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L'eterna contesa fra Italia e Francia (Seconda parte)

Un antagonismo fra i due paesi che ha radici profonde e antiche. Di Pino Farinotti. 
di Pino Farinotti

venerdì 5 settembre 2025 - Focus

C’era un gruppo 
C’era un gruppo di cinefili eleganti, colti, critici di cinema, che decisero di fare i registi e fondarono il movimento detto Nouvelle Vague, importante, che segnò un’epoca. Erano gli anni sessanta.  I nomi principali: Truffaut, Godard, Rohmer, Rivette, Chabrol, Resnais, Titoli esemplari: I quattrocento colpi e Jules e Jim (Truffaut), Hiroshima mon amour (Resnais), Fino all’ultimo respiro (Godard).
Quegli autori teorizzavano la qualità assoluta del cinema come arte, mettendo sullo stesso piano di nobiltà gli scrittori e i registi e ponendo sull’opera oltre alla propria firma, la propria marca. E secondo il solito spirito francese ereditato, si applicarono per scardinare quei codici di racconto e di spettacolo universalmente accettati e amati. 
Ma alla fine, ciò che il tempo screma, l’essenziale che rimane, non è mai un esercizio stilistico magari intelligente e virtuoso, ma una storia ben raccontata. 
Nel linguaggio di quel cinema trovano spazio certe citazioni cinefile e anche una ricerca realistica che non può non ispirarsi a quella italiana. Con una differenza: l’originale presentava una verità riconosciuta, l’estetica “francese” non possedeva l’energia italiana. Il tempo ha superato la Nouvelle Vague.
Se su un canale ti arriva Hiroshima mon amour, devi essere diligente, per arrivare alla fine.   

La Commedia all’italiana
Com’era accaduto nell’epoca precedente, quando noi rispondemmo al Fronte popolare col Realismo, il nostro cinema produsse la “Commedia”. Il testimone di quei nostri “primi maestri” veniva raccolto da autori come Monicelli, Risi, Comencini con Visconti e Fellini che lo passavano a sé stessi. La velocità non diminuiva. 
Il cinema italiano del realismo valeva anche in virtù di una ragione storica, la condizione del nostro paese a ridosso della guerra. Quando la situazione cominciò a migliorare qualcuno poté permettersi la Vespa e poi la Cinquecento. Le famiglie andavano al cinema e al mare, ed ecco che il cinema ritenne di doversi adeguare. Si poteva ricominciare a sorridere, e a far sorridere nei film. Incombevano gli anni sessanta, il paese era stato in parte ricostruito, fra poco lo sarebbe stato del tutto.
Nasceva la Commedia. Mario Monicelli fa qualcosa di impossibile e blasfemo, intuisce che Vittorio Gassman, che in teatro era stato Oreste, Amleto e Otello, Kowalski e Adelchi, insomma il repertorio classico più nobile, sarebbe stato anche un grande attore comico e gli dà il ruolo di Peppe, il semi-idiota balbuziente, uno dei “professionisti” dei Soliti Ignoti. E’ un film straordinario che inaugura il filone della nostra commedia, quella che si farà notare nel mondo, troverà adepti e imitatori. Monicelli firma altri due titoli eroici del genere, La grande guerra e L’Armata Brancaleone
Dino Risi assume l’indicazione di Monicelli e impiega l’attore ligure in ruoli comici senza soluzione di continuità. E poi Sordi, naturalmente, che è trasversale nei decenni e porta la “sua” qualità e il suo carattere nella Commedia. Nel ’62 Risi firma un capolavoro, Il sorpasso, con Gassman.
Nel ’61, scritto da Conego, Risi realizza Una vita difficile, con Sordi, altro caposaldo del genere, altro film perfetto. 
Luigi Comencini entra a buon diritto nel cartello “commedia”. Segnali potenti sono 
i primi due Pane, amore e… con l’irresistibile Lollobrigida. Il regista si accaparra Alberto Sordi in quello che è considerato il suo capolavoro, Tutti a casa, la più efficace istantanea offerta dal cinema sull’Italia del dopo 8 settembre. 
Nella Commedia all’italiana, come detto, si inseriva Visconti con un titolo da storia, Il gattopardo (Palma d’oro) e ancora una volta  Fellini che sparigliava tutto con un di trittico da mitologia La dolce vita (Palma d’oro), (Oscar), Amarcord (Oscar). 
Se ti trovi su un canale Il sorpasso, rimani fino alla fine.

