max
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lunedì 19 febbraio 2007
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capolavoro.
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Che dire? un capolavoro. Clint Eastwood omaggia con grande umanità e saggezza i cattivi nemici di un tempo. Quelli che propaganda e filmografia statunitensi marchiavano come "sporchi musi gialli". Siamo lontani anni luce da quelle comode intolleranze. Questa è arte allo stato puro. La saggezza appena richiamata, sta nel riconoscere nel nemico "l'altro da sè" ma sempre l'Uomo. Sempre un altro essere vivente e non un nemico senz'anima e senza storia. Tutti i personaggi - peraltro alcuni realmente esistiti a partire dall'anticonformista generale Kuribayashi (grande Ken Watanabe) - sono credibili. Tratteggiati con cura. Coadiuva il regista, una fotografia struggente (quasi un bianco e nero crepuscolare che ben si attaglia alla sabbia nera e alle rocce impervie dell'isola).
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Che dire? un capolavoro. Clint Eastwood omaggia con grande umanità e saggezza i cattivi nemici di un tempo. Quelli che propaganda e filmografia statunitensi marchiavano come "sporchi musi gialli". Siamo lontani anni luce da quelle comode intolleranze. Questa è arte allo stato puro. La saggezza appena richiamata, sta nel riconoscere nel nemico "l'altro da sè" ma sempre l'Uomo. Sempre un altro essere vivente e non un nemico senz'anima e senza storia. Tutti i personaggi - peraltro alcuni realmente esistiti a partire dall'anticonformista generale Kuribayashi (grande Ken Watanabe) - sono credibili. Tratteggiati con cura. Coadiuva il regista, una fotografia struggente (quasi un bianco e nero crepuscolare che ben si attaglia alla sabbia nera e alle rocce impervie dell'isola). Gli attori sono impeccabili. Non una sbavatura. Quasi una grande commedia greca. Struggente il finale.
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lizard
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lunedì 5 marzo 2007
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la pietas di clint
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Da' abbastanza fastidio sentire continuamente etichettare Clint Eastwood(soprattutto dai critici che capiscono poco di cinema) come un "classico", quasi a volerlo forzatamente mettere in linea di continuità con la tradizione americana che parte da John Ford e Howard Hawks ed attraversa Elia Kazan. In realtà, pochi registi hanno mostrato una tale capacità di adattare la macchina da presa all'essenza dei propri soggetti(chi non l'ha ancora fatto, è pregato di andarsi a vedere lo straordinario "Bird", raro esempio di personaggio costruito attraverso la regia, anzichè di regia costruita attorno ad un personaggio).
In "Letters" è la fotografia cupa, sempre più tendente al grigio(illuminata solo dai bagliori delle esplosioni) a simboleggiare, da un lato, la tragedia di un popolo trascinato nella sconfitta deale ambizioni della propria oligarchia militare e, dall'altro, il percorso esistenziale di uomini che realizzano la loro totale irrilevanza sullo scacchiere della storia, oltre che l'inutilità della storia stessa.
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Da' abbastanza fastidio sentire continuamente etichettare Clint Eastwood(soprattutto dai critici che capiscono poco di cinema) come un "classico", quasi a volerlo forzatamente mettere in linea di continuità con la tradizione americana che parte da John Ford e Howard Hawks ed attraversa Elia Kazan. In realtà, pochi registi hanno mostrato una tale capacità di adattare la macchina da presa all'essenza dei propri soggetti(chi non l'ha ancora fatto, è pregato di andarsi a vedere lo straordinario "Bird", raro esempio di personaggio costruito attraverso la regia, anzichè di regia costruita attorno ad un personaggio).
In "Letters" è la fotografia cupa, sempre più tendente al grigio(illuminata solo dai bagliori delle esplosioni) a simboleggiare, da un lato, la tragedia di un popolo trascinato nella sconfitta deale ambizioni della propria oligarchia militare e, dall'altro, il percorso esistenziale di uomini che realizzano la loro totale irrilevanza sullo scacchiere della storia, oltre che l'inutilità della storia stessa.
