Viridiana è una bella e giovane donna, che vuole farsi suora, né riesce a smuoverla dal fermo proposito Don Jaime, lo zio, ricco possidente, vecchio vizioso e incestuosamente attratto da lei. Egli, anzi, ottiene, col suo comportamento, di renderne ancora più salda la volontà. La notizia del suicidio di Don Jaime la indurrà però a tornare sui suoi passi e a progettare diversamente il proprio futuro. Si trova, infatti, ora, a condividere col cugino Jorge l'eredità di una grande tenuta agricola, dalla cui rendita pensa di ricavare il denaro necessario a offrire migliori condizioni di vita ai poveri del luogo. In realtà, l'esperienza sarà fallimentare, mentre il successo arriderà ai progetti imprenditoriali del cugino, deciso a mettere a frutto le potenzialità della terra che ora gli appartiene. Due mentalità si fronteggiano nel film: Viridiana è convinta che la ricchezza debba essere distribuita fra i poveri, amati da Cristo, innocenti portatori di valori positivi (non rinuncia, però, a organizzare autoritariamente i loro pasti e le loro notti in quell'ala della casa che li ospiterà), mentre Jorge ritiene che la proprietà terriera debba essere trasformata in azienda produttiva; che la grande casa, un tempo signorile e ora trascurata e in declino, debba diventare una magione prestigiosa. Viridiana, alla fine del film, acquisterà una diversa consapevolezza, e si rassegnerà alla sconfitta dei propri sogni, comprendendo che l' idealizzazione di quel gruppo sociale è lontana dalla realtà: i poveri non sono diversi dagli altri uomini, né l'elemosina li migliora; semmai li rende più ipocriti perché li costringe a essere, almeno davanti a lei, diversi da quello che sono, cioè oziosi profittatori, invidiosi, crapuloni, lussuriosi, pieni di pregiudizi, così violenti, da tentare di stuprarla, dopo le dissolutezze di un'ultima cena a casa sua. La fotografia, che dovrebbe conservare il ricordo di quella cena, ricalca le pose e la disposizione strutturale dei personaggi dell'affresco dell'Ultima cena leonardesca, rovesciandone il significato, poiché la figura centrale di Cristo, è sostituita da quella del mendicante cieco, che non si sa orientare senza l'aiuto degli altri mendicanti, che intendono mostrargli l'infamia che si sta consumando ai suoi danni. La cecità (intellettuale), dunque, secondo Buñuel, impedisce al messaggio cristiano di proporsi come un messaggio liberatorio, poiché non si rivolge agli uomini come sono, ma come sarebbe auspicabile che fossero. Questa scena e le ultime del film, che rappresentano il falò col quale la donna brucia gli oggetti del suo bagaglio religioso, ormai inservibile, hanno fatto gridare allo scandalo e alla blasfemia, procurando al regista strascichi censori in Spagna, al tempo della dittatura franchista, ma anche nell' Italia degli anni '60. Il film, in verità, porta nel cinema (attraverso il linguaggio surreale e simbolico di Bu ñuel) molti temi che fin dalla seconda metà dell'800 avevano percorso la cultura europea ottenendo grande risonanza, grazie principalmente alle riflessioni di Freud e di Nietzsche, che il movimento surrealista, nel quale il regista si riconosceva, intendeva trasferire nell'arte. L' indubbia carica eversiva rispetto alle convinzioni consolidate e ai luoghi comuni, che è tipica di tutta l'opera del regista, diventa in questo importante lavoro fonte inesauribile di invenzioni e citazioni anche della cultura spagnola più tradizionale, quella dei picari, dei "Borrachos" di Velasquez o dei grotteschi personaggi dei Capricci di Goya, totalmente rielaborati, però, in un originale linguaggio filmico.
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