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lolligno69
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giovedì 24 novembre 2011
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assolutamente si.e' il miglior regista italiano.
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This must be the place.
Innanzitutto bisogna puntualizzare che non si tratta di un road movie ma di un percorso di redenzione , un western postmoderno.
La vecchia rockstar (Oscar ?) per alleviare i suoi sensi di colpa(padre e figli/fans) scopre che non gli resta che la via della vendetta.
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This must be the place.
Innanzitutto bisogna puntualizzare che non si tratta di un road movie ma di un percorso di redenzione , un western postmoderno.
La vecchia rockstar (Oscar ?) per alleviare i suoi sensi di colpa(padre e figli/fans) scopre che non gli resta che la via della vendetta. L'inerzia che lo accompagna (trolley) e' in realtà la sua inarrestabile , invincibile forza. Un Forrest Gump ex tossico. Ha smesso tutto ciò che lo faceva vivere ma non e' ancora morto. Crede nei rapporti umani addirittura anche quello tra vittima e carnefice. Uccide e salva contemporaneamente.
I riferimenti cinematografici di fanno più alti (direi Paris,Texas e Zabriskie Point). I dialoghi strepitosi (!).
'Passiamo dall'età in cui diciamo un giorno faro' così a il giorno in cui si dice d'andata così'. Sorrentino dimostra di saper giocare a ping pong nella massima serie.
E' il miglior regista italiano ed e' tempo di ostentarlo.
E' questo doveva essere il Film.
Ps il ragazzino che canta penso sia un Paolino piccolo( assomiglia). Personaggi di contorno indimenticabili.
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geremy100
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mercoledì 23 novembre 2011
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il viaggiatore
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“I am the passenger and I ride and I ride
I am the passenger
I stay under glass
I look through my window so bright”
Iggy Pop - The Passenger
Il testo della canzone di Iggy Pop, a mio parere, rappresenta un condensato dell’ultima opera di Sorrentino e del suo protagonista, più ricco ed intenso di quanto non lo sia, invece, “This must be the place” dei Talking Heads che pur assume un ruolo importante all’interno di esso e che da il titolo al film stesso.
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“I am the passenger and I ride and I ride
I am the passenger
I stay under glass
I look through my window so bright”
Iggy Pop - The Passenger
Il testo della canzone di Iggy Pop, a mio parere, rappresenta un condensato dell’ultima opera di Sorrentino e del suo protagonista, più ricco ed intenso di quanto non lo sia, invece, “This must be the place” dei Talking Heads che pur assume un ruolo importante all’interno di esso e che da il titolo al film stesso.
Cheyenne/ Sean Penn, una rockstar celebre negli anni ’80 è, infatti, un viaggiatore o meglio “The Passenger” (Il viaggiatore), di questa sceneggiatura scritta dallo stesso regista.
Sean Penn ci aveva lasciato, in “The tree of life”, un suo sguardo nel vuoto, perso sui grandissimi palazzi che, mascherandosi con il cielo, ne facevano un tutt’uno.
Qui, invece, lo ritroviamo dentro ad un palazzo ed adesso è lui, invece, a mascherarsi. E’, infatti, lo smalto passato sulle dita del piede, ad essere mostrato in scena, prima dell’attore stesso.
Così ci viene presentato un personaggio, un viaggiatore, che porta, all’interno della sua valigia, una serie di situazioni complicate e noiose (“E’ la noia, non la depressione” gli dirà la moglie a letto) come, ad esempio, il fidanzamento dell’amica del cuore o le “umilianti” sconfitte alla pelota.
Un viaggiatore che vive del suo passato, che “look through my window so bright”, che guarda attraverso una stanza illuminata dalla sua fama. Una fama che aiuta, come fanno le rotelle con la valigia. Che aiuta a sopravvivere economicamente, ma dalla quale è difficile e fondamentale prendere le distanze.
La monotonia e la noia delle giornate di Cheyenne, sono scandite, alla perfezione, dalle smorfie e dai tic dell’attore che, continuamente, continua a tirarsi su il ciuffo sbuffando, che ridacchia in maniera ridicola, che, quando impreca, lo fa sempre con il medesimo termine e che tiene spesso un tono di voce basso, come solo i buoni cantanti sanno fare per preservare al meglio la voce.
Una serie di gesti che si sposano alla perfezione con dei primi piani immobili ed inerti, alternati a degli splendidi movimenti di macchina (durante l’esibizione live, ad esempio) che continuano a cogliere uno Sean Penn avvilito, prostrato e che, comunque, non riesce a far altro che a giocare.
