Titolo originale | Buda as sharm foru rikht |
Titolo internazionale | Buddha Collapsed Out of Shame |
Anno | 2007 |
Genere | Guerra |
Produzione | Iran, Francia |
Durata | 81 minuti |
Regia di | Hana Makhmalbaf |
Attori | Abbas Alijome, Abdolali Hoseinali, Nikbakht Noruz . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 12 maggio 2015
La regista è la più giovane della famiglia di artisti Makhmalbaf.
CONSIGLIATO SÌ
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Nei pressi di Bamiyan, in Afghanistan, dove nel 2001 i talebani hanno raso al suolo due enormi sculture rappresentanti Buddha, vive la piccola Bakthay, sei anni e una gran voglia di imparare a leggere. Procuratasi con difficoltà un quaderno, si dirige verso la scuola dell'amichetto Abbas, ma viene subito allontanata in quanto donna, più tardi si imbatte in un gruppo di bambini che fanno il gioco della guerra e della lapidazione.
Aperto e chiuso dalle immagini di repertorio dell'abbattimento delle due millenarie sculture considerate idolatre dai talebani, Sotto le rovine del Buddha è il primo film di finzione di Hana Makhmalbaf, ultima leva del celebre clan di cineasti, sorella di Samira e Maysam, figlia di Marzieh e del maestro Mohsen. La sensibilità verso le problematiche sociali, filo conduttore dei lavori del padre, appare centrale anche nell'opera prima della diciannovenne Hana, al punto da ribadire ancora una volta l'apparente nesso con il neorealismo di gran parte della produzione cinematografica iraniana. Nel pedinamento di Bakthay, impegnata a racimolare le venti rupie necessarie a comprare il quaderno in un mondo di adulti variamente insensibili ai suoi bisogni, la posizione neorealista sembra estetica oltreché morale, ma è sufficiente addentrarsi nel cuore del racconto per comprendere la distanza effettiva dal movimento italiano. Come accade in alcune opere di Mohsen Makhmalbaf o di Abbas Kiarostami, in cui il meccanismo del "cinema nel cinema" serve per parlare d'altro, anche qui si va a fondo nel discorso usando uno stratagemma: al metacinema si sostituisce però lo schema gioco, quello di un gruppo di bambini che fingono di essere prima dei talebani e poi degli americani, costringendo Bakthay e Abbas al ruolo delle vittime, ma la sostanza non cambia di molto.
La cultura della violenza, la repressione femminile, l'infanzia negata e la difficoltà dell'educazione sono temi cardine del cinema iraniano, ma Hana Makhmalbaf dimostra di saperli declinare con una cifra personale in cui durezza e garbo si mescolano più che bene: bellissima la sequenza in cui la piccola protagonista salta, tanto è estranea alla logica della violenza e della sopraffazione, nei cerchi di gesso che gli altri bambini hanno disegnato per confinarla («Non voglio giocare alla lapidazione» dirà risoluta).
Desiderosa di andare a scuola per conoscere le favole, Bakthay rappresenta la libertà al suo più alto grado, distante da qualsiasi limitazione imposta dagli adulti o dall'ordine sociale, è la minaccia alla repressione, un'eroina di poco più di un metro di statura che vuole restituire colore al mondo a cui appartiene. Fosse pure con un po' di rossetto.