Una delle ragioni(una delle molte) della grandezza di Clint è il suo rifiuto di ergersi a giudice dei suoi personaggi, nonchè la sua capacità di compenetrarsi con essi, con una "pietas" ed un'intensità straordinarie, in cui la forza dell'impatto emotivo è perfettamente bilanciata dall'essenzialità della regia.
A 76 anni, Clint Eastwood conferma di essere il più giovane regista del cinema americano.
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alex
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mercoledì 7 maggio 2008
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esistono due facce della stessa medaglia
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In 60 anni i film di guerra sono sempre stati fatti secondo la stessa ottica: quella americana. Qualcuno si è mai chiesto come può essere trovarsi a guardare quello che succede dall'altra parte della barricata, ad esserne protagonisti? La guerra è guerra, e i soldati che la combattono sono solo uomini, con pregi e difetti di tutti gli esseri umani: la paura, il coraggio, la codardia, il senso di giustizia, o qualsiasi altro tipo di sentimento pensiate sia possibile provare in quei momenti. Dio solo sa cosa si può fare quando la paura ti paralizza le ossa e ti fa impazzire l'idea dell'essere in trappola, magari a combattere senza sapere perchè e soprattutto perchè devi morire! Ho visto persone, non americani o giapponesi, ma semplici poveracci ed i loro sentimenti.
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In 60 anni i film di guerra sono sempre stati fatti secondo la stessa ottica: quella americana. Qualcuno si è mai chiesto come può essere trovarsi a guardare quello che succede dall'altra parte della barricata, ad esserne protagonisti? La guerra è guerra, e i soldati che la combattono sono solo uomini, con pregi e difetti di tutti gli esseri umani: la paura, il coraggio, la codardia, il senso di giustizia, o qualsiasi altro tipo di sentimento pensiate sia possibile provare in quei momenti. Dio solo sa cosa si può fare quando la paura ti paralizza le ossa e ti fa impazzire l'idea dell'essere in trappola, magari a combattere senza sapere perchè e soprattutto perchè devi morire! Ho visto persone, non americani o giapponesi, ma semplici poveracci ed i loro sentimenti. Ho guardato il film apprezzando la lingua originale e l'assoluta veridicità, facendo mentalmente i complimenti ad un regista che mi ha stupito per la sua sensibilità e per aver mostrato l'altra faccia della medaglia, senza sensazionalismi, ma con estrema semplicità.
Da 10 e lode
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dankor
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lunedì 19 febbraio 2007
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obbedienza alla patria o ai propri sentimenti?
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E' un film di alta qualità , godibile anche se girato interamente in giapponese , che riesce a catturare l'attenzione dello spettatore e a commuoverlo ,senza mai essere sdolcinato, e a renderlo partecipe della morte imminente che incombe su questo manipolo di soldati destinati al sacrificio per la salvezza della patria; ed il punto cruciale sta proprio nel conflitto che emerge nella coscienza di questi uomini fra l'obbedienza agli ordini che comporta il suicidio come unica morte onorevole e la speranza della salvezza ,per poter rivedere i propri cari , anche al costo di arrendersi e passare per traditori.Sembra di assistere ad una tragedia classica in un'ottica orientale , dove si scontrano l'ostinata intolleranza della fedeltà all'imperatore e alle leggi sacre del patriottismo militaresco e l'umanità di alcuni ufficiali ( entrambi amici degli americani prima della guerra)che rapprensentano la nobiltà dei sentimenti e in qualche misura l'autentico spirito giapponese , eroico ma non fanatico.
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E' un film di alta qualità , godibile anche se girato interamente in giapponese , che riesce a catturare l'attenzione dello spettatore e a commuoverlo ,senza mai essere sdolcinato, e a renderlo partecipe della morte imminente che incombe su questo manipolo di soldati destinati al sacrificio per la salvezza della patria; ed il punto cruciale sta proprio nel conflitto che emerge nella coscienza di questi uomini fra l'obbedienza agli ordini che comporta il suicidio come unica morte onorevole e la speranza della salvezza ,per poter rivedere i propri cari , anche al costo di arrendersi e passare per traditori.Sembra di assistere ad una tragedia classica in un'ottica orientale , dove si scontrano l'ostinata intolleranza della fedeltà all'imperatore e alle leggi sacre del patriottismo militaresco e l'umanità di alcuni ufficiali ( entrambi amici degli americani prima della guerra)che rapprensentano la nobiltà dei sentimenti e in qualche misura l'autentico spirito giapponese , eroico ma non fanatico.
