cicliemercati
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sabato 12 gennaio 2013
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pretenzioso e sconcertante
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Il nuovo film del regista di “Magnolia” (*****1/2″, a mio avviso un film splendido e vicino al capolavoro assoluto) e “Il Petroliere” (****1/2) parla dell’incontro casuale, nel secondo dopoguerra, tra due personaggi, molto diversi da loro ma entrambi psichicamente spostati: un reduce di guerra ( Joaquin Phoenix) e il futuro fondatore di Scientology (Philip Seymour Hoffman). I due, l’uno affetto da una forma maniacale depressiva con ossessioni varie e l’altro spinto (oltre che dall’arrivismo della seconda moglie) da un ego abnorme e da deliri di onnipotenza, danno vita a un percorso di alcuni anni dove il primo si appoggia al secondo e il secondo studia in vitro il primo.
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Il nuovo film del regista di “Magnolia” (*****1/2″, a mio avviso un film splendido e vicino al capolavoro assoluto) e “Il Petroliere” (****1/2) parla dell’incontro casuale, nel secondo dopoguerra, tra due personaggi, molto diversi da loro ma entrambi psichicamente spostati: un reduce di guerra ( Joaquin Phoenix) e il futuro fondatore di Scientology (Philip Seymour Hoffman). I due, l’uno affetto da una forma maniacale depressiva con ossessioni varie e l’altro spinto (oltre che dall’arrivismo della seconda moglie) da un ego abnorme e da deliri di onnipotenza, danno vita a un percorso di alcuni anni dove il primo si appoggia al secondo e il secondo studia in vitro il primo. Detto cosi’ il film potrebbe anche apparire interessante: invece è solo un lungo e frustrante percorso verso il nulla. Ovvio che – trattandosi di Paul Thomas Anderson e di attori di primissimo livello è un “nulla” formalmente perfetto, impeccabile: ma è come un bel vestito vuoto. Non basta far muovere per tutto il film Joaquin Phoenix con una specie di emiparesi facciale e con le movenze di Braccio di Ferro. Non basta l’iconico Philip Seymour Hoffman che canticchia canzoncine idiote (ma perché poi non lasciarle nel film in inglese e mettere i sottotitoli, invece di tentare traduzioni inquietanti e improbabili?). Non basta qualche nudo di gruppo pseudoartistico. Tutto sembra falso, impossibile provare emozioni, impossibile farsi prendere dalla storia: facilissimo farsi prendere dal sonno anche per chi, come me, ama indiscriminatamente tutto il cinema. Ovviamente la mia è solo un’opinione: liberissimi di pensarla diversamente. Il film del resto ha già vinto a Venezia ed è candidato a 3 Oscar, 3 Globes e 4 BAFTA. Quindi è ovvio che sono io a sbagliare, ma mantengo ferma la mia opinione. In due parole il mio parere: pretenzioso e sconcertante.
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dreamers
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lunedì 4 febbraio 2013
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la predica e il deserto
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"Non me ne potrebbe fregare di meno", "Eppure questa storia mi appartiene". Non capita spesso di assistere a un film che ti faccia così ondeggiare tra la più disarmata indifferenza e il più profondo, partecipe interesse. Il fascino di "The master" è un po' quello del suo stesso protagonista: un leader capace di catturare anime come fossero trofei di caccia quanto di respingerle, metterle in fuga, offenderle nella loro fiduciosa attesa. Se il volto del film meno accattivante, se non a volte persino insopportabile, trova espressione in forme storicamente indigeste: troppi dialoghi e poche azioni, vicende biografiche di personaggi remoti, totale assenza di colpi di scena; il suo appeal affiora per vie assai più inusuali, quasi ineffabili.
