m.grazia (estonia)
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mercoledì 23 maggio 2007
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film magnifico, e senza retorica
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Ottima l'idea di girarlo tutto parlato in giapponese, con sottotitoli in italiano. Così come mi è sembrata visivamente efficace la scelta di rendere le immagini così plumbee e cupe, con colori molto smorzati, assai vicini al bianco e nero, tranne le esplosioni e il sangue che mantengono toni vividi e accesi.
Più che dalle scene d'azione (poche e marginali), il forte impatto emotivo è dato dalle singole vicende umane dei soldati giapponesi, dai loro sentimenti di paura e di angoscia, ma anche da quell'incomprensibile (per noi occidentali) e assoluto senso dell'onore nipponico che porta alla scelta del suicidio come unico riscatto di fronte alla sconfitta (e comunque alcuni di loro entreranno in conflitto con questa scelta estrema e decideranno di arrendersi).
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Ottima l'idea di girarlo tutto parlato in giapponese, con sottotitoli in italiano. Così come mi è sembrata visivamente efficace la scelta di rendere le immagini così plumbee e cupe, con colori molto smorzati, assai vicini al bianco e nero, tranne le esplosioni e il sangue che mantengono toni vividi e accesi.
Più che dalle scene d'azione (poche e marginali), il forte impatto emotivo è dato dalle singole vicende umane dei soldati giapponesi, dai loro sentimenti di paura e di angoscia, ma anche da quell'incomprensibile (per noi occidentali) e assoluto senso dell'onore nipponico che porta alla scelta del suicidio come unico riscatto di fronte alla sconfitta (e comunque alcuni di loro entreranno in conflitto con questa scelta estrema e decideranno di arrendersi).
La guerra vista "dall'altra parte", in questo caso dalla parte dei "perdenti", di quelli che in tanti film di guerra tradizionali siamo abituati a vedere come figure stereotipate e inconsistenti. Ora questi 'nemici' hanno una dimensione più umana, reale e anche commovente.
Insomma Clint Eastwood dimostra sempre di più di essere un regista riflessivo e sensibile, attento a considerare tutti i punti di vista di una vicenda e a sviscerarne i risvolti, positivi e negativi. Senza retorica.
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cineofilo92
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sabato 28 luglio 2007
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l'altra faccia di iwo jima
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Prima con gli americani, ora coi giapponesi. Due diversi punti di vista, la stessa storia. "Flags for our fathers" e "Letters from Iwo Jima" sono una bilogia, si completano uno con l'altro. Sono prequel e sequel allo stesso tempo. Il primo capitolo non vi ha soddisfatto? Con questo si rimane atterrito. Sempre meno posto per le speculazioni filosofiche o per i momenti strappalacrime, lo spettatore si trova in mezzo al macello grigio di Iwo. Tra soldati terrorizzati e ufficiali che aderiscono al codice di difesa della patria senza il minimo scrupolo, che fanno a pezzi chiunque dica cose "blasfeme", ci si smarrisce continuamente. Brilla la scelta di recitare il film in giapponese con i sottotitoli.
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Prima con gli americani, ora coi giapponesi. Due diversi punti di vista, la stessa storia. "Flags for our fathers" e "Letters from Iwo Jima" sono una bilogia, si completano uno con l'altro. Sono prequel e sequel allo stesso tempo. Il primo capitolo non vi ha soddisfatto? Con questo si rimane atterrito. Sempre meno posto per le speculazioni filosofiche o per i momenti strappalacrime, lo spettatore si trova in mezzo al macello grigio di Iwo. Tra soldati terrorizzati e ufficiali che aderiscono al codice di difesa della patria senza il minimo scrupolo, che fanno a pezzi chiunque dica cose "blasfeme", ci si smarrisce continuamente. Brilla la scelta di recitare il film in giapponese con i sottotitoli. Clint sarà anche vecchio ma non ha perso la volgia di girare. E lo fa egregiamente. Se si sente la mancanza di Sergio Leone, si può sempre rimediare.