Forse , in questa divisione così netta fra il bene e il male Eastwood pecca un po' di ingenuità( di certo voluta) , tipica della mentalità americana , di distinguere con chiarezza il bene dal male.
Lo scopo del regista è di mostrare che al di là degli opposti schieramenti nella guerra , il bene e il male non stanno tutti da una parte o dall'altra , ma sono ugualmente presenti da ambo i lati . Ci sono delle scene davvero toccanti , interpretate benissimo , con la capacità di far trasparire un'ampia gamma di emozioni in modo naturale . Azzeccata è anche la fotografia e la scelta di un cromatismo ridotto a pochi colori , che ben si adatta all'ambiente arido e pietroso dell'isola.
E' , in fondo, un film di guerra sui generis perchè al di là delle scene dei combattimenti veri e propri , anche quelle di ottimo livello,c'è questa straordinaria analisi dei sentimenti di un gruppo di uomini che sanno di dover morire e reagiscono in maniera diversa a questa prospettiva. Un grande regista è in grado di cogliere tutte le sfumature e di raccontarcele in modo non banale senza facili pietismi.Eastwood ci riesce benissimo e realizza uno dei migliori film di questa stagione.
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olga
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giovedì 22 febbraio 2007
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la guerra come follia
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LETTERS FROM IWO JIMA di Clint Eastwood
con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara.
Ancora un film di guerra e sulla guerra, ancora protagonisti soldati americani e giapponesi, ma quanta strada si è fatta da quei filmacci propagandistici degli anni bellici, che ci mostravano da una parte gli eroici generosi marines e dall’altra i feroci e disumani musi gialli. C’è stata da allora una cospicua produzione di narrativa e di film sull’argomento, che non ha mai smesso di esercitare sullo spettatore quella carica di coinvolgimento e di drammaticità che gli è propria. Su questa via si muove, e con successo, Clint Eeastwood, il lontano pistolero dei western-spaghetti degli anni ’60, che, passato alla regia, continua ad ogni opera a stupire e a suscitare consensi.
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LETTERS FROM IWO JIMA di Clint Eastwood
con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara.
Ancora un film di guerra e sulla guerra, ancora protagonisti soldati americani e giapponesi, ma quanta strada si è fatta da quei filmacci propagandistici degli anni bellici, che ci mostravano da una parte gli eroici generosi marines e dall’altra i feroci e disumani musi gialli. C’è stata da allora una cospicua produzione di narrativa e di film sull’argomento, che non ha mai smesso di esercitare sullo spettatore quella carica di coinvolgimento e di drammaticità che gli è propria. Su questa via si muove, e con successo, Clint Eeastwood, il lontano pistolero dei western-spaghetti degli anni ’60, che, passato alla regia, continua ad ogni opera a stupire e a suscitare consensi.
Sull’episodio Eastwood ci aveva già dato Flags of Our Fathers. Se in quel film il regista raccontava la sanguinosa conquista dell’isola da parte delle truppe americane, in Letters from Iwo Jima l’attenzione si sposta sul versante dei difensori. Insomma si tratta della stessa storia, stesso sfondo, stessa sceneggiatura, ma il tutto visto dall’altra parte. Nel film, con 142 minuti di racconto mozzafiato, egli ci introduce nel mondo insensato e disumano della guerra tout court, presentata con crudo realismo come strumento di risoluzione di contrasti internazionali, alla ricerca dell’annientamento totale del nemico. L’attenzione dell’autore si concentra da una parte sul dogmatismo ideologico dei governi che vedono nel conflitto armato l’unica possibilità di affermare la loro smania di potere, dall’altra sulla follia di comandanti militari, dal più alto grado al semplice graduato, che nella loro esaltazione non tengono in alcun conto la vita e il destino dei sottoposti.