Per far ripartire il tempo, dunque, che evidentemente si è fermato (il trucco è rimasto quello dei vecchi tempi) bisogna affrontare la storia, capire chi era il padre ed affrontare la paura (“Prima o poi nella vita devi scegliere un momento in cui non avere paura” si dirà nel film). Sarà proprio questo viaggio alla ricerca di se stesso, delle proprie origini, che aiuterà Cheyenne a smascherarsi, a far ripartire il tempo che si era fermato. “I viaggiatori mi stanno tremendamente sul cazzo” dirà ad un certo punto Cheyenne, nella traduzione italiana del film; e allora ecco che, nell’ultima scena, “The passenger” scompare e che “Questo deve essere il posto”: uno Sean Penn trasparente, come siamo abituati a vederlo ci appare senza alcuna valigia, senza nessun peso, anche qui a guardare un palazzo. Uno sguardo (quello di Sean) lontano anni luce da quello Malickiano. Lo sguardo perso nel vuoto (The tree of Life) e la maschera (Cheyenne) sono andati via, ed è ora di lasciare spazio ad un sorriso puro e sincero di uno degli attori più grandi degli ultimi anni.
Germano Centorbi
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angelo.pagliacci@gmail.com
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martedì 22 novembre 2011
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una irresistibile cassata ..
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è come una cassata siciliana ricca di sorprese tutte da gustare .. irresistibile la voglia di rivederlo presto !
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rosye
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lunedì 21 novembre 2011
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il problema di questo film è il senso
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Non ho letto alcuna recensione che me lo spieghi. Il finale, per esempio: è lo stesso ex gerarca nazista a punirsi o è costretto dal protagonista? Vuol dire che per crescere occorre andare oltre se stessi? In questo caso sapere perlomeno che è esistito un olocausto? Ma che vendetta è quella su un vecchio stremato? E poi la donna che sorride alla vista di un Sean Penn sbarbato, come rivedesse lo stesso figlio? Troppo intellettualismo. Peccato perchè Sorrentino sa fare cinema ma qui toppa perchè la forma notevole non evoca alcun contenuto che sia pregno di un senso comprensibile. E sfido la signorina Marezia a spiegarmelo.
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layla66
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lunedì 21 novembre 2011
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robert chiedi i danni a sorrentino!
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Avrei voluto il rimborso dei soldi del biglietto, lento troppo lento per i miei gusti, se fossi Robert Smith mi sarei arrabbiato moltissimo per l'uso dell' immagine che ne fa Sean Penn. Sarà che ho qualche anno in più di Sorrentino e il movimento goth/dark l'ho vissuto in prima persona sia in terra italica che otremanica, ma quello che ne esce non è il ritratto di una ex rock star sul viale del tramonto, ma di uno che rock star non è mai stata per mancata capacità mentale. Per quanto riguarda il film vero e proprio, banale l'uso di argomenti come il rapporto padre/figlio, stravisto strausato e analizzato. Il nazismo? Ancora ?.
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Avrei voluto il rimborso dei soldi del biglietto, lento troppo lento per i miei gusti, se fossi Robert Smith mi sarei arrabbiato moltissimo per l'uso dell' immagine che ne fa Sean Penn. Sarà che ho qualche anno in più di Sorrentino e il movimento goth/dark l'ho vissuto in prima persona sia in terra italica che otremanica, ma quello che ne esce non è il ritratto di una ex rock star sul viale del tramonto, ma di uno che rock star non è mai stata per mancata capacità mentale. Per quanto riguarda il film vero e proprio, banale l'uso di argomenti come il rapporto padre/figlio, stravisto strausato e analizzato. Il nazismo? Ancora ?...E basta!!!! Trovate altri argomenti please. Dialoghi, se di dialoghi vogliamo parlare, abbastanza sconclusionati, fotografia gradevole ma sarà che "Il Divo" mi aveva talmente convinto ed affascinato, che le mie aspettative erano sicuramente alte
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w smith
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venerdì 18 novembre 2011
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cheyenne e il viaggio alla ricerca di se stesso
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Nella prima parte del film Cheyenne si muove entro i margini di una vita fatta di appuntamenti (quelli con la sua giovane amica), rituali (la visita settimanale al cimitero dove sono sepolti i due giovani fan), divertimenti (la pelota o il sesso con la moglie) che si ripetono ciclicamente divenendo gli ingranaggi di una monotonia che sfocia nella noia e in una conseguente pseudo-depressione. La prigione dorata della sua villa rappresenta fisicamente lo spazio della tranquillità e della sicurezza di una vita che scorre lineare ma che non ha più la verve di un tempo.
