi molto lontani da questo, ma con storie che in fondo non sono poi così lontane da questa.
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writer58
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mercoledì 6 maggio 2015
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parole come pietre...
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"Come pietra paziente"(Syngué Sabour) è un magnifico film che ho visto subito dopo la sua uscita un paio di anni fa ed ho colpevolmente trascurato.
Insieme a tante altre opere che mi hanno colpito in questi ultimi anni ("Agora", "Welcome", "Nebraska", "A proposito di Davis","Vogliamo vivere", "Grand Budapest Hotel", per citare alcuni esempi random) rappresenta una specie di "inconscio cinematografico", un caleidoscopio di immagini ed emozioni che non sono riuscito a trasformare in parole. Eppure il film di Rahimi, simile ad acqua che cade pazientemente su una pietra fino a eroderla e cesellarla, si è fatto strada, ha scavato un solco nella memoria, si propone come riflessione sulla condizione umana, là dove questa assume la forma della negazione dell'identità, del rischio di distruzione e morte.
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"Come pietra paziente"(Syngué Sabour) è un magnifico film che ho visto subito dopo la sua uscita un paio di anni fa ed ho colpevolmente trascurato.
Insieme a tante altre opere che mi hanno colpito in questi ultimi anni ("Agora", "Welcome", "Nebraska", "A proposito di Davis","Vogliamo vivere", "Grand Budapest Hotel", per citare alcuni esempi random) rappresenta una specie di "inconscio cinematografico", un caleidoscopio di immagini ed emozioni che non sono riuscito a trasformare in parole. Eppure il film di Rahimi, simile ad acqua che cade pazientemente su una pietra fino a eroderla e cesellarla, si è fatto strada, ha scavato un solco nella memoria, si propone come riflessione sulla condizione umana, là dove questa assume la forma della negazione dell'identità, del rischio di distruzione e morte.
Ci troviamo in un villaggio vicino a Kabul, in Afghanistan, in una zona di guerra, tra bombe che esplodono su case vicine e raffiche di kalashnikov. In una casa miserabile,una giovane donna accudisce suo marito, un mujahidin in coma. Ha dovuto affidare i suoi figli a una parente che gestisce una casa di tolleranza, esce di casa per procurarsi cibo e farmaci a rischio della vita. La donna (interpretata da una eccezionale e splendida Farahani) si è sposata ancora minorenne in assenza del marito,impegnato altrove in combattimenti, davanti alla sua foto e al suo fucile. Ma, adesso che il marito giace incosciente, si sente libera, un po' per volta, di confessare vissuti e segreti che aveva tenuto gelosamente nascosti. Questo processo di progressiva liberazione (simile per certi versi a un insieme di sedute psicoanalitiche) si accompagna alla relazione con un altro uomo, un giovane combattente che la reclama come "preda di guerra" ma che nel rapporto con lei riesce a esprimere tenerezza e non solo possesso.
Il percorso di consapevolezza della donna procede di pari passo con lo svelamento della parola, del discorso, fino alla confessione di un segreto che provoca un'autentica deflagrazione...
"Come pietra paziente" è un lavoro che esplora il rapporto tra "dentro" (l'interiorità della protagonista, il suo corpo che deve essere dissimulato dal burka, la femminilità negata) e il "fuori" (la guerra, il predominio maschile, l'ideologia fondamentalista) in modo sottile, grazie alle parole, alla voce che la protagonista recupera e dipana.
Una voce che diventa connessione di senso e affermazione di una nuova identità in un contesto che attribuisce alle donne valore solo in quanto riproduttrici (di uomini, preferibilmente).
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renato volpone
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giovedì 28 marzo 2013
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un film dove anche il silenzio parla
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Raccogli una pietra, appoggiala davanti ai piedi e raccontale tutti i segreti, lei ti ascolterà paziente. Quando avrai finito la pietra si frantumerà in tanti pezzi e tu sarai finalmente libero da tutte le sofferenze. La protagonista del film ha trovato la sua pietra paziente e le racconta tutti i tormenti, i segreti e le sofferenza. Sono gli stessi di tutte le donne che subiscono violenza e che vengono private della libertà di essere Vive. Chiusa in una casa avvolta dalla polvere e dal fuoco della guerra racconta la sua vita: racconta di quel padre che allevava le quaglie per farle gareggiare e vincere scommesse, di quel padre che ha perso una figlia come posta di una scommessa; racconta di quel marito sposato quando lui non c'era, sempre in guerra, di quel marito che come tutti gli uomini che fanno la guerra quando tornano a casa non sanno fare l'amore; racconta dei fratelli del marito che aspettavano che lui morisse per poter abusare di lei; racconta di come ha concepito e partorito le due piccole figlie.