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nello
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mercoledì 7 maggio 2008
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con gli occhi del nemico
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"Con gli occhi del nemico" è un saggio di David Grossman che prende in esame lo scontro ormai cinquantennale tra palestinesi e israeliani. Il grande autore israeliano propone, tra le altre cose, di cercare di cambiare punto di vista nell'ambito di un conflitto, in modo da vedere le cose biunivocamente, anche tramite gli occhi del nemico. Clint Eastwood si avvale di tale tesi, proponendo nel primo film il punto di vista degli americani (Flags of our fathers), mentre nel secondo (Lettere da Iwo Jima), il punto di vista dei giapponesi. L'episodio in cui viene analizzato il punto di vista dei giapponesi, paradossalmente, è il migliore dei due. Clint Eastwood dà il meglio di se, mettendo bene in evidenza le contraddizioni di un paese distantissimo da noi, in senso sia geografico che sociale.
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"Con gli occhi del nemico" è un saggio di David Grossman che prende in esame lo scontro ormai cinquantennale tra palestinesi e israeliani. Il grande autore israeliano propone, tra le altre cose, di cercare di cambiare punto di vista nell'ambito di un conflitto, in modo da vedere le cose biunivocamente, anche tramite gli occhi del nemico. Clint Eastwood si avvale di tale tesi, proponendo nel primo film il punto di vista degli americani (Flags of our fathers), mentre nel secondo (Lettere da Iwo Jima), il punto di vista dei giapponesi. L'episodio in cui viene analizzato il punto di vista dei giapponesi, paradossalmente, è il migliore dei due. Clint Eastwood dà il meglio di se, mettendo bene in evidenza le contraddizioni di un paese distantissimo da noi, in senso sia geografico che sociale. Non cerca il paragone dell'uno con l'altro, ma si limita lodevolmente a cercare di capire l'essenza di entrambi. Nel film non c'è chi ha ragione o chi ha torto, ma solo chi combatte in nome di cosa e come lo fa. I giapponesi, indottrinati da millenni di ideologia, vengono caratterizzati come uomini ossessionati dall'onore, pronti al kharakiri in qualsiasi momento per la più futile delle inadempienze. Ma viene mostrato anche il loro lato umano, privato, in cui un semplice fornaio, abilissimo nel suo lavoro, viene strappato dalle braccia di sua moglie per andare a morire in nome di ideali che gli sono distanti migliaia di anni luce. Qui sta il duro atto d'accusa di Clint Eastwood. Costringere una persona ad andare a morire per ragioni che non gli appartengono. Eppure, nell'amarezza che domina la scena, sono presenti, nel film, momenti intensissimi di pura poesia. Come quando il colonnello recita ai propri soldati, ormai vicini al suicidio, la toccante lettera della madre di un soldato al proprio figlio. Grandissimo capolavoro.
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greatsteven
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domenica 25 giugno 2017
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la più bruciante sconfitta per il valore nipponico
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LETTERE DA IWO JIMA (USA/JAP, 2006) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da KEN WATANABE, KAZUNARI MINONIYA, TSUYOSHI IHARA, RYO KASE, YUKI MATSUKAZI, LUKE EBERL
Complementare al precedente Flags of Our Fathers, è la descrizione della battaglia di Iwo Jima dal punto di vista dell’esercito giapponese. Girato in lingua nipponica, ma di produzione statunitense, in Italia è disponibile nella versione doppiata con le voci italiane in DVD. Scelta saggia quella di mantenere intatte le battute inglesi, quando a parlare sono i soldati americani, come si era già fatto in senso inverso col film di cui sopra. Tratto dal libro memorialistico Picture Letters from Commander in Chief del generale Tadamichi Kuribayashi, interpretato nel film da uno strepitoso, infallibile, efficacissimo Ken Watanabe, che personalizza il massimo esponente del regio esercito con una mimica marmorea, un piglio autoritario e un’intensità drammatica da permeare tutto il contesto filmico intorno a sé.