Arriva però il deus ex machina, l'elemento che va a scardinare l'ordine precostituito irrompendo nella ciclicità delle azioni quotidiane di Cheyenne: l'imminente morte del padre che lo condurrà oltreoceano (forte l'analogia con l'ingresso della donna nella monotona vita del protagonista Titta De Girolamo in "Le conseguenze dell'amore" dello stesso Sorrentino).
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Nella prima parte del film Cheyenne si muove entro i margini di una vita fatta di appuntamenti (quelli con la sua giovane amica), rituali (la visita settimanale al cimitero dove sono sepolti i due giovani fan), divertimenti (la pelota o il sesso con la moglie) che si ripetono ciclicamente divenendo gli ingranaggi di una monotonia che sfocia nella noia e in una conseguente pseudo-depressione. La prigione dorata della sua villa rappresenta fisicamente lo spazio della tranquillità e della sicurezza di una vita che scorre lineare ma che non ha più la verve di un tempo.
Arriva però il deus ex machina, l'elemento che va a scardinare l'ordine precostituito irrompendo nella ciclicità delle azioni quotidiane di Cheyenne: l'imminente morte del padre che lo condurrà oltreoceano (forte l'analogia con l'ingresso della donna nella monotona vita del protagonista Titta De Girolamo in "Le conseguenze dell'amore" dello stesso Sorrentino). Cheyenne, seppur facendo fede alle sue proverbiali paure penalizzanti (leggasi talvolta paranoie, come ad esempio quella che lo spingerà a prendere la nave al posto dell'aereo, arrivando troppo tardi sul letto di morte del padre), intraprenderà un nuovo percorso, fatto di spazi sconosciuti e sconfinati, rompendo sine die il legame con l'amata moglie (quasi una seconda mamma per un personaggio che spesso mostra caratteristiche d'immaturità e infantilità) e con i pochi amici. Sceglierà la libertà in luogo della sicurezza, per ridare brio ad una vita stantia, ponendosi come obiettivo quello della caccia al nazista che vessò il padre durante la II guerra mondiale, un obiettivo che sembra più un pretesto per dare il via a questo nuovo viaggio, che consentirà al protagonista di riappacificarsi spiritualmente col padre, ma soprattutto con se stesso, svoltando definitivamente col vecchio personaggio Cheyenne che si trascina dietro un po' come il trolley che porta con se e che abbandonerà nell'ultima scena, quando abbandona il suo caratteristico look.
Magistrale l'interpretazione di Sean Penn, che da sola valorizza l'intero film. Il personaggio Cheyenne è un buono, ha dei valori (altruismo, nell'aiutare il ragazzo triste nel corteggiamento; fedeltà verso la moglie; compassione per alcuni personaggi che incontra; rimorso e coscienza per aver causato indirettamente due morti e riconosce i maggiori meriti del suo collega/amico David Byrne), è una persona immatura e debole ma non per questo finisce per farsi sopraffare dalla vendetta, nonostante abbia acquistato una pistola. L'interpretazione di Sean Penn è perfetta e trasmette al pubblico le emozioni che il personaggio prova.
Ottima la regia di Sorrentino, per la fotografia, per le inquadrature, per il personaggio protagonista ideato, anche se sembra un po' forzata la presenza del tema dell'olocausto, mentre con la scelta del road movie ambientato negli States con protagonista la stella del cinema statunitense strizza l'occhio verso gli USA. E si nota.
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[+] bravo
(di weach )
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johnny veritas
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venerdì 18 novembre 2011
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genio e sregolatezza
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Cheyenne sta per intraprendere una ricerca. Un viaggio che sa di insolito quasi quanto il suo nome e quel suo aspetto bizzarro fatto di fondotinta, trucco pesante e capelli laccati. Quell'aspetto che solo un artista, una ex rock star troppo immersa nel suo glorioso passato e forse troppo pavida per affrontare il presente, può permettersi. La ricerca non è niente di più semplice che scovare un criminale nazista colpevole di aver umiliato il padre ad Auschwitz. É in questo modo che l'italianissimo Paolo Sorrentino decide di mostrarci una vicenda che parte dalla scolorita Dublino e che presto si trasforma in un vero e proprio road movie lungo le multicolori strade americane.