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"Non me ne potrebbe fregare di meno", "Eppure questa storia mi appartiene". Non capita spesso di assistere a un film che ti faccia così ondeggiare tra la più disarmata indifferenza e il più profondo, partecipe interesse. Il fascino di "The master" è un po' quello del suo stesso protagonista: un leader capace di catturare anime come fossero trofei di caccia quanto di respingerle, metterle in fuga, offenderle nella loro fiduciosa attesa. Se il volto del film meno accattivante, se non a volte persino insopportabile, trova espressione in forme storicamente indigeste: troppi dialoghi e poche azioni, vicende biografiche di personaggi remoti, totale assenza di colpi di scena; il suo appeal affiora per vie assai più inusuali, quasi ineffabili. E' un fascino ancestrale, preonirico, irrazionale quello che qui emerge da una dinamica di coppia non poi così frequente sul grande schermo: allievo/maestro, cavia/studioso, apostolo/predicatore... Sono un po' questi i profili che il film traccia con linee molto sottili eppure precise, nitidissime. Trovarsi sul loro confine è spiazzante e intrigante insieme. Un po' come risvegliarsi improvvisamente nel deserto, guidati da una voce che riempiendo il silenzio ne sottolinea la sua disumana vastità.
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luigi chierico
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venerdì 30 maggio 2014
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magistrale
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Non c’è una storia da raccontare, c’è un film che occorre vedere. Mi riferisco a tutti coloro che vanno al cinema per apprezzare una grande interpretazione, talora sopra le righe, tanto da poterla definire eccezionale. Paul Thomas Anderson, per dirigere e realizzare questo film e questo soggetto, ha messo insieme una formidabile coppia: Joaquin Phoenix ( Freddie Quell) e Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd) da cui non ci si poteva aspettare di meglio. E’ diretto a chi vuole ascoltare dialoghi serratissimi, con parole che vengono fuori come lapilli da un vulcano, valgano per tutte quelle profferite dai due protagonisti messi in 2 celle comunicanti. Tra le accuse ed i silenzi “Sono l’unico a cui piaci ed io ho chiuso con te”.
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Non c’è una storia da raccontare, c’è un film che occorre vedere. Mi riferisco a tutti coloro che vanno al cinema per apprezzare una grande interpretazione, talora sopra le righe, tanto da poterla definire eccezionale. Paul Thomas Anderson, per dirigere e realizzare questo film e questo soggetto, ha messo insieme una formidabile coppia: Joaquin Phoenix ( Freddie Quell) e Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd) da cui non ci si poteva aspettare di meglio. E’ diretto a chi vuole ascoltare dialoghi serratissimi, con parole che vengono fuori come lapilli da un vulcano, valgano per tutte quelle profferite dai due protagonisti messi in 2 celle comunicanti. Tra le accuse ed i silenzi “Sono l’unico a cui piaci ed io ho chiuso con te”. Ci sono brani musicali e momenti di ilarità indescrivibili allorché Lancaster, “scrittore, fisico,medico,filosofo teoretico, ma soprattutto uomo”, intona il “Ramingo” in una scena onirica tra i suoi assistiti, messi al nudo nel corpo dopo che nell’anima e nel proprio IO. È questa la sua psicanalisi,riportare i suoi pazienti al passato da dove sono venuti. Una metempsicosi al rovescio, perché per tornare a stare bene occorre tornare al passato. Questo principio andrebbe adottato da tutto il mondo moderno che sta consumando il progresso nel nulla, nella disoccupazione, nella fame, in una voragine senza ritorno. Estremamente forte la scena che segue mentre la moglie gli dice ”puoi fare quel che vuoi purché io non venga mai a saperlo, e che non lo sappiano coloro che ci conoscono”. Una mistificazione. L’impegno profuso da Lancaster, con metodi e sistemi apparentemente inutili e stravaganti, quanto paradossali, per salvare Joaquin, reduce di guerra fatto a pezzi, preso dall’alcol e dal sesso, a lungo andare, e nel film si vede fissando un punto, torna sereno a casa della sua ex fidanzata che però “ora si chiama Doris Day , come la stella del cinema”. Ha ragione il “filosofo teoretico” allorché dice “Se siamo noi a non aiutare quell’uomo, allora siamo noi che abbiamo fallito”. Da sottolineare alcune parole pronunciate da Lancaster “filosofo” valide per ogni uomo :”Se sai vivere senza un maestro torna indietro, sarai l’unico nella storia”.Il segreto per vivere sta nella voce che è dentro i nostri corpi, l’arte è ascoltarla. Il film si chiude con un canto colmo di amore e tristezza, di dolcezza e poesia…io voglio andare sulla dolce barca in cima… Chi non ha mai desiderato, almeno una volta nella propria vita, prendere una barca per andare lontano,lontano dal proprio “Piccolo mondo antico” fatto di miseria e meschinità? In “Il vecchio e il mare” il barcaiolo ascolta la voce di quel mare che invece Joaquin Phoenix, , vittima di una società che lo ha mandato a combattere un nemico non suo, vede solo arrivargli a qualche metro quando, rimasto ancora con compagna la solitudine, torna a giocare con la sabbia vicino al mare, solo per foggiare immaginarie forme femminili. Pregevole regia di Paul Thomas Anderson , ottima prova per Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman ( che purtroppo non potremo più rivedere), fugaci ma valide presenze di Amy Adams, Laura Dern, Ambyr Childers . 2012 Chigi chibar22@libero.it
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prao.gio
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martedì 8 gennaio 2013
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una forza inarrestabile e un oggetto inamovibile.