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LETTERE DA IWO JIMA (USA/JAP, 2006) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da KEN WATANABE, KAZUNARI MINONIYA, TSUYOSHI IHARA, RYO KASE, YUKI MATSUKAZI, LUKE EBERL
Complementare al precedente Flags of Our Fathers, è la descrizione della battaglia di Iwo Jima dal punto di vista dell’esercito giapponese. Girato in lingua nipponica, ma di produzione statunitense, in Italia è disponibile nella versione doppiata con le voci italiane in DVD. Scelta saggia quella di mantenere intatte le battute inglesi, quando a parlare sono i soldati americani, come si era già fatto in senso inverso col film di cui sopra. Tratto dal libro memorialistico Picture Letters from Commander in Chief del generale Tadamichi Kuribayashi, interpretato nel film da uno strepitoso, infallibile, efficacissimo Ken Watanabe, che personalizza il massimo esponente del regio esercito con una mimica marmorea, un piglio autoritario e un’intensità drammatica da permeare tutto il contesto filmico intorno a sé. Kuribayashi raggiunge nel dicembre 1944 la spiaggia di Iwo Jima, e dà ordine di smettere l’edificazione delle trincee perché l’esercito statunitense nemico attaccherà dal cielo e dal mare e pertanto è opportuno spostare le linee difensive sulla cima del monte Suribachi. Insieme a lui v’è il tenente colonnello, nonché barone, Nishi, giunto a cavallo in quanto campione delle Olimpiadi di Los Angeles 1932. Nelle prime linee combattono Saigo, ex fornaio sposato, con una bambina in arrivo e compreso delle felicitazioni dei parenti per la sua chiamata alle armi; Nozaki, suo grande amico e compagno di branda; e Shimizu, sospettato di essere una spia, ma invece degradato e punito per aver rifiutato di uccidere un cane disturbatore durante la perlustrazione di un quartiere alla presenza d’un ufficiale. A comandare le truppe vi sono i tenenti Ito e Fujita e il capitano Tanida. Film corale, di ampio respiro bellico, che sfoggia come accade sempre nel genere un antibellicismo proclamato e dichiarato, che qui ha però il pregio di evitare la retorica e l’autocitazione per dipingere un affresco non solo verosimile, ma più vero dell’autentico, sulla barbarie (dis)umana che ha invaso gli animi dei soldati che combatterono una delle peggiori battaglie della Storia in toto, non solo della Seconda Guerra Mondiale, in termini di perdite umane, sangue versato, danni territoriali, paure instillate nei sentimenti fin troppo scossi. Strapieno di pezzi di bravura imperdibili che testimoniano la perizia registica di Eastwood, ormai ben avviato dietro la macchina da presa e, produttore insieme a Steven Spielberg che l’ha finanziato con la sua inseparabile DreamWorks, capacissimo di restituire in immagini audiovisive ciò che accadde nel passato. Un passato più funesto e nefasto che mai, che l’attore-regista descrive con la penna del narratore navigato, compensando la violenza efferata, ma mai fine a sé stessa, con gli effetti speciali che ne permettono un’efficiente raffigurazione e specialmente con le motivazioni interiori che esaminano le psicologie dei personaggi – piccoli uomini prestati al servizio di leva per onorare l’impero nipponico – e ne spiegano le azioni. Costretti a servire la patria per la soddisfazione necessaria e la celebrazione autoreferenziale di gloria della monarchia, i soldati semplici giapponesi che appaiono nella vicenda soffrono la lontananza dalla famiglia, sono obbligati a turni di staffetta massacranti, devono svuotare i propri scarti alimentari, dormono all’addiaccio, guerreggiano con qualsiasi condizione climatica e sperano che il conflitto armato finisca presto, ma ciò che li rende davvero speciali è il rispetto che portano a sé stessi e ai compagni, identificando in un’amicizia viscerale il crisma che li unisce malgrado l’avanzare della brutalità più sanguinaria che si possa immaginare. Una guerra che falcidia e decima gli uomini come granelli di sabbia sollevati da una detonazione od esplosione, ma che non è abbastanza forte da lenire lo spirito di corpo e la sensazione di sacrificio che, pronti come una mina in procinto d’esser scagliata, scaturiscono al minimo tentennamento del coraggio per venire in soccorso a chi è oppresso, o si fa opprimere, dal dolore nella disperazione immediata e deplorevole di ottenere un successo bellico più presto che si può. Fra i frammenti di miglior impatto dapprima nominati, vanno sicuramente annoverati: la cena a base di sakè e superalcolici fra Kuribayashi e il barone appassionato d’equitazione; i dialoghi fra Saigo e Nozaki nel buio della caverna in cui vedono approdare dal nulla il silenzioso Shimizu; l’harakiri del capitano Tanida quando vede che ormai il monte Suribachi non è più difendibile; il trascinamento del corpo quasi esanime del generale da parte di Saigo, dopo la mancata decapitazione da parte del