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Cheyenne sta per intraprendere una ricerca. Un viaggio che sa di insolito quasi quanto il suo nome e quel suo aspetto bizzarro fatto di fondotinta, trucco pesante e capelli laccati. Quell'aspetto che solo un artista, una ex rock star troppo immersa nel suo glorioso passato e forse troppo pavida per affrontare il presente, può permettersi. La ricerca non è niente di più semplice che scovare un criminale nazista colpevole di aver umiliato il padre ad Auschwitz. É in questo modo che l'italianissimo Paolo Sorrentino decide di mostrarci una vicenda che parte dalla scolorita Dublino e che presto si trasforma in un vero e proprio road movie lungo le multicolori strade americane. Film tra i favoriti alla corsa per la palma d'oro all'ultimo festival di Cannes, “This must be the place” è sicuramente qualcosa di spiazzante (di insolito, di innovativo), proprio come altre notevolissime pellicole che ci ha presentato negli anni il regista/sceneggiatore partenopeo, dal desolante e commovente “Le conseguenze dell'amore” fino al suo acclamato capolavoro “Il Divo”. Ma qui il personaggio che ci troviamo a seguire per questo viaggio folle eppure così denso di significato non è un triste e solo contabile che lavora per la mafia o un altrettanto solo e cinico capo di stato che con la mafia, del resto, ha un rapporto ben più complesso. Questa sorta di Edward Mani di Forbice uscito dal suo mondo fantastico ci cattura con la sua strana purezza, il suo modo così atipico (ingenuo?) di vedere il mondo, la sua volontà di capire e capirsi e, forse, di cambiare. É allora un viaggio di formazione, seppur insolito, quello che ci aspetta. Un viaggio che passa senza soluzione di continuità dalla memoria dell'Olocausto a scene di vita quotidiana e surreale, un film dove le singole parti sembrano più pregnanti della storia nel suo insieme. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina e ogni virtuosismo stilistico è studiato alla perfezione per dare un effetto ben preciso, alla maniera in cui Sorrentino ci ha ben abituati e che lo ha reso subito riconoscibile facendo gridare al genio più di una persona. Ma tutto questo sarebbe andato perso senza la favolosa interpretazione di Sean Penn che, se ancora ce ne fosse stato bisogno, si conferma il miglior attore della sua generazione, dando vita a questo personaggio completamente alienato, estremamente ironico che con la sua voce flebile e gentile è pronto a confrontarsi con chiunque gli si pari davanti e con qualunque difficoltà lo separi dal suo obiettivo. A completare il tutto ci pensa poi la colonna sonora curata dal mitico David Byrne (il titolo del film si rifà ad una celebre canzone dei suoi Talkin Heads), che scandisce il ritmo discontinuo di questa avventura e ne riempie i silenzi. Stiamo forse tornando a quell'epoca ormai quasi mitologica in cui grandi autori italiani riuscivano a conquistare un pubblico internazionale con la loro particolare e unica sensibilità? Certo è ancora presto per dirlo, ma questo regista, proprio come la sua creatura scarmigliata, sta indubbiamente (e inevitabilmente) crescendo.
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oddfox
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giovedì 17 novembre 2011
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da vedere
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Un film bellissimo, da vedere assolutamente! Consigliato!
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speedway
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martedì 15 novembre 2011
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robert smith ? no !! sean penn
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Il film, molto particolare. Direi, positivo bello e piacevole, anche se non un capolavoro. Sicuramente non adatto a ragazzini adrenalinici ma piuttosto ad un pubblico adulto tendenzialmente underground e che mastichi un pò di sano rock punk dark. Trovo ottima la Fotografia. Ottimi i messaggi dati, sopratutto quello rappresentato dal poter essere una rock star in pensione, ex eroinomane.
Peccato il doppiaggio in italiano, la voce di Penn: Insentibile, quasi fastidioso.
L'accostamento a Robert Smith dei Cure è lampante, anche se solo per l'immagine.
David Byrne e la sua canzone che mi piace di più. Bellissima riinterpretazione.
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Il film, molto particolare. Direi, positivo bello e piacevole, anche se non un capolavoro. Sicuramente non adatto a ragazzini adrenalinici ma piuttosto ad un pubblico adulto tendenzialmente underground e che mastichi un pò di sano rock punk dark. Trovo ottima la Fotografia. Ottimi i messaggi dati, sopratutto quello rappresentato dal poter essere una rock star in pensione, ex eroinomane.
Peccato il doppiaggio in italiano, la voce di Penn: Insentibile, quasi fastidioso.
L'accostamento a Robert Smith dei Cure è lampante, anche se solo per l'immagine.
David Byrne e la sua canzone che mi piace di più. Bellissima riinterpretazione.
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[+] mastichi sano punk dark?
(di layla66)
[ - ] mastichi sano punk dark?
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rageagainstberlusca
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martedì 15 novembre 2011
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roba da fighetti
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L'ho odiato dal primo all'ultimo secondo. Principalmente perchè avevo troppo amato i precedenti film di Sorrentino. In secondo luogo perchè trattasi di operazione commerciale pietosa con annesse trovate per micraniosi intellettualoidi con contorno di voci fuori campo, inquadrature dall'alto e attore di grido (stiamo parlando di I Am Sam). Enorme buco.
[+] spelling
(di flavia58)
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