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Cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Lo distrugge, si direbbe da finale di The Master, l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, perché quella forza, Freddie Quell (Joaquin Phoenix), ubriaca, folle, imprevedibile, sessualmente ossessionata, era davvero inarrestabile, mentre l’oggetto, Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), non era certo insormontabile. Il film, per ammissione dello stesso regista, è una storia d’amore (platonica e intellettuale) tra due omini complementari: da una parte Freddie, che esercita il potere e la libertà su se stesso oltre la soglia dell’autocontrollo, esprimendo la propria forza in un’esplosione contro la società che lo contiene, ma non lo può comprendere; dall’altra Lancaster Dodd, che trova il proprio potere negli altri, a partire dalle proprie capacità sociali di demagogo, e la propria forza dalla collettività che riesce a controllare grazie a un innegabile carisma.
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Cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Lo distrugge, si direbbe da finale di The Master, l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, perché quella forza, Freddie Quell (Joaquin Phoenix), ubriaca, folle, imprevedibile, sessualmente ossessionata, era davvero inarrestabile, mentre l’oggetto, Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), non era certo insormontabile. Il film, per ammissione dello stesso regista, è una storia d’amore (platonica e intellettuale) tra due omini complementari: da una parte Freddie, che esercita il potere e la libertà su se stesso oltre la soglia dell’autocontrollo, esprimendo la propria forza in un’esplosione contro la società che lo contiene, ma non lo può comprendere; dall’altra Lancaster Dodd, che trova il proprio potere negli altri, a partire dalle proprie capacità sociali di demagogo, e la propria forza dalla collettività che riesce a controllare grazie a un innegabile carisma.
In un facile paragone con il suo film precedente, il petroliere di Daniel Day-Lewis si collocherebbe a metà tra i due personaggi che formano il dittico di The Master, perché lui soggioga col denaro, Dodd con la religione e c’è poi Freddie, che è incontrollabile e perciò riesce a sfuggire ad ogni giogo. I tre personaggi sviluppano un istinto di sopravvivenza sociale che si concretizza in una forma attiva o passiva di dominazione, cioè dominando gli altri o facendo in modo di non essere dominati. Non è un caso poi che, in ultima analisi, Freddie rifiuti il Culto e, vivendo di soli istinti incontrollati e guardando il mondo con occhi contemplativi ma non empatici (come attraverso l’obbiettivo di una macchina fotografica), riesca a liberarsi dalla setta completamente, a differenza di ogni altro individuo che ne rimane assuefatto e controllato. Che un folle sia uno dei pochi che riesca a riemergere all’ipnosi sociale di Dodd è un’esplicita provocazione di Anderson.
La setta poi, letta come metafora dell’architettura del potere, contiene moltissimi adepti, ma lo sguardo si concentra solo sui tre personaggi che ne vivono al di fuori: il Maestro padre, sua moglie (che sembra colei che davvero ne tiene le redini) e il figlio Freddie; tutti ne sfruttano i vantaggi e ne rimangono distanti, quasi come se essi, inizialmente, non credano davvero in ciò che il Culto predica, come se il potere sia tale solo per chi ne è sottomesso, mentre per chi ne ha il controllo è solo un contenitore di anime.