sottufficiale con la spada per via di una disturbante fucilata; la valutazione dei piani d’attacco mediante le mappe geografiche e i contatti radio sempre più complicati e rarefatti; l’avanzamento del tenente Ito presso le selve di cadaveri cui si confonde cercando di tendere un’imboscata agli statunitensi; la poetica ed intensa morte di Shimizu per mano dei marines; la spedizione delle lettere a partire dal dispaccio del fronte e il loro finale recupero durante gli scavi archeologici del 2005. Un film epico che si stende come un panno morbido e serafico sul mondo della guerra, denunciando senza pietà il regime militare, la disciplina soldatesca e la testardaggine di alcuni ufficiali, ma elogiando al contempo la pazienza e la perseveranza di altri che preferiscono attendere il momento ideale per sferrare l’offensiva determinante o, a mali estremi, rimediare con una sconfitta dignitosa che combina la ritirata con la conservazione dell’onore incrollabile, valore della cultura giapponese vecchio come l’arcipelago stesso e radice intoccabile del modo di pensare nell’Estremo Oriente. Eastwood sa anche operare una funzionale commistione di generi, attingendo dal bellico, dal drammatico e dal bio-pic tramite un’estrapolazione che trae da ciascuno gli elementi più vistosi per costruire un’opera che ben si incunea nella tradizione USA del cinema storico. Raccontando una pagina di Storia neanche troppo lontana, diciamo di passato prossimo, che non toglie dignità né ai connazionali né agli stranieri, ma privilegia piuttosto un aspetto obiettivo e neutrale di narrare un episodio focalizzandosi su una lente d’ingrandimento che condanni l’utilitarismo della tecnologia militare d’avanguardia e premi il coraggio, la forza di volontà, l’umiltà e il carisma di chi combatte nelle prime file. Di chi non si fa intortare da un ideale inesistente e fasullo. Di chi segue le proprie opinioni comprendendole e facendole capire a chi gli sta intorno. E infine anche di chi accetta di esser stato battuto, ma non rinuncia comunque a rimontare in sella e ritentare l’impresa con tutto il fiato che ancora riesce a spendere.
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ronks
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mercoledì 11 aprile 2007
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lo specchio (completo)
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Lettere da iwo jima rappresenta l'altra faccia della medaglia, da qualsiasi lato la si guardi... l'impero giapponese aveva da sempre improntato la societa' a dei rapporti rigidi tra le parti e l'esrcito ne era l'espressione massima... prepararsi consapevolmente all'invasione americana sapendo fin da principio di soccombere non li fa degli eroi, seppur qualche ufficiale e' alla ricerca di gloria, ma li rende umani, consci che se da una parte e' loro compito svolgere il proprio dovere di soldato fino in fondo, dall'altra sarebbe giusto andare oltre, verso "cio' che e' piu' giusto fare", come il ritornare a casa dalla moglie e dal bambino appena nato... le dinamiche tra i commilitoni, tra le prgevoli scene di battaglia, mostrano che il nemico non e' solo da una parte ma e' ovunque venga impos
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Lettere da iwo jima rappresenta l'altra faccia della medaglia, da qualsiasi lato la si guardi... l'impero giapponese aveva da sempre improntato la societa' a dei rapporti rigidi tra le parti e l'esrcito ne era l'espressione massima... prepararsi consapevolmente all'invasione americana sapendo fin da principio di soccombere non li fa degli eroi, seppur qualche ufficiale e' alla ricerca di gloria, ma li rende umani, consci che se da una parte e' loro compito svolgere il proprio dovere di soldato fino in fondo, dall'altra sarebbe giusto andare oltre, verso "cio' che e' piu' giusto fare", come il ritornare a casa dalla moglie e dal bambino appena nato... le dinamiche tra i commilitoni, tra le prgevoli scene di battaglia, mostrano che il nemico non e' solo da una parte ma e' ovunque venga imposta una costrizione artefatta e negato un confronto, questo e' quanto ci ha mostrato un eastwood in grande forma!
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tomdoniphon
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sabato 2 maggio 2015
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i due fronti della battaglia di iwo jima
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Il secondo dei due film (l’altro è “Flags of our fathers”) che Eastwood ha girato, quasi contemporaneamente, sulla battaglia di Iwo Jima.
Quello che ha fatto Eastwood è qualcosa di unico e insuperato: girare una delle più sanguinose battaglie della Seconda Guerra Mondiale, assumendo il punto di vista di entrambi gli schieramenti (senza paura di mostrare, in questo secondo capitolo, le crudeltà commesse dagli americani).
