Anno | 2007 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 105 minuti |
Regia di | Mia Hansen-Løve |
Attori | Paul Blain, Marie-Christine Friedrich, Victoire Rousseau, Constance Rousseau, Carole Franck Olivia Ross, Alice Langlois, Pascal Bongard, Alice Meiringer, Katrin Daliot, Elena Fischer-Dieskau, Franz Buchrieser. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 28 ottobre 2013
Debutto alla regia di Mia Hansen-Løve, la storia di un rapporto ritrovato tra un padre e una figlia ormai cresciuta.
CONSIGLIATO SÌ
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Vienna, 1995. Victor, francese con ambizioni nel campo della scrittura, vive con la moglie Annette, austriaca, e la figlia Pamela, cercando di stare lontano il più possibile dalla droga. La decisione di trasferirsi a Parigi farà precipitare la situazione, portando ad una dolorosa e definitiva separazione della coppia. Undici anni dopo, Pamela, ormai cresciuta, viene contattata dalla zia paterna: incontrerà Victor, stabilendo un nuovo contatto con quel genitore di cui non aveva saputo più nulla per una scelta della madre.
Accolto di buon occhio dalla critica alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2007, Tout est pardonné è il notevole esordio nel lungometraggio di Mia Hansen-Løve, cineasta interessata al racconto del quotidiano, allo scorrere del tempo, a storie apparentemente piccole. Orbitando intorno al personaggio chiave di un padre incapace di mantenere il controllo perché certo di essere un perdente, si analizza l'effetto sconvolgente della tossicodipendenza nell'equilibrio di un nucleo famigliare. Con una naturalezza di messa in scena e una scioltezza realmente invidiabili, assistiamo allora al credibile degenerare di un legame: da quando Annette cerca di chiudere un occhio sulle ingiustificate assenze di Victor fino alla difficilissima resa dei conti, si attraversano gli stadi progressivi di un amore che deve accettare il proprio fallimento, lasciare tutto e ricominciare da un'altra parte. Osservatore invisibile e rispettoso del dramma, la regista non manipola, non sottolinea, intervenendo nel pudico fluire della vicenda soltanto con due ellissi ("Vienne 1995", "Retour à Paris" e "Pamela, onze ans plus tard"), due fratture che non tolgono né accentuano l'emozione. Anche i movimenti della macchina da presa, del resto, sono guidati dalle traiettorie dei personaggi, dai loro desideri, ambiscono all'invisibilità, a nascondersi nelle pieghe, perché solo da lì riescono a ritrarre meglio un attimo di realtà, un frammento di trepidazione, di turbamento.
Una diffusa e inconsueta armonia permea il film per tutta la sua durata, una delicatezza che è già un'idea di cinema, forse un metodo, in cui è possibile trovare - tra i molti altri padri - la levità di François Truffaut come la voglia di prendere di petto il vero di certi titoli di Maurice Pialat: non è certamente un caso che l'allora ventiseienne cineasta franco-danese esordisse alla regia dopo un'esperienza come critico per i Cahiers du cinéma. L'ultimissima inquadratura è semplicemente perfetta.