Tramite le lettere scritte dai soldati giapponesi, mai spedite e ritrovate di recente in vecchie trincee e gallerie abbandonate, Eastwood ricostruisce il quadro di quella umanità condannata a morire o per mano delle bombe americane o per mano del suicidio d’onore imposto non solo dai vertici del comando ma anche da quei graduati che in quanto a fanatismo non si lasciano battere da nessuno. Il pregio del film è proprio in questa alternativa che si intuisce fin dalle prime inquadrature e tiene lo spettatore col fiato sospeso fino alla fine. Lo sguardo del regista sa mantenersi freddo e distante, coerente con quel rigido clima di esasperato militarismo che sottolinea ogni scena. Disturbano se mai quei pochi flash-back che ci mostrano momenti di umanità presenti in alcuni dei protagonisti; li si avverte come estranei a quel mondo in cui nulla ha una giustificazione se non il prevalere della logica assurda e mortale della guerra. I pochi segnali di critica e di disaffezione che si levano su questo sfondo vengono subito spenti e repressi con feroce brutalità.
Non mancano altri personaggi vivi e veri, spesso contraddittori, incerti tra il sacrifico estremo e il salvarsi la pelle: c’è chi si limita a mugugnare sottovoce, chi prova a disertare e viene subito ucciso, chi affronta il fuoco nemico o il suicidio.
Eastwood mostra ancora le sue doti di grande regista nell’adozione di geniali artifici, quali l’uso di un bianco e nero che si accende solo del rosso delle esplosioni o del sangue o il parlato originale sottotitolato. L’ex-pistolero continua dunque a produrre film che non deludono, di grande impatto emotivo, di grande valenza artistica, di profondo stimolo alla riflessione e alla libertà di critica.
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ciro
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giovedì 15 marzo 2007
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lezione di cinema del maestro clint
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La battaglia di Iwo Jima è senza un dubbio un episodio che costituisce terreno fertile per il cinema di Clint: la ristrettezza degli spazi in cui svolge l’azione, le situazioni estreme vissute dai protagonisti e l’ineluttabilità del destino che incombe su tutto e tutti sono in effetti elementi che contribuiscono ad esaltare lo stile e la poetica del regista. Nel precedente Flags Of Our Fathers, film bello ma a tratti eccessivamente didascalico, la critica era rivolta al patriottismo costruito e sfruttato ad arte per meri fini economici e propagandistici; in Letters From Iwo Jima, invece, il patriottismo viene piuttosto inteso come una forma di esaltazione che annulla la sacralità della vita e giustifica il sacrificio estremo di fronte ad una sconfitta inevitabile.
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La battaglia di Iwo Jima è senza un dubbio un episodio che costituisce terreno fertile per il cinema di Clint: la ristrettezza degli spazi in cui svolge l’azione, le situazioni estreme vissute dai protagonisti e l’ineluttabilità del destino che incombe su tutto e tutti sono in effetti elementi che contribuiscono ad esaltare lo stile e la poetica del regista. Nel precedente Flags Of Our Fathers, film bello ma a tratti eccessivamente didascalico, la critica era rivolta al patriottismo costruito e sfruttato ad arte per meri fini economici e propagandistici; in Letters From Iwo Jima, invece, il patriottismo viene piuttosto inteso come una forma di esaltazione che annulla la sacralità della vita e giustifica il sacrificio estremo di fronte ad una sconfitta inevitabile. Quello che colpisce è però l’incredibile naturalezza con la quale Eastwood scava nella profondità più estrema dell’animo umano, descrivendo i conflitti interiori dei semplici soldati e del generale Kuribayashi (un immenso Ken Watanabe), istruito in Canada, amante dell’America, ma fedele in maniera incondizionata al proprio Paese a ai propri doveri di soldato. Anche gli splendidi flashback rispondono alla volontà di indagare sull’ambiguità dell’animo umano e sul perenne conflitto tra sentimenti reali e imposizioni di natura culturale. Se infatti sull’isola tutti sembrano all’apparenza piegarsi ad una logica auto-distruttrice, al grido di “banzai”, i flashback ci mostrano al contrario come quegli stessi uomini conservino sentimenti comuni all’intero genere umano che nessun ufficiale, per quanto esaltato, è in grado di annullare.