La cultura
E’ legittima l’idea che Francia e Germania si contendano storicamente il primato della cultura nel continente europeo. Riproduco alcune righe dell’inizio del tema.
“Come sempre starò alle sintesi di vicende non lontane, che hanno lasciato segnali visibili, eco ascoltabili, eredità spendibili, che arrivano a toccare noi contemporanei.” Significa che starò al novecento. 
Una breve premessa è dovuta. Il concetto cultura è molto largo, sappiamo. Starò a due registri che identificano le due nazioni. C’è un acronimo STEM, dall’inglese science, technology, engineering and mathematics (non occorre tradurre) che appartiene alla Germania che nelle discipline scentifico-tecnologiche, non ammette competitor. E’ accreditato e condiviso.
Poi c’è la letteratura e lì è la Francia ad accaparrarsi la leadership, anche questo è condiviso. E l’Italia? Il novecento e anche il duemila, nel consesso delle nazioni europee l’Italia ha perso dei punti soprattutto per il suo ruolo nella seconda guerra mondiale. Con la conseguenza di un riverbero sull’insieme del Paese Italia, compresa la cultura. Eppure, storicamente, con merito, “cultura” nel mondo significa(va) Italia. Ma adesso occorrerebbe riavvolgere indietro il nastro di molti metri.

Il Nobel
C’è uno strumento che se non risolve, certo aiuta nelle misure. E’ il premio Nobel della letteratura. Parto da lì. 
L’Italia ha ottenuto sei riconoscimenti. Si fa presto a fare i nomi: Carducci, Pirandello, Deledda, Quasimodo, Montale, Fo. 
Il punto è questo, pochi dei nostri autori, anche per la “conseguenza” detta sopra, sono diventati di moda nel mondo, che non significa cronaca leggera, ma visibilità culturale, accademica, eredità, convegni, pubblicazioni, rassegne, memoria. Sappiamo che i francesi sono maestri di autopromozione, ed è vero che nella disciplina scrittura potevano contare su una materia prima del massimo livello. Su talenti, premi Nobel, come Camus, Sartre, France, Bergson, Gide, Simon, Mauriac, Modiano, puoi lavorare bene, possiedi materiale vasto e universale. I francesi hanno fatto di quegli autori degli eroi, modelli indispensabili della cultura e della vita. Stoccolma però ha ignorato un francese più che degno di appartenere a quel cartello, Marcel Proust, la sua Recherche è un’opera senza la quale la letteratura sarebbe incompleta.

Dei nostri “Nobel” tre sono poeti, Fo è un visionario sui generis, Pirandello e Deladda, scrittori, sono figli di Sicilia e di Sardegna. Talenti veri ma con un orizzonte che raramente sorpassa il confine della nazione.
Naturalmente il Nobel, anche se farebbe testo, non può essere l’unico riferimento. Ci sono libri di mille pagine che raccontano gli estromessi. 

Qualità e intelligenza
Ma attenzione, anche se non possediamo l’abilità autopromozionale dei francesi è riduttivo rimanere sugli italiani citati. Un paese come il nostro è impossibile che non produca qualità e intelligenza, in tutte le epoche, anche nel novecento. Dal nostro panorama della cultura che è vasto, per la solita ragione di spazio, scegliendo dei nomi, sono costretto a una selezione imbarazzante e dolorosa. 
D’Annunzio, Moravia, Pavese, Calvino, Pasolini, Eco, Primo Levi, Alberoni, e le signore Ginzburg e Morante, sono fra coloro ai quali dobbiamo pensiero, consapevolezza di noi stessi, e parte della nostra educazione alla libertà e al sentimento.  E’ tanta roba.
E senza Nobel.  


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