Allora ci viene mostrata la moglie di Lancaster Dodd, Mary Sue (come Maria, cioè la Madre), che, distaccata e risoluta, dà a Freddie della causa persa, poiché non vuole farsi curare, e se ne allontana, quando invece Dodd, che ha ripetuto le proprie elegie abbastanza a lungo per iniziare a crederci e finisce per diventare lui stesso uno dei tanti adepti, tenti un ultimo approccio di riconciliazione, e non in nome della causa, ma per conto solo di se stesso. Freddie però lo abbandona e se ne va.
Si capisce allora come tutta quanta la setta, e il maestro specialmente, non sia altro che un enorme atto masturbatorio, dove (come una scena esplicita) il membro è quello di Dodd, ma le mani sono quelle della moglie, esaurendosi così in un gesto tanto piacevolmente compiaciuto quanto inutile se non riesce a fecondare con un’idea neppure la mente, apparentemente fragile, di Freddie. Scopriamo che il vero antagonista è proprio Mary Sue, mentre Dodd, per cui l’attributo "maestro” sembra ironico al termine della pellicola, è invece l’alleato,l’amico, il fratello, il padre e l’amante deluso, distrutto, incapace, come chiunque altro, di domare Freddie, una forza inarrestabile.
Chi sottolinea la mancanza di una trama robusta ha ragione, ma l’attenzione è sempre alta grazie ad una tensione intellettuale (ed erotica) costante, che diventa una suspense talvolta insopportabile ogni volta che Freddie (interpretato da uno Joaquin Phoenix indimenticabile) è in scena: i suoi occhi mostrano un’energia incatenata ma sempre pronta ad esplodere e lo spettatore trema nel’immaginare dove andrà a finire, come nella straordinaria scena dell’interrogatorio, quando si ha l’impressione di fissare per tre minuti una diga pronta a crollare. Il tutto è poi condito da una regia attenta, una fotografia notevole ed una colonna sonora tanto calzante da diventare indispensabile. The Master non è un film semplice né un film per tutti, ma non potrebbe essere altrimenti.
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(di hernan)
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phileas fogg
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venerdì 8 febbraio 2013
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un film che racconta due persone
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Perchè questo film merita di essere visto? Sicuramente per le ottime interpretazioni dei due protagonisti Philip Seymour Hoffmann e Joaquin Phoenix. In effetti ruota tutto intorno a loro, ai personaggi cui danno vita e al loro controverso rapporto. E si tratta di un film che più che una storia racconta delle persone. Personalmente ho trovato straordinaria l'interpretazione di Joaquin Phoenix, capace di creare, con Freddie un personaggio disperato che cerca, malamente, di sopravvivere nella quotidianità dopo aver abbandonato il trauma e l'eccezionalità della guerra al fronte, cercando di trovare un senso a una vita ordinaria che di senso non ne ha, e riesce a trovarlo, almeno per un periodo, solo quando la sua strada si incrocia con quella del maestro Dodd/Hoffmann.
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Perchè questo film merita di essere visto? Sicuramente per le ottime interpretazioni dei due protagonisti Philip Seymour Hoffmann e Joaquin Phoenix. In effetti ruota tutto intorno a loro, ai personaggi cui danno vita e al loro controverso rapporto. E si tratta di un film che più che una storia racconta delle persone. Personalmente ho trovato straordinaria l'interpretazione di Joaquin Phoenix, capace di creare, con Freddie un personaggio disperato che cerca, malamente, di sopravvivere nella quotidianità dopo aver abbandonato il trauma e l'eccezionalità della guerra al fronte, cercando di trovare un senso a una vita ordinaria che di senso non ne ha, e riesce a trovarlo, almeno per un periodo, solo quando la sua strada si incrocia con quella del maestro Dodd/Hoffmann. Questo personaggio, pensato pare sul modello del fondatore di Scientology, emerge come l'altra faccia della medaglia. Là dove Freddie è un fallito, perchè non riesce a dare un senso alla vita, il Maestro emerge come uno che è riuscito a farcela, attraverso l'elaborazione di una ideologia di vita che da personale è diventata addirittura comunitaria, coinvolgendo la propria famiglia e diffondendosi negli Stati Uniti attraverso stuoli di seguaci. E poco importa, agli occhi del maestro (e qui viene da chiedersi se ci è o ci fa) se questa ideologia di vita si basa su null'altro che le proprie capacità di comunicazione e improvvisazione e sul bisogno della gente di credere in qualcosa.