Non c’è retorica, non c’è sentimentalismo ma solo sincera commozione; ma soprattutto il culto della morte e il disonore della sconfitta tipici della mentalità guerriera del Giappone non generano disprezzo o peggio ilarità, come capitato in altre occasioni, ma pena. Che poi a riuscire in questa impresa sia un americano e non un giapponese danno la misura della maturità stilistica raggiunta da Clint Eastwood, capace di incastonare, all’interno di una storia che scivola in maniera lenta, inesorabile e perfetta verso l’annunciato massacro finale, gemme che appartengono già alla storia del cinema: la sequenza dei soldati giapponesi che si fanno saltare in aria con le granate all’interno delle caverne del monte Suribachi nel momento in cui si rendono conto di essere stati sconfitti, e quella, straziante e magnifica, della lettura della lettera inviata dalla madre ad un soldato americano fatto prigioniero, ascoltata in silenzio dai giapponesi, da sole giustificano l’utilizzo della parola capolavoro.
Ancora una volta il messaggio è che in guerra non ci sono eroi, ma solo uomini ridotti ad automi ossessionati dalla morte e per questo terrorizzati e capaci di macchiarsi dei peggiori crimini, come giustiziare un soldato ormai disarmato a sangue freddo. Ma pur sempre uomini, anzi ragazzi che hanno il solo desiderio di tornare dai propri cari, si trovino questi in una fattoria dell’Oklahoma o in un piccolo villaggio ai piedi del Monte Fuji. Un concetto questo che può anche essere completamente ribaltato: e cioè che tutti sono eroi per il semplice fatto di essere in guerra. Anche tale messaggio viene però veicolato con estrema naturalezza e sincerità, senza bisogno di ricorrere ad alcuna forzatura o eccesso retorico.
“Il genio è l’uomo capace di dire cose cose profonde in modo semplice”, disse una volta Bukowski. E Clint Eastwood, probabilmente, lo è.
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andrea giusti
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martedì 7 agosto 2007
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gli occhi dell'altro
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In un modo radicalmente diverso Eastwood si immerge in una lettura insolita di una delle tante pagine sanguinose del Secondo Conflitto Mondiale. Allo spettatore spetta il ruolo insolito di mettersi nei panni del "nemico",in un ribaltamento dei soliti schemi convenzionali,tipici dei film di guerra. In effetti,il lavoro di Eastwood lo si può definire più che altro un monito alle letture superficiali degli eventi,e lancia un segnale chiaro e mai assolutamente retorico sull'inutilità e le barbarie che ogni conflitto porta inevitabilmente con se. Assolutamente da non perdere.
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marco
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giovedì 22 febbraio 2007
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cinema di sentimenti
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Lettere da Iwo jima conclude la mini-saga eastwoodiana sulla seconda guerra mondiale, vista questa volta dalla prospettiva giapponese. Un film diverso per molti aspetti diverso dal precedente Flags of our fathers, ma indissolubilmente legato ad esso; opposto e allo stesso tempo complementare. Se nella parte americana si raccontava la macchina mediatica che alimentava la guerra, in questo caso è la guerra stessa la vera protagonista. Ma anche in questo caso le scene d’azione sono limitate e strettamente funzionali. Eastwood racconta le dramamtiche ore di difesa all’isoletta di Iwo Jima mostrandoci l’umanità, i sentimenti, le angosce e le paure dei soldati giapponesi, vittime consapevoli di una battaglia già persa in partenza.