Coerente con il cinema di Fuller (“Il grande uno rosso”), secondo cui in guerra “non esistono eroi ma solo sopravvissuti”; tema, questo, che in “Flags of our fathers” era stato affrontato prendendo spunto dalla vicenda dei tre superstiti, immortalati nella celebre foto che ritraeva i soldati issare la bandiera sul monte di Iwo Jima: prima trasformati in eroi grotteschi, poi immediatamente dimenticati.
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Il secondo dei due film (l’altro è “Flags of our fathers”) che Eastwood ha girato, quasi contemporaneamente, sulla battaglia di Iwo Jima.
Quello che ha fatto Eastwood è qualcosa di unico e insuperato: girare una delle più sanguinose battaglie della Seconda Guerra Mondiale, assumendo il punto di vista di entrambi gli schieramenti (senza paura di mostrare, in questo secondo capitolo, le crudeltà commesse dagli americani).
Coerente con il cinema di Fuller (“Il grande uno rosso”), secondo cui in guerra “non esistono eroi ma solo sopravvissuti”; tema, questo, che in “Flags of our fathers” era stato affrontato prendendo spunto dalla vicenda dei tre superstiti, immortalati nella celebre foto che ritraeva i soldati issare la bandiera sul monte di Iwo Jima: prima trasformati in eroi grotteschi, poi immediatamente dimenticati. In “Lettere da Iwo Jima”, invece, Eastwood si cala magistralmente nei panni del nemico di allora, analizzando i tormenti dei generali e di alcuni militari, e mettendo in discussione il mito (non certo solo nipponico) del patriottismo.
Un’ulteriore dimostrazione di come Eastwood – giunto con “Gli spietati” (1992) alla maturità artistica – sia uno dei pochi registi in grado di farci riflettere e trasmettere delle emozioni: un cinema mai banale né scontato; e senza certezze (il che è certamente è un bene).
In questo, paradossalmente, è aiutato dal suo stile classico (rimanda in parte a Ford), che ha ancora molto da insegnare ad una parte consistente del cinema “d’autore” d’oggi.
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shiningeyes
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lunedì 15 aprile 2013
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si è sempre tutti uguali!
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Dopo aver studiato la battaglia di Iwo Jima dal punto di vista americano, Clint Eastwood decide di chiudere il cerchio facendoci vedere il punto di vista giapponese, nel quale vediamo che, risente troppo dell'onore e l'orgoglio dei suoi capi militari e si divide tra esaltati che si suicidano per evitare il disonore della sconfitta ed uomini più riflessivi e umani.
Nel film di Clint, possiamo vedere che i soldati giapponesi, per certi versi, sono uguali a quelli americani, loro stessi se ne rendono conto quando un soldato dice di aver letto la lettera della madre di un soldato americano, affermando che vi erano scritte le stesse parole che gli aveva scritto la sua di madre, è chiaro quindi il tema dell'uguaglianza tra persone che devono essere costrette ad uccidersi; in guerra si è tutti uguali, anche con differenze culturali nel mezzo.
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Dopo aver studiato la battaglia di Iwo Jima dal punto di vista americano, Clint Eastwood decide di chiudere il cerchio facendoci vedere il punto di vista giapponese, nel quale vediamo che, risente troppo dell'onore e l'orgoglio dei suoi capi militari e si divide tra esaltati che si suicidano per evitare il disonore della sconfitta ed uomini più riflessivi e umani.
Nel film di Clint, possiamo vedere che i soldati giapponesi, per certi versi, sono uguali a quelli americani, loro stessi se ne rendono conto quando un soldato dice di aver letto la lettera della madre di un soldato americano, affermando che vi erano scritte le stesse parole che gli aveva scritto la sua di madre, è chiaro quindi il tema dell'uguaglianza tra persone che devono essere costrette ad uccidersi; in guerra si è tutti uguali, anche con differenze culturali nel mezzo. Pian piano i soldati giapponesi si accorgeranno della assurdità di tale guerra e metteranno da parte l'amor patrio per pensare alla loro sopravvivenza; la figura del soldato Saigo è per l'appunto, l'emblema di questo pensiero, non facendo altro che pensare di tornare a casa per riabbracciare la propria famiglia.