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piris
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martedì 12 febbraio 2013
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film anomalo
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Un film davvero originale, come soggetto e come svolgimento, con una potenza di immagini rara ma non estetizzante. Come sempre nei film di Anderson, i personaggi sono così forti che consentono grandi interpretazioni ad attori magnicifi.
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pensierocivile
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sabato 9 marzo 2013
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il bisogno di complementarietà
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Più che la descrizione di un rapporto, più che l'analisi fra corrotto e corruttore, a me sembra che THE MASTER racconti essenzialmente la ricerca, il bisogno dell'altro da parte del protagonista che, nella prima parte del film ricorda il tempo in cui questo bisogno si era tramutato "forse" in amore, che poi si ritramuterà in rispetto o fascinazione per il maestro, che poi tornerà ancora una volta a rivestirsi d'amore e ancora ritorno, fino al finale. Chiara dunque la necessità di completamento con l'altro, di complementarietà, chiara la triste coscienza di sè e della propria pochezza. Il film, nella sua glacialità, si snoda in questo rapporto discepolo-maestro con livelli ben distinti, da una parte la possibilità finalmente di evolvere, di emancipare o semplicemente di crescere e diventare altro da ciò che si è stati, dall'altra lo studio di una personalità difficile, complessa, anarchica, ribelle, scontrosa, ma naturalmente fragile e indifesa.
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Più che la descrizione di un rapporto, più che l'analisi fra corrotto e corruttore, a me sembra che THE MASTER racconti essenzialmente la ricerca, il bisogno dell'altro da parte del protagonista che, nella prima parte del film ricorda il tempo in cui questo bisogno si era tramutato "forse" in amore, che poi si ritramuterà in rispetto o fascinazione per il maestro, che poi tornerà ancora una volta a rivestirsi d'amore e ancora ritorno, fino al finale. Chiara dunque la necessità di completamento con l'altro, di complementarietà, chiara la triste coscienza di sè e della propria pochezza. Il film, nella sua glacialità, si snoda in questo rapporto discepolo-maestro con livelli ben distinti, da una parte la possibilità finalmente di evolvere, di emancipare o semplicemente di crescere e diventare altro da ciò che si è stati, dall'altra lo studio di una personalità difficile, complessa, anarchica, ribelle, scontrosa, ma naturalmente fragile e indifesa. Il tutto giocato fra le imponenti interpretazioni di Joaquin Phoenix, tutta fisica e irruente, e di Philip Seymour Hoffman, tutta intellettuale, sottile, vibrante. Amy Adams accompagna i due e la freddezza del costrutto con un personaggio di struttura, rigidissima; Anderson si sottomette lascia il palcoscenico ai due e ammira la loro bravura.
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luca scialo
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domenica 6 giugno 2021
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anderson ci mostra le origini di scientology senza emettere giudizi
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Freddie Quell (Joaquin Phoenix) è un reduce americano della Seconda guerra mondiale. Che come tanti, ha maturato un forte esaurimento nervoso che sfocia spesso in comportamenti violenti o ossessivo-compulsivi. Dopo varie peripezie, finisce per caso sulla nave di Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il quale professa una filosofia di vita che cerca di sfruttare appieno i sensi umani. E di elevarne l'anima oltre la mera vita tangibile. Nel tentativo di salvare Freddie dal suo problema, essendo di fatto diventato un reietto della società, cerca anche di sperimentare le sue idee. E, nel frattempo, sta creando un vero e proprio culto religioso. Che qualcuno bolla come setta. Paul Thomas Anderson scrive e dirige una pellicola che, seppur non ufficialmente, ci mostra le origini di Scientology.