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Lettere da Iwo jima conclude la mini-saga eastwoodiana sulla seconda guerra mondiale, vista questa volta dalla prospettiva giapponese. Un film diverso per molti aspetti diverso dal precedente Flags of our fathers, ma indissolubilmente legato ad esso; opposto e allo stesso tempo complementare. Se nella parte americana si raccontava la macchina mediatica che alimentava la guerra, in questo caso è la guerra stessa la vera protagonista. Ma anche in questo caso le scene d’azione sono limitate e strettamente funzionali. Eastwood racconta le dramamtiche ore di difesa all’isoletta di Iwo Jima mostrandoci l’umanità, i sentimenti, le angosce e le paure dei soldati giapponesi, vittime consapevoli di una battaglia già persa in partenza. Il patriottismo è uno dei fili comuni che legano i due film: strumentalizzato a fini propagandistici e politici nella prima occasione; usato come specchietto per le allodole per compensare incapacità militare o oggetti limiti nella seconda. Eastwood riesce al meglio a rendere quel profondo senso dell’onore che pervade la cultura orientale e come l‘unico mezzo per preservarlo, anche nel momento in cui la sconfitta è ormai diventata inevitabile sia il suicidio. Ma ben lungi dall’essere fredde macchine da guerra, nei soldati emerge un conflitto tra le ragioni della fedeltà alla patria e all’imperatore e le ragioni del cuore. (e che a volte hanno anche il sopravvento come nel caso del panettiere) Il tutto è raccontato con una sensibilità quasi sussurrata, ma efficace e a tratti struggente, anche se in alcune situazioni si sceglie la strada più facile. (la lettera del soldato americano letta e che ricorda quelle stesse lettere che i giapponesi scrivono alle loro famiglie; la musica alla radio che suscita commozione a ricordo di una realtà ormai distante)
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angel face/devil heart
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domenica 24 giugno 2007
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la guerra di iwo jima vista dai giapponesi!
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Un capolavoro degno di Eastwood! Un film che ti trasmette forte emozioni e fa rivivere la guerra dalla parte dei giapponesi. Grandiosa la scelta di girarlo interamente in lingua giapponese. Un film che ci mostra le paure, le battaglie e l'orgoglio ma anche l'onore, da sempre valori primari nella vita giapponese, di questi soldati che pur essendo in minoranza rispetto al nemico non si arrendono ma combattono per la loro patria e la loro liberta' e quando capiscono che non c'e modo di salvezza con molto coraggio e forza si suicidano per morire con onore e non dalle mani del nemico! Dall' altra parte gli americani non rispettano nemmeno i pochi che hanno deciso di arrendersi per salvarsi la vita e li uccidono senza alcuna pieta'.
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Un capolavoro degno di Eastwood! Un film che ti trasmette forte emozioni e fa rivivere la guerra dalla parte dei giapponesi. Grandiosa la scelta di girarlo interamente in lingua giapponese. Un film che ci mostra le paure, le battaglie e l'orgoglio ma anche l'onore, da sempre valori primari nella vita giapponese, di questi soldati che pur essendo in minoranza rispetto al nemico non si arrendono ma combattono per la loro patria e la loro liberta' e quando capiscono che non c'e modo di salvezza con molto coraggio e forza si suicidano per morire con onore e non dalle mani del nemico! Dall' altra parte gli americani non rispettano nemmeno i pochi che hanno deciso di arrendersi per salvarsi la vita e li uccidono senza alcuna pieta'. Perche quella non era semplicemente una guerra tra due potenti stati ma una guerra tra due diverse civilta' con valori diversi. Eastwood rende il tutto ancora meglio girando tutto il film con colori seppia ovvero i colori della guerra, durante la quale mancano i colori vivaci che rapresentano la vita e la pace e contrariamente prevalgono quelli della morte e della tristezza, del dolore!
Uno dei migliori film di Eastwood e degli ultimi anni! Capolavoro assoluto.
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ronks
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mercoledì 11 aprile 2007
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(...........)
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... le dinamiche tra i commilitoni, tra le prgevoli scene di battaglia, mostrano che il nemico non e' solo da una parte ma e' ovunque venga imposta una costrizione artefatta e negato un confronto, questo e' quanto ci ha mostrato un eastwood in grande forma!
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