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Raccogli una pietra, appoggiala davanti ai piedi e raccontale tutti i segreti, lei ti ascolterà paziente. Quando avrai finito la pietra si frantumerà in tanti pezzi e tu sarai finalmente libero da tutte le sofferenze. La protagonista del film ha trovato la sua pietra paziente e le racconta tutti i tormenti, i segreti e le sofferenza. Sono gli stessi di tutte le donne che subiscono violenza e che vengono private della libertà di essere Vive. Chiusa in una casa avvolta dalla polvere e dal fuoco della guerra racconta la sua vita: racconta di quel padre che allevava le quaglie per farle gareggiare e vincere scommesse, di quel padre che ha perso una figlia come posta di una scommessa; racconta di quel marito sposato quando lui non c'era, sempre in guerra, di quel marito che come tutti gli uomini che fanno la guerra quando tornano a casa non sanno fare l'amore; racconta dei fratelli del marito che aspettavano che lui morisse per poter abusare di lei; racconta di come ha concepito e partorito le due piccole figlie. Ma la pietra paziente non è una vera pietra, è il marito stesso in coma con una pallottola nel collo. Il racconto penetra nell'anima come la goccia che cade nel recipiente, si apre come l'immagine nello specchio, si appropria del respiro e sconvolge la realtà spezzandola come la pietra paziente. Una regia straordinaria per questo film che ci porta ancora una volta tra le donne del modo arabo, meravigliose, ci porta in uno scenario di guerra, sanguinario, ci racconta la violenza con la delicatezza di una donna che vede il mono da dietro una tenda dietro un velo, ci racconta di soldati e di morte, ci racconta di amore, devozione e fedeltà. Straordinaria l'interpretazione, la ricostruzione degli interni scarni nella loro quotidianità, le immagini di una Beirut distrutta, le musiche e le parole. Un film grandioso da non perdere, un film che fa pensare molto.
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[+] poetico
(di pablasono)
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(di angelo umana)
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m.barenghi
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sabato 4 maggio 2013
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quanto è bella e sapiente questa pietra paziente
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La "pietra paziente" di Atiq Rahimi -regista di questo splendido film nonché autore dello script da cui è tratto- è un ciottolo al quale, secondo una leggenda locale, le donne afghane confidano tutti i turbamenti che popolano la loro condizione di repressione, isolamento e solitudine, scaricando sul sasso le proprie tensioni fino a quando è la pietra stessa a sbriciolarsi non riuscendo più a sostenere il peso di questi segreti. Ed è proprio come una pietra paziente che una zia, "che sa delle cose della vita", consiglia alla nipote -la più che stupenda protagonista della vicenda- di trattare il marito, giacente da giorni in totale catalessi a seguito di una pistolettata al collo guadagnatasi in modo del tutto gratuito durante una lite con un commilitone.
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La "pietra paziente" di Atiq Rahimi -regista di questo splendido film nonché autore dello script da cui è tratto- è un ciottolo al quale, secondo una leggenda locale, le donne afghane confidano tutti i turbamenti che popolano la loro condizione di repressione, isolamento e solitudine, scaricando sul sasso le proprie tensioni fino a quando è la pietra stessa a sbriciolarsi non riuscendo più a sostenere il peso di questi segreti. Ed è proprio come una pietra paziente che una zia, "che sa delle cose della vita", consiglia alla nipote -la più che stupenda protagonista della vicenda- di trattare il marito, giacente da giorni in totale catalessi a seguito di una pistolettata al collo guadagnatasi in modo del tutto gratuito durante una lite con un commilitone.