La figura che rappresenta l'onore ed il coraggio della milizia giapponese è il generale Kuribayashi, perlopiù amico degli americani durante i tempi di pace che, si trova costretto a combatterli per il suo paese, distinguendosi per il coraggio e spessore umano (bravissimo Ken Watanabe, che lo interpreta). E' vero che, un'operazione filmica del genere si era già vista con il capolavoro “La sottile linea rossa” di Malick, ma è anche vero che Eastwood riesce meglio nell'impresa di darci uno sguardo reale e drammatico di quei terribili giorni di asserragliamento dell'esercito nipponico, dove i sentimenti loro vengono, appunto, espressi tramite le lettere che inviano ai loro cari; il tutto governato da una sceneggiatura bella e brutale ed una luce cupissima, decisamente adatta a narrare i tristi eventi di quella battaglia.
Il finale poi, è di una poesia unica, degno per un film che non conosce cali qualitativi dall'inizio alla fine.
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nick simon
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giovedì 29 agosto 2013
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suggestiva celebrazione della dignità umana
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Solo un regista, e prima ancora un uomo, dotato di umanità ed equilibrio come Clint Eastwood poteva finalmente far riflettere sulla necessità di conoscere e comprendere il proprio nemico, sul dovere di rispettare ogni cultura e sull’impossibilità di definire il bene e il male in senso assoluto. Insieme a “Flags of our Fathers” il film analizza le vicende che fecero da contorno alla battaglia di Iwo Jima, in questo caso dal punto di vista giapponese. Come di consueto, Eastwood unisce il suo stile registico pulito e asciutto alla profondità dell’indagine psicologica. Senza farsi giudice delle vicende narrate, e rifiutando ogni sensazionalismo, egli rende giustizia ad entrambi gli schieramenti.
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Solo un regista, e prima ancora un uomo, dotato di umanità ed equilibrio come Clint Eastwood poteva finalmente far riflettere sulla necessità di conoscere e comprendere il proprio nemico, sul dovere di rispettare ogni cultura e sull’impossibilità di definire il bene e il male in senso assoluto. Insieme a “Flags of our Fathers” il film analizza le vicende che fecero da contorno alla battaglia di Iwo Jima, in questo caso dal punto di vista giapponese. Come di consueto, Eastwood unisce il suo stile registico pulito e asciutto alla profondità dell’indagine psicologica. Senza farsi giudice delle vicende narrate, e rifiutando ogni sensazionalismo, egli rende giustizia ad entrambi gli schieramenti. La condanna verso la guerra non si esprime attraverso il paternalismo o la retorica pacifista, bensì grazie alla contrapposizione tra l’ottuso fanatismo di alcuni militari e la speranza dei soldati, in un grandioso inno ai valori della vita. Le scene di combattimento sono girate perfettamente, ma non è questo il fulcro della storia; ciò che conta è l’animo dei personaggi. Al di là di ogni differenza politica o culturale, i protagonisti sono uomini uguali ma nascosti dietro uniformi di colore diverso: le lettere scritte dai soldati giapponesi e sepolte nella grotta sono identiche a quelle scritte dai soldati americani. È anche il generale Kuribayashi (l’ottimo Ken Watanabe), figura contradditoria ma giudiziosa, a fare da portavoce di questo concetto semplice ma fondamentale. La grandezza del cinema di Clint Eastwood sta nella sua capacità di emozionare, far meditare e anche soffrire lo spettatore, bilanciando la potenza del messaggio con la delicatezza narrativa e la sottigliezza psicologica. È un cinema che predilige il chiaroscuro, i contrasti, la penombra. La fotografia più che mai desaturata di Tom Stern è, in questo caso, metafora della condizione dei soldati: svuotati e turbati nell’intimo, così come le immagini sono private del colore. Struggente la colonna sonora.
