Titolo originale | Hae anseon |
Anno | 2002 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 91 minuti |
Regia di | Kim Ki-Duk |
Attori | Jang Dong-Gun, Kim Jeong-hak, Park Ji-a, Yu Hye-Jin . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 16 ottobre 2014
La storia di una brigata di pazzi addestrati ad abbattere tutto ciò che si muove, compresi i tranquilli residenti della zona.
CONSIGLIATO SÌ
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Mentre i commilitoni trascorrono le giornate tra sport e facezie, il soldato Kang Sang-byeong è sempre all'erta in vista della possibile incursione di una spia nordcoreana. Quando due giovani amanti si spingono nella zona proibita della costa Kang è di sentinella e uccide il ragazzo. La ragazza, Mi-yeong, perde il senno mentre Kang viene congedato con onore. Ma la tragedia avvenuta scatenerà un effetto domino inarrestabile.
Un Kim Ki-duk mai così esplicito nel suo messaggio quello di The Coast Guard, realizzato nell'acme della sua furia autoriale, il periodo di inizio anni Zero costellato di opere-cardine, da Bad Guy a Ferro 3. Considerare la storia del folle Kang una mera invettiva anti-militarista sarebbe riduttivo e fuori luogo; The Coast Guard va molto in là nella disamina della psicopatologia insita nel popolo coreano, costretto a temere in ogni momento un nemico sostanzialmente indistinguibile da sé. Il bisogno di eroismo e l'inseguimento di vani ideali nazionalistici formano un cocktail esplosivo se mescolati con il testosteronico atteggiamento del maschio sudcoreano, perennemente in competizione con i suoi simili nel circolo vizioso di un nonnismo sistem(at)ico.
Le mimetiche, le divise e i rituali dell'addestramento militare divengono così chiassosi elementi per agevolare la discesa in profondità di Kim nelle familiari dinamiche di abuso e sottomissione, di confini naturali - con l'elemento acqua a dominare ancora amnioticamente la scena, dopo L'isola e Coccodrillo, acquisendo significati sempre nuovi - e artificiali, come quelli geopolitici. Lo scarto rispetto ad altre opere del regista sta nell'eccesso esplicativo - troppo poche le ellissi su un tema tradizionalmente irto di ostacoli e incline allo stereotipo come quello de "l'inutilità della guerra" - o nelle reiterazioni di sceneggiatura, che ribadiscono all'eccesso concetti per cui bastavano meno sequenze.
Il ritorno incessante di Kang alla base dopo il congedo o le apparizioni di Mi-yeong ormai (teatralmente) folle aggiungono poco o nulla alla natura spettrale dei due personaggi (peraltro ampiamente sottolineata dalla colonna sonora). Corpi svuotati dall'insensatezza della tragedia occorsa, come un Travis Bickle e una Ofelia shakespeariana privati della loro allure e gettati nella farsa di una guerra senza nemico. O senza uno visibile, quantomeno.
Nel corso della sua brillante filmografia, Kim Ki-Duk non ha mai risparmiato critiche alla società della sua Sud Corea. Oltre alle autorità precostituite. Che cercano di nascondere, dietro un finto progresso e una finta felicità, i problemi sociali del loro popolo. Al pari di quanto fanno, dall'altra sponda del paese, i loro compaesani che hanno abbracciato l'ideologia opposta.
Per il soldato Kang Han aver premuto il grilletto è stato come aprire le porte ad una coscienza che non aveva più. La vita dell'esercito gli aveva completamente azzerato i pensieri e le azioni, contribuendo ad una autodisciplina che in parte potrebbe essere letta come una morte interiore. Ma la ripresa di coscienza, come un lampo che illumina per un attimo, lo porta ancora più [...] Vai alla recensione »