La vicenda si svolge quasi interamente in interni (la camera in cui giace l'uomo, teatro delle confessioni della moglie) con fugaci incursioni nei dintorni (il cortile, coabitato con una famiglia di vicini, lo scantinato, dove tutto il rione si rifugia durante i bombardamenti, la casa della spregiudicata zia, ultimo appiglio di salvataggio per la protagonista che le affiderà le due figliole): un impianto scenico dunque sostanzialmente teatrale, reso allo spettatore con grande rigore estetico ed una fotografia sempre strepitosa. Un "kammerspielfilm" all'afghana, che lascia lo spettatore inizialmente sospettoso per il timore che si vada dipanando la solita vicenda privata di calamità ricorrenti ed ineluttabili, così frequenti nel cinema centroasiatico di questi ultimi anni (Vv. anche lo splendido e terribile "Alle cinque della sera"). Invece nella storia entrerà anche un giovane miliziano, con cui la donna intreccerà una relazione a metà strada fra paura, affetto e protezione, e che sarà presente nel momento dello sgretolamento della pietra paziente. Il finale è "aperto", ma si esce con l'anima leggera.
Il film avvince lo spettatore a suon di immagini che troverebbero una degna collocazione in un museo della fotografia o delle belle arti, trascinandolo fino in fondo all'interno di una storia che avrebbe anche potuto essere molto lontana da lui per connotazione culturale o geografica, e che invece gli provocherà forti emozioni, e non solo visive.
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maria f.
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martedì 25 febbraio 2014
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evviva i buoni film!
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Che emozione avere avuto l’opportunità di vedere quest’opera.
Dai dialoghi ma soprattutto dall’intensità dei monologhi della donna afgana si percepisce quanto per il regista l’argomento della condizione femminile sia imprescindibile e imperativo.
La protagonista, donna quasi bambina, sposa un eroe di guerra molto più vecchio di lei, mai conosciuto prima, mai visto, ciononostante le sue attese come tutte le spose sono tali da sperare che il suo uomo riempirà tutta la sua esistenza. Non è così.
La sua vita scorre al fianco di questo padrone in modo invisibile e questa condizione mortificante, umiliante le fa accumulare in dieci anni di vita insieme tanta sofferenza e dolore.
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Che emozione avere avuto l’opportunità di vedere quest’opera.
Dai dialoghi ma soprattutto dall’intensità dei monologhi della donna afgana si percepisce quanto per il regista l’argomento della condizione femminile sia imprescindibile e imperativo.
La protagonista, donna quasi bambina, sposa un eroe di guerra molto più vecchio di lei, mai conosciuto prima, mai visto, ciononostante le sue attese come tutte le spose sono tali da sperare che il suo uomo riempirà tutta la sua esistenza. Non è così.
La sua vita scorre al fianco di questo padrone in modo invisibile e questa condizione mortificante, umiliante le fa accumulare in dieci anni di vita insieme tanta sofferenza e dolore.
Durante la guerra che ha distrutto ogni cosa e li ha affamati, oltre a dover badare alle loro bambine, da buona moglie assiste amorevolmente quel che è rimasto del corpo del suo uomo in coma, riservandogli la sua completa attenzione e approfittando della sua immobilità, si apre finalmente a lui con tanta disinvoltura e audacia cosa che mai e poi mai per nessuna ragione le sarebbe stato consentito.
Lui diventa la sua pietra paziente.
Lo mette a parte dei suoi desideri, delle sue speranze, di come avrebbe voluto fosse stato il loro rapporto, di aver finalmente scoperto quanta felicità si può provare se il sesso è desiderio da ambo le parti di rendere appagato l’amante, e che, lei stessa sta provando queste sensazioni con un giovane che proprio come lei è inesperto a quegli approcci e oggetto di abusi e pertanto bisognoso di amore autentico e generoso.
Manifesta poi al suo uomo morente che un giorno tutto ciò vorrebbe sperimentarlo con lui, e di essere convinta comunque che lui la stia ascoltando. Conclude poi, con rabbia e rammarico che non sarebbe forse mai riuscito ad abbandonare quella sua natura animalesca e brutale.
Gli uomini che non sanno fare l’amore, fanno la guerra.
Questo film ci racconta le condizioni di sottomissione che sono inflitte a una parte di popolazione debole perché senza voce, la medesima condizione di sudditanza la troviamo per estensione anche in occidente e non solo, e in quelle fasce sociali, che sono accomunate per non aver voce, non esistere, essere invisibili.
Eroi ed eroine silenziosi, soldati semplici di guerre non guerreggiate, rappresentati per lo più da donne amate di un amore malato, persone vessate sul lavoro, bambini abusati, migranti trattati come clandestini.
Ringrazio la sensibilità e l’intelligenza del regista e della magnifica attrice che hanno avuto il coraggio di trattare un argomento così difficile e delicato.
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