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elgatoloco
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venerdì 8 maggio 2015
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eastwood, only eastwood
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Letters from Iwo Jima è un grande film e dirlo di un film di Eastwood sembra quasi banalmente retorico/retorica. Il fatto è che l'impostazione registica di Clint è eccelsa, che riesce a sfidare i pregiudizi hollywoodiani senza problemi, facendo decadere ogni falsa retorica, appunto. Niente"musi gialli", come nella retorica bellicistica yankee, ma persone, certo strutturate da"Banzai...!", con tutta l'infame propaganda dell'Impero giapponese, dunque con la retorica patriottarda e pseudo-religiosa(di e da"Ersatz", ossia da religione surrogatoria)dell'Imperatore etc., con un dirigismo militarista e gerarchico"da paura", ma con questo film sommesso ma non dimesso, Eastwood, con un bianco e nero che fa da"basso continuo"e poche illuminazioni di colore(ril rosso è ovviamente prevalente), realizza un pendant di grande respiro a"Flags for your Fathers": i problemi dei soldati-dei mandati a morire dalle(e delle) due parti sono uguali, fidanzate in attesa, genitori che aspettano trepidanti.
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Letters from Iwo Jima è un grande film e dirlo di un film di Eastwood sembra quasi banalmente retorico/retorica. Il fatto è che l'impostazione registica di Clint è eccelsa, che riesce a sfidare i pregiudizi hollywoodiani senza problemi, facendo decadere ogni falsa retorica, appunto. Niente"musi gialli", come nella retorica bellicistica yankee, ma persone, certo strutturate da"Banzai...!", con tutta l'infame propaganda dell'Impero giapponese, dunque con la retorica patriottarda e pseudo-religiosa(di e da"Ersatz", ossia da religione surrogatoria)dell'Imperatore etc., con un dirigismo militarista e gerarchico"da paura", ma con questo film sommesso ma non dimesso, Eastwood, con un bianco e nero che fa da"basso continuo"e poche illuminazioni di colore(ril rosso è ovviamente prevalente), realizza un pendant di grande respiro a"Flags for your Fathers": i problemi dei soldati-dei mandati a morire dalle(e delle) due parti sono uguali, fidanzate in attesa, genitori che aspettano trepidanti. QUanto a"Flags", ancora una notazione: per Piera Detassis è un film hollywoodiano; penso invece sia un film che si serve di stilemi hollywoodiani, ma in funzione anti-hollywoodiana, quindi implosivamente. El Gato
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rmarci 05
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martedì 14 maggio 2019
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ritratto del "nemico" intimo e profondamente umano
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Realizzando un dittico comprendente anche Flags of our fathers, Clint Eastwood compie un autentico atto di coraggio e mostra, con uno sguardo documentaristco quanto intimo, la Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi dei presunti "nemici", che si riveleranno essere, durante il corso del film, dei comuni esseri umani che si differenziano dai Marines americani solamente per una banale provenienza geografica. Partendo da questo espediente narrativo, il regista Premio Oscar riprende, con una fotografia esanime quanto i cadaveri dei soldati, l'intera isola di Iwo Jima, analizzando nel profondo le personalità dei soldati giapponesi che, se inizialmente erano uomini consapevoli della morte incombente e disposti a compiere qualsiasi atto pur di servire la propria Patria, successivamente diventano sempre più tromentati e incerti se seguire i valori fondamentali dell'esercito o salvare le proprie vite, inutilmente sacrificate sull'altare della ricchezza e del potere.
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Realizzando un dittico comprendente anche Flags of our fathers, Clint Eastwood compie un autentico atto di coraggio e mostra, con uno sguardo documentaristco quanto intimo, la Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi dei presunti "nemici", che si riveleranno essere, durante il corso del film, dei comuni esseri umani che si differenziano dai Marines americani solamente per una banale provenienza geografica. Partendo da questo espediente narrativo, il regista Premio Oscar riprende, con una fotografia esanime quanto i cadaveri dei soldati, l'intera isola di Iwo Jima, analizzando nel profondo le personalità dei soldati giapponesi che, se inizialmente erano uomini consapevoli della morte incombente e disposti a compiere qualsiasi atto pur di servire la propria Patria, successivamente diventano sempre più tromentati e incerti se seguire i valori fondamentali dell'esercito o salvare le proprie vite, inutilmente sacrificate sull'altare della ricchezza e del potere. Tra scene struggenti e ottime interpretazioni, Eastwood fornisce un ritratto incredibilmente realistico nonché profondamente umano della guerra in tutte le sue inutili carneficine, senza sbavature e privo del tipico buonismo furbo e insopportabile. Ma soprattutto ci insegna qualcosa di estremamente importante: il Male non è mai schierato tutto da una parte.
Imperdibile, uno dei migliori film di Clint Eastwood, 4 stelle su 5.
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