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Ultimo aggiornamento venerdì 19 maggio 2017
Un uomo e una donna mettono insieme le forze per vendicarsi dell'uccisione dei loro parenti. Al Box Office Usa Blade of the Immortal ha incassato 98,6 mila dollari .
CONSIGLIATO SÌ
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Manji, in lista di proscrizione per aver ucciso un samurai, corrotto, viene aggredito da una numerosa banda guidata da un cacciatore di taglie. Insieme a lui c'è la giovane sorella che ha perso il senno da quando lui le ha ammazzato, senza volerlo, il marito. La ragazzina viene uccisa e lui gravemente ferito. Una anziana donna gli promette però l'immortalità: ogni volta che sarà colpito la ferita si rimarginerà in breve tempo. Cinquanta anni dopo la preadolescente Rin si vede uccidere il padre (maestro d'armi) e rapire la madre dai componenti da un dojo di arte della spada che vuole assorbire (o altrimenti eliminare) tutti gli altri. Cercherà aiuto da Manji.
Sono rari i registi di film d'azione che prevedano l'uso di armi bianche che si possano permettere di superare le due ore di durata senza scivolare nella ripetitività dei duelli. Takashi Miike offre la prova, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di essere totalmente superiore a questo genere di problema.
La sequenza di apertura è, ad esempio, speculare a quella di chiusura ma non si avverte alcun senso di ripetitività grazie, non solo all'abilità che potremmo definire coreografica della messa in scena, ma anche al montaggio, alle situazioni impreviste, al mood che varia in maniera netta. Ispirato ancora una volta a un manga, questo Blade of Immortal potrebbe essere definito un jidai geki (una film di cappa e spada) la cui anima è femminile. Perché se ad offrire l'immortalità al protagonista è una donna che ha vissuto per secoli, a proporgli una ragione di vita (e di sofferenza interiore) sono il ricordo della sorella morta e il suo 'doppio' che gli compare dinanzi decenni dopo chiedendo aiuto e sostegno nella vendetta. Ciò senza contare una guerriera che avrà un ruolo importante nella seconda parte del film.
Luogo ormai consolidato del suo cinema è il profluvio di sangue che qui è sottolineato sin dai titoli di testa con un abbondare di ferite e amputazioni di vario genere. Tutto questo senza mai dimenticare il bisogno di stupire il proprio pubblico ma anche di offrirgli quel tanto (o poco) di respiro grazie ad annotazioni ironiche che non tralasciano i riferimenti alla società e alla politica. In un Giappone governato da Shinzo Abe, che non può certo essere definito un progressista, avere un protagonista che dichiara che per lui ha lo stesso valore combattere contro i rappresentanti del governo o contro chi vuole annullare le diversità imponendo la presenza di un solo dojo di spade, non ha solo un significato all'interno della vicenda presentata sullo schermo. Va oltre. Con grande libertà e sapendo di rivolgersi a un vasto pubblico.