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Freddie Quell (Joaquin Phoenix) è un reduce americano della Seconda guerra mondiale. Che come tanti, ha maturato un forte esaurimento nervoso che sfocia spesso in comportamenti violenti o ossessivo-compulsivi. Dopo varie peripezie, finisce per caso sulla nave di Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il quale professa una filosofia di vita che cerca di sfruttare appieno i sensi umani. E di elevarne l'anima oltre la mera vita tangibile. Nel tentativo di salvare Freddie dal suo problema, essendo di fatto diventato un reietto della società, cerca anche di sperimentare le sue idee. E, nel frattempo, sta creando un vero e proprio culto religioso. Che qualcuno bolla come setta. Paul Thomas Anderson scrive e dirige una pellicola che, seppur non ufficialmente, ci mostra le origini di Scientology. Filosofia di vita che alcuni etichettano come religione, altri come setta. E lo fa dalla prospettiva che sovente troviamo nella sua filmografia: la psiche e l'inconscio. Ottima l'idea di far incontrare il fondatore di Scientology, che nel film ha un altro nome, così come la stessa religione che ha creato non viene mai citata, con un personaggio inventato. Il quale, con la sua follia, inflittagli da un'altra follia umana, la guerra, mette a dura prova i suoi dettami teorici. Creando scetticismo anche tra gli stessi familiari di Dodd. Ma quest'ultimo preferisce perseverare, facendo in modo che Freddie riesca a creare una realtà parallela e a sopravvivere ad un mondo che non lo accetta più. Il regista riesce nel difficile compito di non emettere sentenze su Scientology, né di limitarsi al mero racconto dei fatti. Con personaggi di fantasia, si pone dei quesiti. Anzi, la vera condanna la emette nei confronti di quella società che genera mostri e poi li ripudia. Straordinari, ovviamente, i due protagonisti. Joaquin Phoenix, che sembra quasi anticipare ciò che anni dopo gli riuscirà in The Joker. E il compianto Philip Seymour Hoffman, andatosene via troppo presto.
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diomede917
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sabato 12 gennaio 2013
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the master and the slave....
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Dopo il Leone d’argento per la regia e la doppia coppa Volpi per gli attori che ne ha decretato il vincitore morale dell’ultimo festival di Venezia The master esce in Italia anche forte delle tre nominations per i tre interpreti.
Con The Master Paul Thomas Anderson prosegue ad inserire tasselli per descrivere l’altra faccia o la propria versione dell’America.
La sua America anni ’50, figlia della rinascita dettata dalla seconda guerra mondiale, è una terra irrequieta che cerca di reinserire i propri eroi stressati e segnati dalla violenza di una guerra vissuta in terra lontana.
Tra questi c’è Freddie Quell marinaio di ritorno dal Giappone, un uomo che manifesta la propria fragilità caratteriale con un comportamento quasi primordiale rifugiandosi nell’alcool e vivendo in maniera ossessiva il sesso a causa di una delusione amorosa.
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Dopo il Leone d’argento per la regia e la doppia coppa Volpi per gli attori che ne ha decretato il vincitore morale dell’ultimo festival di Venezia The master esce in Italia anche forte delle tre nominations per i tre interpreti.
Con The Master Paul Thomas Anderson prosegue ad inserire tasselli per descrivere l’altra faccia o la propria versione dell’America.
La sua America anni ’50, figlia della rinascita dettata dalla seconda guerra mondiale, è una terra irrequieta che cerca di reinserire i propri eroi stressati e segnati dalla violenza di una guerra vissuta in terra lontana.
Tra questi c’è Freddie Quell marinaio di ritorno dal Giappone, un uomo che manifesta la propria fragilità caratteriale con un comportamento quasi primordiale rifugiandosi nell’alcool e vivendo in maniera ossessiva il sesso a causa di una delusione amorosa.
Nella sua ricerca di un ruolo all’interno della società americana, passando da fotografo di centri commerciali a raccoglitore di cavoli, si imbatte nella comunità pseudo religiosa di Lancaster Dodd.
Il maestro che da il titolo al film decide che ripulire e reinserire Freddie sia la sua missione e Freddie lo segue in tutto il suo istinto animalesco.
Fugando ogni dubbio l’obiettivo di Anderson non è Scientology, ma quel sistema molto radicato in America fatto di pastori e reverendi che spuntano come funghi facendo nascere movimenti e idee religiose capaci di guarire leucemie mediante ipnotici salti temporali.
Il film si sviluppa e si concentra tutto nell’ambiguo rapporto a due (pastore e pecorella smarrita, padre e figlio, padrone e cane) anche grazie all’apporto di due monumentali attori come Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman che anche grazie la loro fisicità rappresentano le due realtà sociali.
Da una parte abbiamo un Joaquin Phoenix rachitico, piegato quasi su stesso e una faccia lesionata dagli orrori del tempo dall’altra un opulento Philip Seymour Hoffman che raffigura la grandezza e la sicurezza di questo predicatore.
Negli incontri e scontri tra i due c’è tutta la forza del film come si può notare nella scena della prima seduta terapeutica, nel confronto in cella dopo l’arresto o nell’opera di redenzione fatta di passeggiate cieche in un salotto.
Tra di loro si inserisce benissimo Amy Adams la moglie del master, l’unica che crede nei principi e nei valori della Causa ed è capace di tutto pur di difenderli da vedere l’intensità della masturbazione in bagno per credere.
Il punto debole del film però è la mancanza di una certa linearità narrativa, il film regge e vive sui sussulti attoriali dei propri interpreti…..per fare un raffronto di natura calcistica The master è paragonabile a quelle squadre composte da numerosi fuoriclasse che riescono a vincere nonostante non giochino bene.
Per cui The Master risulta una serie di belle immagini quasi scollate fra di loro lasciando un po’ di amaro in bocca…..un po’ lo stesso senso di delusione che ha il protagonista nell’ultimo incontro con il suo mentore.
Voto 6+
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mokujohn
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lunedì 28 settembre 2015
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il cinema che mi fa sentire una persona migliore
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E' questa una delle mie prime sensazioni dopo aver visto un lavoro di questo tipo, privo di arguzia, di spunti, di originalità. Un lavoro anonimo che cerca di reggersi su due volti, su due interpretazioni, perchè, effettivamente, non c'è altro. La trama debole e senza particolare attrattiva è in grado di incuriosire solo per pochi minuti. Una vita quella di Freddie interpretato da Joaquin Phoenix che potrebbe essere raccontata in mille modi ma trova in questo film un'espressione piatta e di scarso interesse, ai limiti della noia. D'altro canto può forse essere compresa la scelta di far procedere la "trama" senza sussulti o scene di particolare rilievo storico nel trattare questa vicenda di libertà illogica, tanto immune da sensi di colpa quanto segnata da traumi indelebili.
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E' questa una delle mie prime sensazioni dopo aver visto un lavoro di questo tipo, privo di arguzia, di spunti, di originalità. Un lavoro anonimo che cerca di reggersi su due volti, su due interpretazioni, perchè, effettivamente, non c'è altro. La trama debole e senza particolare attrattiva è in grado di incuriosire solo per pochi minuti. Una vita quella di Freddie interpretato da Joaquin Phoenix che potrebbe essere raccontata in mille modi ma trova in questo film un'espressione piatta e di scarso interesse, ai limiti della noia. D'altro canto può forse essere compresa la scelta di far procedere la "trama" senza sussulti o scene di particolare rilievo storico nel trattare questa vicenda di libertà illogica, tanto immune da sensi di colpa quanto segnata da traumi indelebili. Molto più difficile è trovare criterio alle piccole, irrilevanti -e per altro senza alcun seguito- scene di violenza e "follia" (scontata per lo spettatore) sparse nel film. Ogni azione decade al passaggio successivo, quasi non lascia memoria, e viene rimpiazzata dalla seguente come le stesse esperienze del protagonista durante l'arco della sua vita. Se in definitiva possiamo dire che questa in scena non è altro che una storia come tante, prive di logica ma non di una propria caparbia dignità, cosa si può dire invece dell'opera che ci gira intorno? Probabilmente che lacia ben poco se non la sensazione di poter fare di meglio.
Occasione sprecata per almeno uno dei talenti recitativi coinvolti.
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